venerdì 29 giugno 2018

Inflazione contro deflazione: finanze pubbliche





di Alasdair Macleod


C'è una convinzione generale secondo cui le finanze statali vanno meglio in un contesto inflazionistico piuttosto che in uno deflazionistico. Questa percezione deriva dal trasferimento di ricchezza dai creditori allo stato attraverso una svalutazione della moneta, che si verifica con l'inflazione monetaria, rispetto al trasferimento della ricchezza dallo stato ai suoi creditori attraverso la deflazione. L'effetto è indubbiamente vero, anche se è minimizzato dagli stati, ma ignora cosa succede agli obblighi e alle finanze dello stato.

Questo articolo prende in esame questo aspetto delle finanze pubbliche, guardando dapprima alla strada verso l'eventuale crollo valutario che gli stati percorrono a causa di una continua svalutazione delle loro valute, e poi ad un sano contesto monetario con esito positivo, per il quale c'è un buon precedente storico. Questo è il secondo articolo che espone gli errori dei presunti vantaggi dell'inflazione sulla deflazione, il primo è stato pubblicato qui.



Politiche inflazionistiche

Mentre i banchieri centrali si sono convinti, a dispetto del normale comportamento umano, che il consumo sia solo stimolato dalla prospettiva di prezzi più alti, non ci può essere dubbio che il sottotesto non menzionato è il vantaggio per i mutuatari e per lo stato stesso. Inoltre lo scopo di ottenere il controllo sui tassi d'interesse nei mercati liberi è quello di ridurre il livello generale dei tassi d'interesse pagati ai creditori, privandoli ulteriormente dei benefici di mettere il loro capitale a disposizione dei mutuatari.

Tutto ciò è in contrasto con i principi alla base del diritto contrattuale, ma i tribunali non accettano che la moneta scoperta dello stato sia diversa dalla moneta coperta dall'oro dei tempi passati. L'imposta sugli interessi costituisce un'ulteriore distorsione, riducendo ulteriormente gli interessi netti percepiti dai detentori di una valuta in deprezzamento. Non sorprende se il tasso di risparmio crolli in un'economia caratterizzata da inflazione e risparmi tassati, portando ad un'espansione inesorabile del debito finanziata con altri mezzi.

Questi "altri mezzi" sono in gran parte rappresentati dall'espansione del credito bancario, che è denaro creato semplicemente su bilanci elettronici. Il costo per la creazione di questo denaro è impostato dai tassi monetari, che sono a loro volta stabiliti dalle banche che emettono il credito. Se tutti espandessero contemporaneamente il loro credito bancario (ed i banchieri sono molto suscettibili agli istinti di branco), i tassi d'interesse potrebbero teoricamente scendere a zero. E come se ciò non bastasse, le banche centrali sono arrivate a manipolare i tassi d'interesse in territorio negativo insieme al quantitative easing, cosa che ha persino permesso ai mutuatari aziendali di essere pagati per prendere in prestito denaro.

Come già affermato, l'inflazione monetaria consiste nel trasferire ricchezza dal creditore al mutuatario. Nel caso dello stato è un rimpiazzo per le tasse che sono diventate gravose, poiché aumentarle ulteriormente rischierebbe di provocare una ribellione tra i contribuenti, o sarebbe così economicamente dannoso che persino lo stato sa di dover fare un passo indietro. Ma i bilanci devono essere equilibrati, e data l'alternativa sgradita rappresentata dal taglio alla spesa, il finanziamento attraverso la svalutazione monetaria è la soluzione meglio accettata.

La maggior parte delle banche centrali comprende per esperienza che se viene coinvolta nel finanziamento diretto delle spese pubbliche, la valuta finirà per cadere in crisi. Invece le banche centrali ottengono lo stesso risultato sopprimendo i tassi d'interesse e consentendo alle banche commerciali di acquistare titoli di stato. Esistono però differenze tecniche e monetarie tra l'acquisto di debito pubblico da parte di banche o individui. Tuttavia il risultato è altrettanto inflazionistico, essendo sostenuto direttamente o indirettamente dall'espansione del credito bancario, in particolare quando le banche centrali assicurano che alla moneta in circolazione non sarà mai permesso di contrarsi.

Un'importante ipotesi dietro gli obiettivi d'inflazione a lungo termine, attualmente fissati al 2% annuo, è che il livello generale dei prezzi può essere controllato gestendo la massa monetaria. Questo va contro tutte le esperienze storiche e persino la teoria economica. Durante la presidenza Volcker della FED, quando il tasso dei Fed funds salì oltre il 19%, non ci fu alcun rallentamento nella crescita dell'offerta monetaria più ampia. Crebbe del 6.2% in quell'anno, a fronte di un tasso di crescita medio annuo a lungo termine di circa il 5.9%. Collegare i tassi d'interesse alla quantità di denaro è un errore comune da parte di coloro che non si rendono conto che i tassi d'interesse non regolano la quantità di denaro, ma la sua applicazione.

Il tasso dell'espansione monetaria negli Stati Uniti è stato ragionevolmente costante a poco meno del 6% fino alla crisi Lehman, tuttavia i tassi d'interesse (misurati dal tasso dei fondi monetari) sono variati tra il 19.1% nel 1981 e l'1% nel 2003. L'inflazione dei prezzi al consumo negli Stati Uniti è variata tra il 14.4% e l'1.07% durante la stessa scala temporale. Non esiste alcuna correlazione tra la quantità di moneta e queste due statistiche, quindi i meccanismi di controllo impiegati, che sono intesi a regolare il declino del potere d'acquisto della valuta, sono del tutto inutili.

Questo punto è stato accettato di recente da un funzionario della Banca d'Inghilterra. Richard Sharp, che è membro del comitato per la stabilità finanziaria della Banca, ha avvertito che se il governo britannico avesse aumentato i suoi prestiti, avrebbe rischiato di scivolare in una crisi in stile venezuelano. Indubbiamente questo commento è stato provocato da un crescente dibattito sulla proposta di Jeremy Corbin di prendere in prestito £250,000 sterline in più se il Labour Party fosse stato eletto. Ma spinge a porci una domanda: qual è la differenza tra le disastrose politiche inflazionistiche del Venezuela e quelle della Gran Bretagna? Risposta: nessuna.

Il collasso economico del Venezuela è anche la nostra destinazione finale. È la destinazione finale per tutti gli stati che dipendono dal finanziamento attraverso l'inflazione. Non si parla più di deficit temporanei. Realisticamente l'accumulo di passività per il welfare (passate, attuali e future) rende impossibile bilanciare i libri contabili attraverso la sola tassazione.

Credere che lo stato tragga solo benefici positivi dall'inflazione ignora il nostro punto centrale: essa sottrae ricchezza alle masse. Lungi dallo stimolare l'economia persuadendo le masse a spendere anziché a risparmiare, le riduce gradualmente in povertà. Gli elevati standard di vita nelle economie avanzate sono stati raggiunti nel corso di decenni da persone comuni che hanno lavorato per migliorare la loro vita. L'accumulo di ricchezza personale è vitale per il godimento di standard di vita superiori. Rimuovete guadagni e ricchezza attraverso la svalutazione della moneta, e le persone risulteranno semplicemente più povere. E se le persone sono più povere, anche le finanze dello stato diventeranno insostenibili.

Questo è il motivo per cui i sistemi che sfruttano al massimo l'espansione del denaro, come il Venezuela e lo Zimbabwe, impoveriscono palesemente il loro popolo. Ci vuole poco intelletto per capirlo, ma sorprendentemente gli economisti neo-keynesiani non riescono ad afferrare il punto. L'esempio più sconvolgente è stato Joseph Stiglitz, un premio Nobel, che dieci anni fa ha elogiato le politiche economiche di Hugo Chavez. Dieci anni dopo conosciamo il risultato delle follie inflazionistiche di Chavez che hanno gettato il Venezuela e il suo popolo nell'abisso economico. Nonostante gli errori esecrabili di Stiglitz, egli rimane un economista rispettato da coloro le cui analisi distorte vogliono semplicemente ignorare la realtà.

Economisti e commentatori economici fissati con la riduzione del debito pubblico attraverso l'inflazione, non riescono a distinguere tra sostenibilità del debito presente e futura. Essi credono che tracciare una linea sul passato consentirà agli stati di finanziare gli obblighi futuri, come se nulla fosse accaduto. Suppongono che con un bilancio nazionale pulito, facilitato forse dall'emissione di una moneta di platino con un valore nozionale di migliaia di miliardi di dollari, aggiusterà tutto. Questa ridicola proposizione è stata presa seriamente in considerazione in seguito alla crisi post-Lehman. Non era contemplata solo per aggiustare le finanze statali, ma come un dispositivo per consentire un maggiore indebitamento del governo.

La realtà dell'inflazione inizia come una via di fuga temporanea dai vincoli impostati dalla spesa pubblica e finisce per essere una trappola da cui la fuga diventa progressivamente più difficile, finché non è praticamente impossibile. Inevitabilmente se lo stato impoverisce i suoi cittadini svalutando la valuta, domani avrà un conto previdenziale da pagare più grande. Mantenere in equilibrio i libri contabili richiederà un tasso accelerato di svalutazione della moneta.

L'unica soluzione è fermare l'espansione monetaria. Quindi, per garantire che il denaro mantenga il suo potere d'acquisto, deve essere introdotta e sancita dalla legge la convertibilità illimitata in oro su richiesta, in modo che la banca centrale non possa più emettere valuta aggiuntiva senza aumentare le proprie riserve auree. Questa valuta quindi diventerebbe tecnicamente un sostituto del denaro, l'oro. Il credito bancario potrebbe essere contratto rendendo la riserva frazionaria punibile come frode (come lo era in passato, e senza una licenza bancaria lo è ancora), o alternativamente garantendo che vi sia una differenza visibile tra i saldi accreditati ai depositanti e i sostituti del denaro emessi dalla banca centrale e coperti dall'oro. Inoltre tutti i salvataggi bancari e i bail-in dovrebbero cessare, sempre per legge, nonostante le conseguenze. Anche la protezione del depositi dovrebbe essere rimossa.

Il ricorso alla regolamentazione per controllare gli eccessi bancari è un errore. Le banche devono essere interamente incentrate sul cliente e non guidate dalla regolamentazione. Solo allora i banchieri capiranno che migliorare la loro reputazione pubblica è ciò che li terrebbe in affari. Cesserà anche la speculazione insensata da parte dei banchieri, poiché attualmente sanno che la banca centrale li aiuterà sempre. Emergerà naturalmente una divisione tra i prestiti finanziati dai depositi bancari (principalmente capitale circolante, finanziamenti commerciali e requisiti di liquidità a breve termine altrettanto sicuri) ed i prestiti più rischiosi, adeguatamente finanziati da emissioni obbligazionarie.

In tal modo, le crisi cicliche dovute alle variazioni del livello complessivo del credito bancario saranno ridotte al minimo. Il denaro sarebbe restituito al suo scopo originario: quello di agire come deposito temporaneo della produzione, e niente di più.



L'alternativa: il sound money

L'alternativa all'inflazione è quella di tornare al sound money. Il denaro deve essere fuori dalla portata degli stati come mezzo di finanziamento inflazionistico. La deflazione a livello generale dei prezzi è quindi un riflesso del progresso e del miglioramento degli standard di vita per tutti, grazie all'evoluzione e all'innovazione dei prodotti e della concorrenza. La quantità di denaro richiesta in un'economia deve essere stabilita dai mercati e deve essere coperta da ulteriori acquisti o disposizioni di oro.

Va notato qui che le preferenze a favore o contro il possedimento di denaro varieranno sempre, anche con il sound money, ma con quest'ultimo tali variazioni sono ridotte al minimo. Variazioni nel livello generale della preferenza monetaria possono influenzare maggiormente i prezzi di beni e servizi, quindi è importante che l'effetto venga attenuato il più possibile. Con il sound money intendiamo l'oro fisico, o i sostituti convertibili in oro su richiesta. E con l'oro, o i sostituti del denaro, l'arbitraggio dei prezzi tra stati o regioni offre una stabilità dei prezzi aggiuntiva.

Queste erano, in generale, le condizioni in Gran Bretagna nel 1817, quando le nuove sovrane furono coniate per la prima volta, e dopo che la Gran Bretagna tornò al gold standard nel 1821. Il gold standard fu adottato anche da altre nazioni sviluppate quando si allinearono con lo standard britannico, in particolare negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo in poi.

Gli enormi benefici e la ricchezza diffusa alimentati dal sound money vennero diffamati dai socialisti come Marx ed Engels. Venne alimentata l'invidia nei confronti della ricchezza accumulata da imprenditori di successo e dalle loro famiglie, derisi come la borghesia, descrivendola come oppressore dei lavoratori sfruttati. Ma i fatti erano molto diversi, con standard di vita per i lavoratori manuali che miglioravano oltre ogni precedente storico. Le imprese di successo guadagnarono la loro ricchezza sottomettendosi al giudizio dei consumatori, producendo i prodotti che volevano questi ultimi. In caso contrario cessavano l'attività. E mentre i mercati apportavano notevoli benefici, possiamo affermare che i progressi sarebbero stati ancor più vantaggiosi per operai e lavoratori poco qualificati, se i mercati liberi fossero stati scevri dall'intervento statale.[1]

È logico comprendere che se la ricchezza viene trasferita dalla gente comune allo stato, la gente nel suo insieme è più povera. È un mito, perpetuato dallo stato, che la ricchezza trasferita in questo modo venga custodita a nome della popolazione, perché in realtà viene distrutta.

Se le persone sono invece autorizzate ad accumulare ricchezza personale, la società nel suo insieme ne beneficia. Questa è la chiave per comprendere i vantaggi per una nazione, perché in definitiva un'economia di successo è ciò che conferisce allo stato il suo potere. Prima della prima guerra mondiale, il dominio britannico sul commercio mondiale non era dovuto alle sue campagne militari; la marina e l'esercito si limitavano a proteggere gli scambi commerciali. Fu l'accumulo di ricchezza nelle mani degli imprenditori, sostenuto dal sound money affidabile ed accettato ovunque, che rese grande la Gran Bretagna. Il suo successo si basò sulla creazione di ricchezza, accumulata in mani private con la minima interferenza dello stato.

L'obiezione degli inflazionisti al sound money è che gli stati devono ridurre il loro onere di debito erodendone il valore a spese dei creditori. Ma come abbiamo mostrato sopra, questa tesi è miope e ignora i crescenti obblighi futuri generati dall'inflazione. Invece di forzare una crescente dipendenza dallo stato, il sound money protegge i risparmi, consentendo alle persone di evitare la dipendenza dallo stato. Invece di aumentare gli obblighi statali nel tempo, diminuiscono invece.

Dopo le guerre napoleoniche, il governo britannico fu lasciato con debiti estremamente elevati, che dovevano essere pagati. Invece di cedere alla tentazione di gonfiarli, la soluzione scelta fu quella di onorarli con sound money. Ciò fu seguito dall'eliminazione delle distorsioni economiche grazie all'abrogazione nel 1846 delle Corn Laws e dalla rimozione di altri dazi commerciali in generale. Nonostante il leggero calo dei prezzi delle merci nel tempo, il debito pubblico si ridusse dal 250% del PIL (stimato) al 30% prima della prima guerra mondiale.



Il ritorno al sound money

Il perché e il come la moneta fiat debba essere sostituita con l'oro come denaro, o sostituti del denaro completamente convertibili, è già stato descritto. Questo obiettivo non fu mai pienamente raggiunto dal governo britannico, a causa di un semplice errore nell'applicazione del Bank Charter Act del 1844. Mentre la Banca d'Inghilterra doveva coprire per legge gli aumenti nella sua emissione di banconote con oro, venne trascurato il controllo sull'espansione del credito bancario, perché le conseguenze di non fare distinzione tra contante e depositi bancari non vennero comprese correttamente. Fu quell'errore che permise di sviluppare un ciclo creditizio alternato tra boom e bust, che portò ad una serie di crisi bancarie nella seconda metà del secolo, e quel ciclo è ancora con noi oggi.

Un approccio pratico al problema è riconoscere innanzitutto che le banche centrali sono riuscite a sopprimere il prezzo dell'oro, misurato rispetto alle valute fiat. La sostituzione delle valute fiat con l'oro o con i sostituti dell'oro richiederà sia un prezzo dell'oro molto più alto misurato in valute fiat, sia una massiccia contrazione dell'offerta dio moneta, o in alternativa una combinazione delle due. Inoltre la maggior parte dei mercati obbligazionari è fortemente sopravvalutata e viene valutata in base all'intervento della banca centrale. Non riflettono il rischio che il potere d'acquisto di tutte le valute fiat sia destinato a diminuire. La realizzazione di un forte calo dei prezzi delle obbligazioni sarebbe catastrofica per quelle banche che detengono nei propri bilanci il debito pubblico, sia come investimento sia come garanzia per i prestiti. È quindi probabile che un ritorno al sound money si verificherà solo dopo una crisi del credito globale; e mentre il potere d'acquisto delle valute fiat sta già scivolando in basso, siamo nel bel mezzo di una crisi sistemica globale e un ritorno al sound money sarebbe più accettabile, persino richiesto, dalla popolazione.[2]

È praticamente una certezza che le valute fiat perderanno gran parte, se non tutto, il loro potere d'acquisto, quindi la questione si riduce solamente alla scala temporale. Pensate al Venezuela. Pertanto, ad un certo punto, l'oro dovrebbe iniziare a scontare questo evento futuro, e potrebbe aumentare a più riprese il suo valore attuale, espresso in denaro fiat in declino. Ciò, in teoria, renderà più facile per le banche centrali in possesso di oro fisico considerare di utilizzarlo come stabilizzatore monetario. Ma viste le difficoltà e i decenni di fallimenti neo-keynesiani, probabilmente sarà visto come l'ultima spiaggia.

Ci sono due nazioni tra un certo numero di stati asiatici che potrebbero introdurre liquidità prima, o durante, la prossima crisi del ciclo del credito, se sceglieranno di farlo, supponendo che posseggano un adeguato ammontare di oro fisico non dichiarato. Nel caso della Russia, il suo sistema bancario è già stato pre-condizionato per gravi turbolenze monetarie, grazie alle sanzioni occidentali e al crollo del prezzo del petrolio. Inoltre la sua economia è orientata verso le esportazioni di energia e materie prime, i cui valori possono calare meno rapidamente rispetto alle valute occidentali quando il calo di queste ultime accelererà.

La Russia sta comprando oro a tutto spiano, unendosi alla Cina nel suo tentativo di dominare i mercati dell'oro fisico. È chiaro che la Russia considera importante l'oro, piuttosto che i dollari, per il suo futuro economico e monetario. Anche la Cina ha dimostrato questa mentalità. Avendolo accumulato segretamente sin dal 1983, la Cina ha poi incoraggiato i suoi cittadini ad acquistarlo autonomamente dal 2002 e negli ultimi anni ha intrapreso una politica di accesso, influenza e controllo sui mercati esteri di oro fisico, come Londra. Più di recente, attraverso un'impresa statale, ha espresso la volontà di ripristinare il ruolo dell'oro per i pagamenti giornalieri, in collaborazione con Goldmoney.

In questa fase non è chiaro fino a che punto questi due stati asiatici considerino l'oro come un obiettivo monetario o un'arma strategica da usare contro un'America belligerante. Potrebbero esserci divergenze di vedute, con la Russia più incline della Cina a destabilizzare l'Occidente introducendo un rublo coperto dall'oro. Tuttavia è improbabile che Russia e Cina agiscano in modo indipendente, preferendo agire insieme, portandosi dietro un secondo livello di nazioni asiatiche, come Iran, Turchia e altri membri dello Shanghai Cooperation Organization.

Quasi certamente la Cina si sta orientando verso l'integrazione dell'oro nel suo sistema monetario interno, come sopra delineato. Il suo sistema monetario interno è circondato da controlli sul capitale rispetto agli yuan che circolano a livello internazionale, per i quali la sua politica è stata quella di migliorarne la commerciabilità come valuta di scambio internazionale. Ad un certo punto è probabile che questi obiettivi si uniscano, perché lo yuan sta indebolendo il ruolo del dollaro USA, portando alla sua continua debolezza e, di conseguenza, all'aumento del prezzo dell'oro. I tempi degli sviluppi internazionali non sono più strettamente controllati dalla Cina, perché i tempi si stanno spostando sui mercati.

La Cina deve sapere che le mosse verso l'incorporazione dell'oro nello yuan internazionale, o addirittura la minaccia di farlo, faranno scendere la valuta statunitense, europea e giapponese. I rendimenti obbligazionari in queste valute aumenteranno in risposta all'inflazione dei prezzi e ciò contribuirà quasi certamente ad un'ulteriore destabilizzazione valutaria. Gli esportatori cinesi ne soffriranno, forse una conseguenza indesiderabile, ma gestibile. Nel frattempo possiamo solo concludere che la Cina, la Russia e tutti gli altri stati asiatici alleati sono in attesa degli sviluppi prima di andare avanti con qualsiasi forma di convertibilità dell'oro.

Per l'Occidente, è un'altra questione. L'economia monetaria rimane dominata dal pensiero neo-keynesiano, che persegue la pianificazione economica e il controllo statale finché i mercati liberi cessano di esistere. Le risposte ufficiali alla prossima crisi del credito si allontaneranno dal sound money, piuttosto che accettarlo. Le banche centrali sono certe che stamperanno più denaro e lo daranno alle banche commerciali e alle grandi società, per impedire che vadano in bancarotta. I tassi d'interesse saranno ridotti per tentare di gestire il crescente indebitamento pubblico, e ci sarà un quantitative easing più grande. I banchieri centrali non hanno altra risposta alle condizioni di credito avverse.

L'ultima volta, un decennio fa, c'è stata una corsa alla liquidità. Questa volta, grazie a dieci anni di "misure straordinarie", la liquidità è disponibile a palate. Solo se siete un economista premiato con il Nobel, ignorerete l'inevitabile collasso del potere d'acquisto della moneta fiat e le difficoltà affrontate dalla gente comune. Dichiarerete che le prospettive per la crescita economica sono buone, come il professor Stiglitz affermò sul Venezuela dieci anni fa. È a questo punto che la Cina e la Russia potrebbero decidere di premere il grilletto sulla convertibilità dell'oro.

Altrove, non c'è appetito, nessuna capacità intellettuale, per un ritorno al sound money. L'Occidente, in particolare l'America, può ritenere che sia vittima di una guerra finanziaria, rendendolo più belligerante. Le nazioni occidentali riporteranno l'orologio indietro fino agli inizi degli anni '20, quando Germania, Austria, Russia, Polonia, Bulgaria e Ungheria sperimentarono crolli monetari, e le loro valute erano scoperte. È dalle ceneri di un collasso valutario globale nei prossimi anni che potremo avere un ritorno all'oro come sound money e un ritorno a sostituti del denaro completamente convertibili.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/


_________________________________________________________________________________

Note

[1] La caduta del muro di Berlino ha sottolineato a tutti quanto fosse fallimentare il socialismo, soprattutto al paragone delle condizioni sociali migliori in Occidente, dove prevalevano mercati più liberi.

[2] Nel 1922 era di pubblico dominio il bisogno di sound money affinché il governo austriaco potesse fermare l'iperinflazione, anche se in Germania continuò ancora per un altro anno.

_________________________________________________________________________________


giovedì 28 giugno 2018

Non è la guerra commerciale ai tempi dei vostri nonni: la vendetta del denaro fasullo, Parte #2





di David Stockman


L'effetto del denaro fasullo delle banche centrali è stato quello di far crescere in maniera innaturale l'economia industriale cinese e svuotare quella dell'America. È come se una forma accelerata di tettonica delle placche economica avesse rotto grandi blocchi nel midwest/sud-est industriale statunitense e li avesse impiantati nel Pearl River Delta (Guangzhou), nel delta del fiume Yangtze (Shanghai) e nel Bohai Economic Rim (Beijing, Tianjin , Hebei).

Questo trasferimento è avvenuto dopo il 1987, perché in un mondo fatto di credito praticamente illimitato delle banche centrali, non esiste un processo di compensazione. Le deformazioni non vengono periodicamente eliminate dai meccanismi del libero mercato. Invece, sotto la tutela dello stato e del suo braccio armato (banca centrale), si metastatizzano indefinitamente fino a quando non si sfracellano contro un muro di mattoni.

Nell'attuale momento storico, quel muro è Trump. Vale a dire, la vera missione di Donald Trump è quella di schiacciare la simbiosi tossica trentennale in base alla quale il mercantilismo in Cina e la finanziarizzazione negli Stati Uniti hanno funzionato come due piselli che si rinforzavano reciprocamente in un baccello.

Infatti il denaro fasullo ha sostituito la ricchezza e la produzione delle ex-province industriali dell'America con il massiccio debito delle famiglie e gli asset finanziari drasticamente gonfiati. Allo stesso tempo, e in concomitanza con il mercantilismo militante dello stato post-maoista della Cina, ha generato l'attuale ordine economico globale.

Ci riferiamo, ovviamente, al fatto che, in quanto economia relativamente povera e in via di sviluppo, la Cina sia diventata di fatto un banchiere da $4,000 miliardi per il mondo ricco e sviluppato. Di conseguenza il XXI secolo ha deriso le regole del capitalismo del XIX secolo: è come se l'India, economicamente arretrata, fosse stata il banchiere delle regioni industrialmente avanzate di Londra, mentre quest'ultima il mutuatario.

L'assurdità di questa situazione, lo Schema Rosso di Ponzi che funziona come il banchiere e l'esportatore di capitali del mondo, viene ignorata dalle classi dominanti di Wall Street/Washington a causa della piaga della finanziarizzazione. Cioè, sono diventati così dipendenti dal misurare la salute economica attraverso l'indice S&P 500 da essere diventati ignari delle vaste deformazioni economiche che il denaro fasullo ha prodotto.

Sotto questo aspetto, c'è un gruppo di ideologi del libero mercato che contribuisce (forse inavvertitamente) alla cecità dominante. La loro tesi è che l'America è un posto così meraviglioso che il capitale globale viene a bussare alle sue porte.

Quindi, se volete godere dei frutti dei vasti afflussi di capitali, dovete far fronte ad ingenti disavanzi commerciali; e presumibilmente per sempre, un mondo senza fine. È solo un'identità contabile!

Ma le leggi dell'aritmetica mettono un freno alla teoria dei deficit eterni. Dall'ultimo avanzo degli Stati Uniti sul conto degli investimenti internazionali nel 1988 ($21 miliardi), il saldo è precipitato in basso su una base praticamente ininterrotta e ora si attesta a -$8,000 miliardi.

Le barre arancioni nel grafico qui sotto sono "indebitamento internazionale degli Stati Uniti", ed è aumentato ad un ritmo annuo del 21.5% per 28 anni. Altri 28 anni a questo ritmo e gli Stati Uniti dovrebbero al mondo $2,000,000 miliardi, e solo a metà di quel ritmo staremmo parlando ancora di un debito da $150,000 miliardi entro il 2045.

Ovviamente la Legge di Stein sull'insostenibilità (che tende a fermarsi) entrerebbe in gioco molto prima di entrambe le eventualità, ma il nostro punto riguarda più della semplice aritmetica.

Ad esempio, nel 1980 il saldo dell'investimento netto col resto del mondo (+$300 miliardi) dell'economia statunitense rappresentava circa il 10% del PIL. Quella cifra non era insolita o irragionevole per quella che era stata la principale economia nell'export e la principale nazione creditrice del mondo durante i precedenti sei decenni (sin dal 1914).

Ma l'America sicuramente non è diventata ricca immergendosi profondamente nel debito con il resto del mondo da allora in poi; nel 2017 il suo investimento netto ammontava a -42% del PIL. Quello che gli accademici dimenticano è che il denaro fasullo e il libero commercio non giocano bene insieme; il primo distrugge i segnali di prezzo e blocca gli aggiustamenti di compensazione del mercato.

Così facendo, tenta di violare la Legge di Stein. Ma ora sappiamo in pratica, piuttosto che solo in teoria, che è impossibile.

Alla fine ciò che si ottiene è Donald Trump e Peter Navarro, dove secondo quest'ultimo il protezionismo è la nuova via per il libero scambio!


Siamo abbastanza sicuri che le cose non stanno così, e che l'approccio di Donald ai giganteschi squilibri commerciali del mondo sia un vicolo cieco. Questo perché, in fondo, questi ultimi non sono principalmente il risultato di cattivi accordi commerciali, o pratiche sleali, che possono essere rinegoziati dalla politica commerciale globale; sono invece il frutto del denaro fasullo.

E per quanto ne sappiamo, il nostro Re del Debito nell'Ufficio Ovale ha fatto i suoi miliardi di dollari grazie allo stesso denaro fasullo, e quindi i tassi bassi vanno bene.

Ciò significa, ovviamente, che i negoziati di Donald non cambieranno una bilancia commerciale orribilmente squilibrata in cui gli Stati Uniti hanno esportato $130 miliardi in Cina nel 2017 e quest'ultima ha esportato $506 miliardi negli Stati Uniti.

Il deficit da $375 miliardi non si sarebbe mai verificato in un libero mercato con denaro onesto, perché i prezzi, i salari ed i costi relativi si sarebbero adeguati da molto tempo.

Ma né gli statisti della FED di Greenspan né i Suzerain Rossi mercantilisti di Pechino hanno lasciato che la legge dei mercati facesse il suo corso.

Così, dopo il crollo del mercato nell'ottobre 1987, Greenspan è andato all-in con la pianificazione monetaria centrale. Ha inondato il mondo di dollari per sopprimere i tassi d'interesse interni e incoraggiare gli americani a vivere al di là delle loro possibilità sfruttando l'equity delle case.

A sua volta Pechino ha arroventato ancora di più la stampante della PBOC. Cioè, ha rastrellato $4,000 miliardi di titoli di stato statunitensi, giapponesi ed europei in circa 15 anni, e non perché Pechino avesse voglia di investire all'estero, come suppongono i nostri monetaristi.

Al contrario, Pechino desiderava fare il contrario: vale a dire, promuovere massicci investimenti di capitale, occupazione e guadagni nel reddito in patria, alimentando le sue industrie nell'export con tassi di cambio deboli e bassi salari e prezzi interni. Per fare ciò, la PBOC ha comprato dollari per ancorare la propria moneta al biglietto verde, e poi li ha sequestrati in una massiccia scorta di debiti in dollari e altri titoli esteri.

Essendo i keynesiani d'acqua dolce affezionati ai mercati liberi tranne che nel denaro e nelle banche centrali, non hanno capito che mandare in soffitta Bretton Woods ha incentivato le banche centrali ad abusare, sfruttare e soppiantare implacabilmente il libero mercato dove è più necessario: vale a dire, nei mercati monetari e dei capitali che sono il battito vitale del capitalismo di mercato.

Questa è il riassunto di quello che è accaduto sin dalla metà degli anni '90 in poi, dopo che la Cina ha ridotto il suo tasso di cambio del 60% e successivamente lo ha ancorato al dollaro attraverso un intervento massiccio e continuo. In un sistema col sound money il conseguente crollo dei conti commerciali degli Stati Uniti avrebbe automaticamente generato un tasso d'interesse nettamente superiore, il che, a sua volta, avrebbe favorito una deflazione sistematica dei prezzi, dei salari e dei costi interni.

Alla fine, le esportazioni statunitensi sarebbero diventate più competitive, mentre le importazioni, in particolare quelle di mercantilisti come la Cina, avrebbero perso il vantaggio competitivo e sarebbero diminuite. Ma questo tipo di aggiustamenti di libero mercato non sono mai avvenuti.

Invece facendo finta di essere il flagello dell'inflazione mantenendo l'IPC a +/- il 2.0%, Greenspan ha fatto l'opposto. Ha spinto i tassi d'interesse costantemente più in basso in termini nominali e reali, e in tal modo ha generato l'antitesi dell'equilibrio che invece esisteva sotto il gold standard.

Invece di salire, i tassi d'interesse sono scesi costantemente, mentre il deficit delle partite correnti è balzato a livelli storicamente mai visti.


In questo contesto, è bene ricordare quali fossero i tassi d'interesse reali durante l'era d'oro alla fine degli anni '50 fino al 1965, prima della rottura causata dalla follia "Guns and Butter" di LBJ.

Sotto William McChesney Martin, un veterano del crollo di Wall Street del 1929, il differenziale tra i rendimenti obbligazionari e l'inflazione (cioè i tassi d'interesse reali) rimase nella zona compresa tra il 2.5% ed il 3.5%. Allo stesso tempo, il conto delle partite correnti era approssimativamente bilanciato e il mondo lamentava una carenza di dollari durante la maggior parte di quel periodo.


Al contrario, dopo il crollo di Long-Term Capital Management a Wall Street nel settembre 1998, la FED di Greenspan abbandonò la sua storica cautela. Ormai legata al culto della salita perenne dei prezzi delle azioni, la FED di Greenspan ha sostanzialmente distrutto il dollaro, inducendo così i Suzerain Rossi di Pechino a raddoppiare la posta in gioco.

Vale a dire, poiché la FED ha ampliato il suo bilancio, la Cina ha ricambiato: è intervenuta nei mercati valutari sempre più pesantemente per mantenere l'RMB altrettanto debole quanto il dollaro.

Detto in modo diverso, gli Stati Uniti avevano bisogno di tassi d'interesse alti e di un dollaro super forte, ma il Maestro ha fatto esattamente l'opposto: ha sostanzialmente eliminato i tassi d'interesse (reali).

Infatti, incoraggiando la Cina ed altri Paesi mercantilisti a fare scorta del debito del Tesoro USA ad un ritmo ancora più rapido di quello della FED, Greenspan ha fatto sì che le banche centrali del mondo diventassero un gigantesco convoglio di monetizzazione del debito e falsificazione dei prezzi in tutti i mercati finanziari del pianeta.

Così facendo, il sistema bancario centrale ha intorbidito i mercati liberi ed il libero scambio. Ha alimentato un continuo allargamento degli squilibri e delle deformazioni economiche globali piuttosto che consentire ai tassi d'interesse, guidati dal mercato, di ristabilire l'equilibrio.


Una delle conseguenze della distruzione dei tassi d'interesse di mercato è stata l'abbuffata di debito da parte delle famiglie. Quest'ultima, a sua volta, ha attenuato temporaneamente i posti di lavoro ed i redditi interni che andavano persi. Poiché i conti del PIL erano stati ideati dai keynesiani negli anni '30 e '40, questa attenuazione era inizialmente invisibile.

Dopotutto, la spesa per consumi personali rappresenta il 70% del PIL e nessuno al Dipartimento del Commercio che la calcola (il BEA) chiede ai consumatori se hanno guadagnato i dollari spesi durante il trimestre in esame, o se li hanno presi in prestito.

Alla fine i nodi vengono al pettine. Nonostante la riduzione temporanea della leva finanziaria durante la grande crisi finanziaria e le sue conseguenze, il debito delle famiglie oggi si attesta a circa 6.0 volte quello del 1989 rispetto ad un aumento di 3.8 volte dei salari nominali.

Purtroppo la carta di debito ormai è stata giocata e non può esserlo una seconda volta, come dimostrato dall'arrivo del Picco del Debito nel settore delle famiglie. Nella Parte 3 documenteremo come la ricerca sbagliata da parte della FED di tassi d'interesse bassi e un'inflazione al 2%, abbia reso l'economia americana sempre meno competitiva, mentre ha sepolto famiglie, imprese e governi sotto il debito.

Di fronte a queste disfunzioni strutturali profondamente radicate, siamo abbastanza fiduciosi che gli attuali dazi sono solo uno spettacolo secondario. La vera crisi sarà molto più traumatica, perché richiede lo scoppio della grande bolla finanziaria trentennale che è la causa alla base dei massicci squilibri commerciali del mondo.



[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/



=> Potete leggere la Parte 1 a questo indirizzo: https://francescosimoncelli.blogspot.com/2018/06/non-e-la-guerra-commerciale-ai-tempi.html

=> Potete leggere la Parte 3 a questo indirizzo: https://francescosimoncelli.blogspot.com/2018/07/non-e-la-guerra-commerciale-ai-tempi.html


mercoledì 27 giugno 2018

Il Giappone abbandona lo standard inflazionistico al 2%





di Brendan Brown


Il Giappone è ora in procinto di abbandonare lo standard inflazionistico al 2%, essendo stato l'ultimo ad aderirvi (nel 2013). Di conseguenza, la Banca del Giappone ha cancellato dalla sua ultima dichiarazione pubblica (fine aprile) tutte le promesse riguardo il raggiungimento di tale obiettivo entro una determinata data.

L'apparente rinvio indefinito potrebbe essere ingannevole. Il Governatore della BoJ, Kuroda, potrebbe semplicemente voler evitare l'imbarazzo di scusarsi continuamente per una promessa mai mantenuta, ma ha ancora tutte le intenzioni di utilizzare pienamente le politiche monetarie non convenzionali per raggiungere suddetto obiettivo d'inflazione. Tuttavia, a conti fatti, gli osservatori della banca centrale di Tokyo respingono tale scetticismo, e alcuni di loro suggeriscono le probabili dimissioni anticipate di Abe o la sua sconfitta alle prossime elezioni.

Nessuno dovrebbe aspettarsi, però, l'alba di un'era di denaro sonante per il Giappone. L'ipotesi falsa che vuole i funzionari monetari e i loro osservatori percorrere la via d'uscita dallo standard inflazionistico al 2%, non è per niente coerente con un risultato del genere.

Tale ipotesi si fonda su una "situazione demografica difficile": il restringimento della popolazione giapponese, insieme al suo forte invecchiamento, si accompagnerà ad una diminuita opportunità d'investimento e ad un eccesso di risparmi. Queste cose si rifletterebbero nel tasso d'interesse neutrale, che ora molto probabilmente è significativamente negativo. Quindi anche le politiche monetarie non convenzionali non potrebbero "far salire" l'inflazione.

Eppure l'abbandono dello standard inflazionistico al 2% a causa della demografia cozza con la storia ed i principi.

Agli inizi degli anni '20 la Francia era nel mezzo di una "crisi demografica" e tuttavia ciò non impedì lo scoppio di un'inflazione elevata e un crollo del franco. E sì, le opportunità d'investimento potrebbero effettivamente ridursi nell'aggregato in Giappone (meno lavoratori da rifornire con beni capitali, anche se ci sarebbero altre compensazioni da considerare come la tecnologia che permette di risparmiare lavoro, nuovi mercati rivolti ad una popolazione anziana in crescita tra cui abitazioni e assistenza sanitaria). Ma accanto a ciò, i risparmi giapponesi in termini aggregati tenderebbero a diminuire con il calo della popolazione, soprattutto quando una popolazione molto anziana riduce il capitale per le spese correnti.

Anche se le influenze demografiche dovessero favorire un maggiore surplus di risparmio interno, perché ciò non dovrebbe riversarsi nei mercati dei capitali esteri facendo emergere premi di rischio che sottoporrebbe il livello neutrale dei tassi in Giappone a pressioni al ribasso? La Francia alla fine del XIX secolo e all'inizio del XX secolo registrò un enorme risparmio e un surplus delle partite correnti con grandi esportazioni di capitali privati.

L'affermazione "Il Giappone è diverso" si basa su investitori che hanno forti home bias; e ciò potrebbe essere particolarmente significativo nel clima economico odierno, in cui molti mercati degli asset in tutto il mondo stanno registrando una temperatura altamente speculativa in condizioni di inflazione monetaria. Ma le temperature sono alte anche in Giappone e l'affermazione è diametralmente opposta all'enorme boom dei carry trade nei confronti dello yen durante l'ultimo ciclo — sicuramente la prova che il cosiddetto home bias può trovare terreno fertile in un ambiente con hot money.

Probabilmente molti investitori giapponesi non si rendono conto della virulenza dell'inflazione monetaria interna, data l'entità del suo camuffamento nei mercati dei beni e servizi. Due importanti fattori hanno contribuito al camuffamento: la continua integrazione del Giappone con le economie del sud-est asiatico (che fanno scendere i prezzi di molti articoli) e l'erosione della retribuzione in eccesso nella grande industria giapponese. Negli ultimi tempi i salari sono aumentati nel mercato del lavoro non regolamentato.

Una terza forza dietro il camuffamento dell'inflazione è stata il calo delle rendite residenziali, che riflettono in parte la demografia ma anche l'aumento dell'offerta (specialmente nell'area di Tokyo).

In sintesi, il ritmo naturale dei prezzi è stato così fortemente al ribasso in Giappone che persino gli strumenti non convenzionali dell'inflazione monetaria non hanno ancora svelato il camuffamento. Potrebbero farlo in qualsiasi momento ed è prematuro che la Banca del Giappone concluda che l'inflazione di beni e servizi non possa salire al 2%, o anche più in alto, in futuro.

Invece non c'è stato alcun camuffamento per l'inflazione degli asset.

In Giappone, i sintomi dell'inflazione monetaria nei mercati degli asset comprendono le ingenti operazioni a leva nel rischio di credito e nel rischio a termine, all'interno o all'esterno del Giappone. La più grande irrazionalità di tutte potrebbe essere il mantenimento di enormi portafogli di decennali giapponesi a rendimento zero; e la contropartita di questo è un modello di spesa sociale, spesa pubblica e risparmi privati ​​sicuramente insostenibile nel lungo periodo.

La generazione giapponese ancora lontana dal pensionamento è consapevole delle strategie irrazionali perseguite dalle istituzioni a cui sono affidati i loro risparmi. C'è disagio e, in alcuni casi, repulsione, insieme a preoccupazione montante tra molti già pensionati. Questo disagio deriva dalle preoccupazioni circa l'erosione dei loro risparmi da parte dell'inflazione — e questo potrebbe far sì che l'abbandono dello standard inflazionistico al 2% sembri una buona politica per il prossimo governo.

La sfida sarà ignorare gli avvertimenti dell'establishment neo-keynesiano, secondo cui il Giappone dovrebbe prepararsi all'ennesimo episodio di forte deflazione se fosse seriamente perseguita tale soluzione. Ma questi imbecilli capiscono sempre le cose al contrario.

Sì, un abbandono dello standard inflazionistico al 2% (compresa la palese manipolazione dei tassi d'interesse con i rendimenti del decennale giapponese ora ancorati quasi allo zero) porterebbe ad un apprezzamento dello yen. E ci sarebbero forti pressioni al ribasso sui salari e sui prezzi nel settore dei beni commerciabili. Ma tali cali sarebbero una tantum, e gli aumenti futuri sarebbero incorporati in questa prima mossa. Questo meccanismo di calo dei prezzi seguito da un rimbalzo prevedibile fornisce la base ai consumatori giapponesi per anticipare consumi e investimenti in questi beni, disponibili a condizioni vantaggiose.

Uno yen apprezzato consentirebbe ai giapponesi di accumulare asset esteri, fornendo un cuscinetto contro la distruzione definitiva dell'inflazione degli asset nella sua fase finale. I tassi d'interesse positivi in ​​Giappone metterebbero pressione al settore pubblico affinché riduca le spese inutili, allettando gli investitori internazionali ad un investimento nello yen. Questa sarebbe una buona tendenza, in quanto questo Paese sta entrando nella fase del ciclo demografico in cui i suoi risparmi potrebbero ridursi, passando all'importazione di capitali su base netta.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/


martedì 26 giugno 2018

L'Unione Europea vuole diventare un bullo mondiale ancora più grande





di Bill Wirtz


Nel corso del tempo l'Unione Europea non si è sviluppata in una cooperazione economica tra le nazioni. L'UE è un governo grande ed invadente che acquisisce costantemente nuovi poteri. E come tutti i superstati, la sua tendenza a difendere la libertà dal controllo è una farsa.



Gli "Stati Uniti d'Europa"

Quando l'euroscetticismo è diventato parte integrante del panorama politico dell'Unione Europea, i timori della creazione degli "Stati Uniti d'Europa" si sono diffusi tra i circoli contrari a questo progetto politico. A quei tempi, questa paura era ampiamente considerata come un cliché. Tuttavia i cliché diventano tali per una ragione.   

Proprio come predetto da coloro scettici nei confronti della burocrazia di Bruxelles, l'Unione ha concentrato il potere all'interno delle sue strutture. Ora che il Regno Unito è diventato il primo Paese a lasciare l'UE, si potrebbe pensare che ci sia stata una rivalutazione di questo grande sforzo di centralizzazione. Ma al contrario, l'Unione Europea si sta sempre più orientando verso la centralizzazione in due aspetti chiave: politica estera e difesa.



Politica estera

Fin dall'ultima riforma istituzionale dell'UE nel 2009, la Commissione Europea, che è il ramo esecutivo, ha nominato un alto commissario per le relazioni estere. Tale ruolo, attualmente ricoperto dal politico italiano Federica Mogherini, è stato deriso perché sostanzialmente inutile in quanto l'UE non ha una politica estera comune. È come se venisse nominato un segretario in un dipartimento che non ha ricevuto alcun potere dal governo. Tuttavia ciò non ha impedito alla Mogherini di fare dichiarazioni politiche nel tentativo di unire gli stati membri europei dietro una posizione comune. 

Un esempio degno di nota è stato quando la Mogherini ha condannato gli Stati Uniti per aver spostato l'ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, ma la Repubblica Ceca ha bloccato qualsiasi tentativo di avere una posizione comune. Il presidente ceco Miloš Zeman ha promesso consecutivamente di seguire i passi del comando americano e spostare anche l'ambasciata ceca. 

Ciò ha fatto venire un gran mal di testa a coloro che intendono centralizzare l'Unione Europea. A Bruxelles l'idea che i singoli stati membri divergano dalla posizione del "buon senso" è mal accolta; qualcosa che è stato dimostrato dall'influente negoziatore del Parlamento e della Brexit Guy Verhofstadt in questo tweet:


L'ultima frase è essenziale per la tesi dei federalisti europei: se vivremo in un mondo in cui il continente europeo diventerà sempre meno influente, le forze aggreganti sono l'unico modo per preservare una posizione europea globale. Coloro che sostengono la centralizzazione del potere, cercano di usare questa paura per sbarazzarsi del processo di unanimità, mediante il quale tutti gli stati membri devono concordare una piattaforma politica comune.



Difesa

Questa paranoia riguardante la diminuzione dell'influenza europea ha avuto ripercussioni anche in altre politiche. Infatti l'Unione Europea sta lavorando per un'unione militare. Dopo la decisione del presidente Trump di ridurre le spese militari statunitensi in Europa, Bruxelles ha sponsorizzato sempre più la causa di un'unione della difesa comune.

La cosiddetta Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) è un progetto che favorisce l'integrazione strutturale delle forze militari dei 25 Paesi partecipanti. Questa esclude il Regno Unito, la Danimarca e lo stato neutrale di Malta, che non parteciperanno. I piani attuali includono aggiornamenti alla sorveglianza marittima, veicoli corazzati di fanteria e artiglieria.

Questa iniziativa solleva interrogativi sull'interazione con la NATO, per la quale quasi nessuno degli stati partecipanti contribuisce al due percento richiesto. Di fatto nell'Europa post-Brexit, l'80% della spesa per la difesa della NATO arriverà da alleati non UE. Inoltre, in un'Europa che è più sicura ora che negli anni '70 e che è uno dei luoghi più pacifici del pianeta, a quale minaccia si sta preparando il continente? Questa mossa avrebbe senso solo in un mondo in cui Bruxelles immaginasse che la Russia volesse invadere gli stati baltici. Tuttavia anche se dovessimo considerare plausibile questa idea, dovremmo essere consapevoli di quanta potenza militare dovrebbe essere concentrata in un'unica struttura politica. Invece di acquistare nuovi carri armati, missili e droni, l'Unione Europea dovrebbe cercare di aumentare il numero di interazioni pacifiche tra gli stati praticando un commercio libero e aperto con il mondo.



La centralizzazione dovrebbe sollevare molti dubbi

Questo è il motivo per cui i liberali classici in Europa hanno costantemente diffidato della centralizzazione del governo. Quando il re di Francia centralizzò il suo Paese, lo fece per aumentare le tasse e far finire il continente in guerra. Dopo che l'impero tedesco unificò un Paese frammentato in piccoli stati, l'Europa si impigliò nella prima guerra mondiale attraverso un'aggressiva espansione militare di stati preponderanti.

Con questo si vuole dire che i burocrati di Bruxelles sono pronti per il dominio del mondo? Certamente no. Sono così motivati ​​dal tentativo di impedire gli atti del 20° secolo da essere disposti ad istituire un governo di tecnocrati con poca legittimità, ma buone intenzioni. La strada per l'inferno, tuttavia, è lastricata di buone intenzioni. La struttura di potere che verrebbe stabilita attraverso un superstato europeo è pericolosa, non perché gli attuali burocrati sono malvagi, ma perché attrae chi è già corrotto. Questo è esattamente ciò che Friedrich Hayek disse in The Road to Serfdom nel capitolo intitolato "Perché i peggiori finiscono per comandare":
Mentre c'è poco che possa indurre gli uomini che sono buoni secondo i nostri standard ad aspirare a posizioni di guida nella macchina totalitaria, e molto a scoraggiarli, ci saranno opportunità speciali per gli spietati e coloro senza scrupoli.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/


lunedì 25 giugno 2018

Non è la guerra commerciale ai tempi dei vostri nonni: la vendetta del denaro fasullo, Parte #1





di David Stockman


Con uno dei suoi tweet sulla Cina, Trump ha dimostrato ancora una volta di avere una straordinaria capacità di entrare nel vivo delle questioni... anche se per puro caso!

Eppure ha ragione. La guerra commerciale è stata "persa molti anni fa" ed è la ragione per cui l'entroterra americano ha votato per lui. Ma, ahimè, le "persone folli o incompetenti" infilzate nel tweet di Trump, non sono un dipartimento del commercio defunto o funzionari di altri tempi.

No, non sono affatto burocrati in carne ed ossa. I colpevoli sono gli uomini e le donne residenti nell'Eccles Building, i quali negli ultimi trent'anni hanno trasformato la FED in una macchina gonfia-bolle e l'economia di Main Street in una torre piena di debiti.

In un certo senso, il denaro fasullo ha vinto sul libero scambio. E ciò significa che l'attuale guerra commerciale non è quella dei tempi dei nostri nonni; è la vendetta del denaro fasullo. La verità è che lo Schema Rosso di Ponzi è uno scherzo della natura che ha devastato gran parte dell'economia industriale statunitense. Ma il segreto oscuro all'insaputa di Trump e di Wall Street/Washington è che il mostro cinese è stato attivato ed alimentato dalla politica monetaria della banca centrale statunitense dopo il 1987.

Il punto di svolta è arrivato quando Deng concluse che Mao aveva torto sulla fonte del potere statale: piuttosto che dalla canna di una pistola, come aveva insistito il Grande Timoniere, Deng Xiaoping ordinò un deprezzamento del 60% dello yuan, riconoscendo la maggiore efficacia del potere del credito emesso dalla stampante monetaria della banca centrale.

Il dado fu tratto esattamente allora. Di fronte alla più grande campagna di esportazione mercantilistica della storia mondiale e al drenaggio delle vaste risaie cinesi di decine di milioni di lavoratori a buon mercato per riempire le nuove fabbriche orientate all'export, l'economia statunitense richiedeva soprattutto una cosa: una deflazione sistematica della sua struttura dei prezzi, dei salari e dei costi; alti tassi d'interesse per smorzare i consumi e incoraggiare il risparmio; e livelli sovra-storici di investimenti in impianti, attrezzature e tecnologia per fornire ai lavoratori americani un vantaggio insuperabile in termini di strumenti e produttività del lavoro.

Inutile dire che il pompaggio monetario di Greenspan, il crescente aumento del debito e gli effetti ricchezza legati alla finanziarizzazione, non erano semplicemente l'opposto di quello che avrebbe generato un sistema con sound money; rappresentavano il bacio della morte per il mondo del lavoro, la prosperità e la speranza dell'entroterra americano, come illustra il grafico qui sotto.

Gente, questo grafico non è il frutto della mano invisibile di Adam Smith. Le esportazioni mensili della Cina negli Stati Uniti a soli $490 milioni nel novembre 1987 non sono esplose di 98 volte nei 30 anni successivi, a $48.2 miliardi nel novembre 2017, a causa del vantaggio comparato!

Infatti il grafico qui sotto non sarebbe minimamente possibile in un sistema con sound money e determinazione onesta dei prezzi nei mercati dei capitali. Al contrario, il vantaggio iniziale della Cina nella manodopera a basso costo avrebbe portato ad un grande afflusso dell'asset di riserva (ad es. oro) in Cina e un ampio deflusso dagli Stati Uniti, provocando inflazione dei salari e dei costi in Cina e deflazione negli Stati Uniti.

Detto in modo diverso, se accoppiato con il sound money, il libero mercato non è un suicidio: gli squilibri delle partite correnti vengono liquidati tramite il movimento di un asset di riserva reale. Tale processo, a sua volta, fa sì che i tassi d'interesse interni diminuiscano e il credito si espanda in caso di afflussi, e il contrario nel caso di persistenti deficit commerciali e deflussi dell'asset di riserva.

Infine i prezzi interni, i costi ed i salari tornano a livelli sostenibili e nel lungo periodo le partite correnti restano in ragionevole equilibrio tra i partner commerciali. Al contrario, il picco viola nella parte in alto a destra del grafico sottostante rappresenta un tasso di crescita annuale composto del 17% per trenta anni consecutivi; è il lavoro del denaro fasullo, non del libero mercato.


Ciononostante, i cosiddetti sostenitori del "libero commercio" nei media mainstream si stanno lamentando della presunta ignoranza economica di Trump. Quando si tratta di errori intellettuali, tuttavia, non siamo sicuri cosa sia peggio tra il mercantilismo del 17° secolo di Trump o le fandonie di Steve Liesman sulla CNBC.

Non bisogna preoccuparsi dei deficit commerciali giganti o di una crescita di 98 volte delle importazioni dalla Cina, ha affermato, perché in realtà è un segnale di successo.
"Quando diventiamo più ricchi compriamo tutto ciò che viene fatto qui e poi anche altre cose provenienti dall'estero".

Non così in fretta, diremmo. Liesman stava parlando del tipo di ricchezza transitoria che si misura moltiplicando miliardi di azioni per i loro prezzi gonfiati. Come abbiamo già appreso due volte in questo secolo, questo tipo di ricchezza può crollare del 50% o più in un battito di ciglia quando le bolle finanziarie seriali della FED crollano sotto il loro stesso peso.

La verità, naturalmente, è che il grafico qui sopra non è un'aberrazione; è solo il manifesto del marciume economico sottostante che è stato indotto dal denaro fasullo. Come dimostreremo in questa serie di tre articoli, il grafico qui sotto, raffigurante il commercio totale degli Stati Uniti (compresi beni e servizi), è stato attivato da un'inflazione monetaria alimentata dalla banca centrale la quale non ha nulla a che fare con una ricchezza sostenibile.

In una parola, la FED ha stampato e così ha fatto ogni altra grande banca centrale del mondo, e la malattia mercantilistica si è diffusa in tutti e quattro gli angoli del pianeta.

In questo sistema, governanti e politici di tutto il mondo hanno autorizzato le loro banche centrali a scambiare le risorse delle loro terre (i petro-stati ed i Paesi pieni di risorse) e il sudore dei loro lavoratori (Cina, India e simili) per le passività in dollari USA (debito del Tesoro degli Stati Uniti e delle GSE), in uno sforzo fuorviante e futile per proteggere la loro prosperità basata sull'export.

A medio termine, naturalmente, questo ha permesso agli Stati Uniti di tirare fuori una delle più grandi truffe della storia economica. Abbiamo emesso debito in grande abbondanza e lo abbiamo scambiato per i loro beni e servizi. Dal 1980 questo colpo ha permesso l'accumulo fino a $12,500 miliardi di deficit nelle partite correnti; e quando gonfiate quei dollari per colmare il potere d'acquisto perso, il totale è più di $19,000 miliardi.

Proprio così. Gli Stati Uniti hanno essenzialmente preso in prestito il loro intero PIL attuale dal resto del mondo per vivere temporaneamente sulle spalle degli altri.

Inutile dire che questo non infastidisce minimamente i Liesman del mondo, perché il casinò di Wall Street è fondamentalmente astorico quando si tratta dei fondamenti del sound money e della finanza. Secondo il loro quadro keynesiano, la banca centrale è al lavoro per migliorare il futuro e i prezzi delle azioni sono sempre in aumento, e questo è tutto ciò che conta. Punto.

Ovviamente esternazioni come quelle di Liesman appartengono alla stessa categoria di quelle dei venditori ambulanti nel casinò: qualsiasi brusco calo nel mercato azionario è una gradita purga delle mani deboli; o l'affermazione del presidente della St. Louis Fed, James Bullard, secondo cui non sono necessari ulteriori rialzi degli interessi perché la FED ha già raggiunto il "tasso neutrale".

Proprio così. Il tasso dei fondi federali (ad oggi all'1.62%) è negativo al netto dell'inflazione (2.2%). Se possiamo avere deficit delle partite correnti per sempre, perché non anche tassi d'interesse reali negativi in ​​perpetuo?


Il punto, tuttavia, va ben oltre la verità della famosa osservazione di Herb Stein secondo cui le tendenze insostenibili tendono a fermarsi. In questo caso, infatti, sembra che fermare i deficit commerciali insostenibili stia ricevendo un certo aiuto dal più improbabile politico americano. Ora che Trump sta tentando di dare al paziente la sua medicina protezionistica, sta venendo fuori qualcosa di più che l'insostenibilità dei $19,000 miliardi in deficit delle partite correnti. Vale a dire, l'inutilità dei dazi "forfettari" in un contesto globale in cui le fondamenta economiche sono state deformate ovunque.

Questa deformazione è abbastanza ovvia sul lato statunitense dell'equazione. Il reddito familiare reale medio non è aumentato di un centesimo dal 1999, e appena dello 0.25% all'anno dal 1989, poco dopo l'era della Finanza delle Bolle di Greenspan.

Nella Parte 2 esamineremo come la ricerca distruttiva di un'inflazione al 2.00% abbia favorito questo deplorevole risultato, e come la trasformazione dei mercati dei capitali in bische clandestine abbia generato un'imponente ingegneria finanziaria nei piani alti delle grandi aziende americane e l'effettiva de-capitalizzazione di Main Street.


Ma la deformazione definitiva risiede nello Schema Rosso di Ponzi, il quale è intrinsecamente una polveriera economica alla ricerca di una miccia.

In realtà, essendo un prodotto bizzarro di 30 anni di denaro fasullo, è l'esatto opposto dell'assurda presunzione di Wall Street/Washington secondo cui sarebbe solo l'ennesima grande economia che ha esagerato con la "crescita"; e che ora guarda alla mano ferma di Pechino per effettuare una transizione senza intoppi. Cioè, una migrazione ordinata da un boom economico della produzione, delle esportazioni e degli investimenti fissi ad un piacevole sistema fatto di acquisti, automobilismo e consumo di massa.

Magari fosse così semplice, ma la Cina non è un miracolo economico da $12,000 miliardi; è una nazione quasi totalitaria impazzita, che costruisce, prende in prestito, spende e specula ad una intensità che non ha paralleli storici.

Così facendo, si è trasformata in un vulcano incendiario di debito impagabile ed investimenti folli in tutto. Non può essere rallentata, stabilizzata, o modificata, da editti e nuovi piani dei compagni di Pechino. È il più grande disastro economico della storia umana che si dirige verso un abisso economico.

E questo è ciò che rende insulsa l'attuale ipotesi di Wall Street secondo cui la guerra commerciale di Trump non rappresenta nulla di cui preoccuparsi.

Infatti non solo è sbagliata la nozione secondo cui la battaglia sui dazi di oggi alla fine finirà con un compromesso clientelare; ma tale conclusione ignora completamente le fondamenta economiche in putrefazione che ci hanno portato fin qui.

Detto in modo diverso, il recinto industriale bruciato di Pennsylvania, Ohio, Michigan, Wisconsin e Iowa potrebbe aver scelto Trump per soffiare sui deficit commerciali, ma così facendo hanno anche messo in pericolo l'intero sistema del denaro fasullo che è alla base dell'attuale ordine insostenibile.

Se la Cina cola a picco, l'economia globale non può evitare un fragoroso sconvolgimento finanziario e macroeconomico. E non solo perché la Cina rappresenta il 17% degli $80,000 miliardi di PIL del mondo, o che è stata il motore della crescita del pianeta per la maggior parte di questo secolo.

Come abbiamo indicato, la Cina è l'epicentro della frode trentennale delle banche centrali e dall'esplosione del credito che ha deformato e destabilizzato la trama dell'economia globale.

Come indicato sopra, la follia finanziaria della Cina s'è spinta ad un estremo insondabile perché nei primi anni '90 una disperata oligarchia di despoti che governavano con mitragliatrici scoprì un mezzo migliore per rimanere al potere. Cioè, la stampante monetaria nel seminterrato della PBOC; e proprio nel momento giusto (per loro).

E hanno stampato come se non ci fosse un domani. Comprando dollari, euro e altre valute per ancorare la propria valuta e sostenere le fabbriche dell'export, la PBOC ha esteso il proprio bilancio da $40 miliardi a $4,000 miliardi nel corso di soli due decenni.

Questo è un 100X e non c'è nulla di simile nella storia del sistema bancario centrale e nemmeno nelle fantasie più fervide degli economisti con idee da sciroccati.


La stampante della PBOC, a sua volta, ha emesso credito a profusione. A metà degli anni '90, la Cina aveva circa $500 miliardi di credito pubblico e privato in circolazione, appena l'1.0X del suo PIL sgangherato. Oggi quel numero è di $40,000 miliardi, o anche di più.

Eppure niente in questo mondo economico (o nel prossimo) può crescere di 80X in soli 20 anni e vivere per raccontarlo. Soprattutto, non in un sistema costruito su un tessuto di editti top-down, illusioni, bugie e impossibilità, e che non ha nemmeno una parvenza di disciplina finanziaria, responsabilità politica, o libertà di parola.

Per intenderci, la Cina è un mix di Keynes e Lenin. È la tempesta finanziaria che abbatterà il grande edificio mondiale della falsa prosperità sfornata dalla banca centrale.

Quindi il giusto approccio al pericolo imminente non è quello di srotolare una sfilza di dazi. Invece è il momento di riconoscere che i suzerain rossi di Pechino hanno costruito l'equivalente di un villaggio Potemkin. Ma dal momento che credono davvero che sia reale, non hanno la minima idea dei requisiti e della routine richiesti da una vera economia capitalista.

Fin da quando gli oligarchi che gestiscono la Cina sono stati liberati dall'orribile distopia di Mao grazie alla stampante monetaria scoperta da Deng, hanno vissuto in una bolla in continua espansione che è così irreale da rendere il Truman Show uno spettacolo di burattini. Qualsiasi governante con un minimo di alfabetizzazione economica avrebbe riconosciuto da tempo che l'economia cinese è intrappolata in sprechi, eccessi ed insostenibilità varie.

Ecco qui un esempio. Da qualche parte vicino a Shanghai alcuni sviluppatori hanno costruito una replica del Pentagono su 100 acri di terra. È un centro commerciale che non ha inquilini e nessun cliente!


Progetti come questo qui sopra, e la Cina ne ha a iosa, sono un marcatore urlante di una trappola economica mortale. Descrivono un simulacro del capitalismo intrinsecamente insostenibile ed instabile, in cui lo scopo del credito è quello di finanziare i numeri del PIL, non finanziare investimenti efficienti con rischi e rendimenti calcolabili.

Di conseguenza le forme esteriori del capitalismo sono smentite dalla sostanza del controllo statalista e della pianificazione centrale. Ad esempio, in Cina non esiste un sistema bancario legittimo: solo giganteschi uffici di stato che sono effettivamente gestiti da operatori del partito.

Il loro modus operandi equivale a parcellizzare i numeri del PIL e la crescita del credito, per poi riversarli in una vasta catena di comando verso le contee, le città ed i villaggi. Non ci sono mai stati prezzi finanziari legittimi in Cina, tutti i tassi d'interesse ed i tassi FX sono stati ancorati e regolati al punto decimale; né c'è mai stata alcuna contabilità finanziaria onesta, i prestiti sono stati opzioni perpetue di una finzione economica.

E, inutile dire, non esiste un sistema di disciplina finanziaria basato sul diritto contrattuale. Il PIL cinese è cresciuto di $11,000 miliardi solo nel corso di questo secolo; cioè, c'è stato un boom in tutto il Paese che fa sembrare la corsa all'oro della California una scampagnata nel parco.

Eppure in questa frenetica ricerca non ci sono stati errori, campi sballati, o persino fallimenti personali. Quando occasionalmente qualcosa è andato storto con un "investimento", gli "sfortunati" si sono radunati per le strade e hanno chiesto l'intervento del governo, una cortesia che il regime ha invariabilmente garantito.

Infatti lo Schema Rosso di Ponzi fa sembrare Wall Street una società di miglioramento etico. Gli sviluppatori edili hanno costruito un'intera replica da $50 miliardi di Manhattan vicino alla città portuale di Tianjin, completa del proprio Rockefeller Center e delle Twin Towers, ma non hanno detto agli investitori che nessuno vive lì. Neanche i banchieri!



Detto in modo diverso, anche al culmine delle recenti bolle finanziarie a Londra, New York, Miami o Houston, non sono stati costruiti tali monumenti allo spreco economico e alla distruzione del capitale. Ma prendete in considerazione il caso della mastodontica industria siderurgica cinese.

È cresciuta da circa 70 milioni di tonnellate di produzione nei primi anni '90 a 832 milioni di tonnellate nel 2017. Oltre a ciò, l'accumulo di capacità dietro il grafico qui sotto racconta tutta la storia.

A dire il vero, lo tsunami di credito a basso costo ha permesso alle società siderurgiche statali cinesi di costruire nuove capacità ad un ritmo ancora più febbrile della crescita vertiginosa della produzione annuale. Di conseguenza la capacità annuale di acciaio grezzo ammonta ora a circa 1.3 miliardi di tonnellate, e quasi tutta la capacità, circa il 65% del totale mondiale, è stata costruita negli ultimi dieci anni.

Inutile dire che è assolutamente impossibile espandere in modo efficiente le industrie più pesanti del 17X in un quarto di secolo.


Ciò significa che l'espansione dell'industria siderurgica della Cina ha creato un significativo incremento della domanda per i propri prodotti.

Cioè, domanda di lamiere, strutture e altri tipi di acciaio che vanno negli altiforni, nei laminatoi, negli impianti di fabbricazione, negli impianti di stoccaggio e nello stoccaggio del ferro, nonché in altri prodotti d'acciaio per i cantieri navali e per le attrezzature ed infrastrutture utilizzate nelle miniere.

Cioè, l'industria siderurgica cinese ha inseguito la propria coda, ma la giostra è ora ferma, e con il completamento dell'incoronazione di Xi lo scorso autunno, l'ultima esplosione del settore immobiliare è stata una battuta d'arresto.

Il fatto è che la Cina sarà fortunata ad avere 500 milioni di tonnellate di domanda reale, cioè, una domanda interna continua di lamiere di acciaio per auto ed elettrodomestici, per cemento armato ed acciaio strutturale. Tutto questo rappresenta solo il 40% del suo massiccio investimento in capacità.

Ed è anche evidente che non sarà in grado di scaricare il suo enorme surplus sul resto del mondo. Infatti questa minaccia è al centro dell'incipiente guerra commerciale di Trump, la quale è iniziata con i dazi del 25% sull'acciaio.

Questa guerra commerciale significa che la Cina ha oltre mezzo miliardo di tonnellate di capacità in eccesso che schiacceranno i prezzi ed i profitti, ma, cosa più importante, che la domanda di acciaio per le spese in conto capitale dell'industria siderurgica è finita. E questo significa anche un arresto dei cantieri navali e delle attrezzature minerarie.

Ci sono voluti cinquant'anni affinché i giapponesi erigessero l'industria leader mondiale nel settore dell'acciaio (120 milioni di tonnellate) sulla scia di decine di migliaia di ingegneri e miglioramenti operativi graduali. La Cina ha creato lo stesso tonnellaggio ogni anno dopo la crisi finanziaria, ma si basava tutto su una grande illusione: l'efficienza, la longevità e la tecnica di produzione dell'acciaio erano assenti.

Ancora più sconcertante dell'acciaio è stata la crescita della capacità produttiva automobilistica cinese. Nel 1994 la Cina ha prodotto circa 1.4 milioni di unità di quelle che erano automobili e camion dell'era comunista. L'anno scorso ha prodotto oltre 29 milioni di veicoli prevalentemente in stile occidentale, o 21 volte di più.

La Cina è impazzita nella costruzione di stabilimenti automobilistici ed infrastrutture di distribuzione. Attualmente viene stimato un aumento di 35 milioni di unità di capacità di produzione. Ma la domanda si è effettivamente affievolita quest'anno e continuerà a scendere dopo che scadranno gli espedienti fiscali temporanei del governo, i quali stanno portando avanti le vendite future.

Il punto più importante, tuttavia, è che man mano che il credito cinese si fermerà, non verrà sfornata nuova capacità di auto per anni. Ora sta affogando nell'eccesso di capacità e, con il crollo dei prezzi e dei profitti negli anni a venire, anche le spese in conto capitale nell'industria automobilistica spariranno.

Inutile dire che questo non significa solo che il consumo di acciaio strutturale e di cemento armato per nuovi stabilimenti industriali crollerà, ciò comporterà anche una drastica riduzione della domanda per le sofisticate macchine utensili tedesche e le apparecchiature di automazione necessarie per costruire automobili.

Detto in altro modo, la depressione della spesa in conto capitale, che è in corso da diversi anni in Cina, Australia, Brasile e in gran parte dei mercati emergenti, si ripercuoterà sull'economia globale. Il credito a basso costo e il capitale mispriced sono veramente il padre di mille peccati economici.

L'infrastruttura edilizia della Cina, per esempio, è grottescamente sovradimensionata: dai forni per cemento, ai produttori e distributori di attrezzature per l'edilizia, ai trasportatori di sabbia e ghiaia, ai venditori di cantieri di ogni fascia.

In tre anni la Cina ha usato più cemento degli Stati Uniti durante tutto il XX secolo!

Tutto ciò non è indicativo di un boom economico salutare; è la prova di un sistema che è impazzito, perché c'era un credito illimitato per finanziare la macchina edilizia della Cina.


Lo stesso discorso vale per le sue industrie di macchinari, quella solare e quella dell'alluminio, per non parlare dei 70 milioni di appartamenti di lusso vuoti e vaste distese di autostrade vuote, ferrovie veloci, aeroporti, negozi e nuove città. Tutto deserto.

In breve, la gigantesca bolla del credito della Cina è la più grande maledizione mai vista dalle risorse economiche reali: lavoro, materie prime e beni capitali.

Infatti le porcilaie sono state costruite con le scorte di rame ed i quartieri urbani sono stati coperti da costruzioni di vetro e cemento che non portano alcun ritorno economico. Eppure tutti questi beni sono diventati "garanzie" per ancor più "prestiti".

La crescita della Cina si può riassumere col principio circolare: prendere in prestito-costruire-prendere di nuovo in prestito. In sostanza, si tratta di un gigantesco Schema di Ponzi in cui il "passivo" di ogni uomo diventa "l'attivo" di un altro.

Così, i governi locali hanno magri guadagni, ma debiti enormemente gonfiati basati su garanzie composte da inventari di terreni sopravvalutati; valutazioni che sono state stabilite da precedenti vendite finanziate a debito.

Allo stesso modo, gli imprenditori delle miniere di carbone devono affrontare non solo il crollo dei prezzi e dei ricavi, ma anche l'aumento vertiginoso dei tassi d'interesse sui prestiti bancari ombra garantiti da riserve di carbone sopravvalutate. I cantieri navali hanno i libri degli ordini vuoti, ma ingenti debiti le cui garanzie sono baie di costruzione inutili. Gli speculatori hanno collateralizzato enormi cataste di rame e di ferro a prezzi che sono sulla strada per diventare storia antica.

Quindi la Cina è davvero il più grande Schema di Ponzi nella storia. Ed è quel castello di carte che Trump ha ora attaccato frontalmente.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: https://francescosimoncelli.blogspot.it/



=> Potete leggere la Parte 2 a questo indirizzo: https://francescosimoncelli.blogspot.com/2018/06/non-e-la-guerra-commerciale-ai-tempi_28.html

=> Potete leggere la Parte 3 a questo indirizzo: https://francescosimoncelli.blogspot.com/2018/07/non-e-la-guerra-commerciale-ai-tempi.html


venerdì 22 giugno 2018

Il velenoso totalitarismo economico di Keynes

È con estremo piacere che oggi ospito sulle pagine virtuali del mio blog questo articolo di Marco Marinozzi, col quale si vuole presentare il suo lavoro magistrale di traduzione in italiano del capolavoro di Henry Hazlitt, "The Failure of New Economics". Il sottoscritto, quindi, non ha potuto fare a meno di accettare la proposta di scrivere la Prefazione italiana dell'opera tradotta. Questo perché il testo di Hazlitt dovrebbe essere presente sullo scaffale di ogni individuo che si definisce amante della libertà e della libertà economica. Il lavoro di Hazlitt corregge un grande errore di Hayek ai suoi tempi: confutare punto per punto la "Teoria Generale" di J. M. Keynes, l'origine di tutti i mali economici del nostro presente. E adesso grazie allo sforzo accademico encomiabile del collega Marco Marinozzi, anche in Italia si può  fruire dell'immensa saggezza e precisione dello spirito Austriaco presente nell'opera originale di Hazlitt. Il plauso a quest'ultimo va soprattutto per la volontà di sciropparsi un libro mal scritto, confusionario, contraddittorio e insensato; ciononostante il lavoro di smontaggio delle tesi keynesiane è chirurgico e inattaccabile. Come Bohm-Bawerk si prese la briga di annientare le tesi sballate e sciocche di Marx, così Hazlitt decise di sobbarcarsi l'onere di spazzare via il presunto prestigio acquisito dall'economia keynesiana. Oggi, Marco Marinozzi e io stiamo cercando di estendere questa confutazione anche al mercato italiano, in modo da rendere il keynesismo lo zimbello del mondo accademico economico così come accadde col marxismo dopo il 1989. È possibile acquistare il testo, "Il Fallimento dell'Economia Keynesiana", su Amazon al seguente indirizzo: https://amzn.to/2MsniMf
___________________________________________________________________________________


di Marco Marinozzi

“La teoria generale della produzione, che questo libro cerca di offrire, si adatta meglio alle condizioni di uno stato totalitario rispetto alla teoria della produzione e della distribuzione di un volume dato di produzione, ottenuta in condizioni di libera concorrenza e di prevalente laissez-faire" (John Maynard Keynes – Introduzione dell’edizione tedesca della General Theory)

Nel lontano 1936, ricordiamoci questa data, il mondo assistette all’inizio di quella che sarebbe dovuta essere una “nuova era”, per la precisione una “nuova economia”[1], ed in un certo senso lo fu. L’ancien regime economico, che possedeva le cattedre accademiche di tutto il mondo, depose le armi e decise di accogliere il nuovo “verbo” senza nemmeno il bisogno di chiedere spiegazioni. L’opera che segna la fine di questa egemonia, porta la firma di John Maynard Keynes brillante accademico di inizio del XX secolo, fedele discepolo di Alfred Marshall e Pigou. Inutile dire che percorse strade ben diverse da quelle tracciate dai suoi maestri. La “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” segnò profondamente la ricerca economica e dettò l’agenda politica dei successivi ottant’anni. A mio personale giudizio l’approccio della scuola ortodossa ed anche dalla Scuola Austriaca nei confronti di un tale personaggio è stato del tutto sbagliato. Troppa rabbia, troppa acrimonia è stata lanciata contro un vero milord. Keynes fu un brillante uomo accademico, dalla parlantina facile e dall’umorismo tagliente. Assiduo frequentatore, se non vero e proprio ospite carismatico, del Circolo Blomsbury vero cuore pulsante della “borghesia aristocratica” inglese di inizio 1900. Non si può non vedere nell’opera di Keynes quella di un vero poeta, un’artista del linguaggio. Il suo spirito profondamente scherzoso, gli permise di rispondere per le rime a tutte le obiezioni che gli furono avanzate, pertanto ad un’affermazione economica classica che recita “l’equilibrio verrà raggiunto nel lungo periodo”, un tale artista non può che rispondere “nel lungo periodo siamo tutti morti”. Non ha bisogno di grafici se non per rappresentare la sua vera arte creatrice che guarda alla matematica come al karma un devoto indiano. La realizzazione dei sogni più remoti del politico e del burocrate, diventano di carne dentro questo libro. Non si comprende Keynes senza guardare alla sua opera come alla realizzazione della bi-zona di Oronzo Canà che funziona e che spinge la Longobarda ai vertici della classifica. Non si può opporre resistenza di fronte alla creazione di un linguaggio ermetico e aulico di siffatta caratura:
È “impossibile per tutti gli individui allo stesso tempo risparmiare qualunque somma data. Ogni tentativo del genere di risparmiare di più riducendo il consumo influenzerà così i redditi che lo stesso tentativo necessariamente distruggerà.” (John M. Keynes)

Amici miei atto I si inchina e devotamente ossequia un siffatto capolavoro.
“Che cos'è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d'esecuzione. .... È fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione.”

Nella Teoria Generale andiamo oltre. Va aggiunta la classe propria dell’aristocratico e lo humor tipico del uomo medio d’oltremanica. È tale la capacità realizzativa che l’incomprensibilità del linguaggio attribuisce ulteriore valore all’opera dimostrando senz’ombra di dubbio che si tratti della Capella Sistina in formato di libro. E così i suoi seguaci ammirati dal loro maestro non possono che scrivere:
“È un libro scritto in modo pessimo, è mal organizzato; qualsiasi profano che compra il libro, ingannato dalla reputazione dell’autore, viene truffato dei suoi 5 scellini. Non è idoneo per l’uso in classe. È arrogante, mal-temperato, polemico e non sufficientemente generoso nei suoi riconoscimenti. Abbonda di storie illusorie e confusione…… in sintesi, è il lavoro di un genio.”[2]

E poi il capolavoro, la vera catarsi:
“vale la pena ripeterlo, la General Theory è un libro così oscuro che dovrebbero essere gli anti-Keynesiani a trovarsi in una posizione scomoda”[3]

Si capisce sempre di più perché in fondo “come se fosse antani” è roba da dilettanti quali noi italiani siamo. Ed anche il 5-5-5 assume una dimensione troppo materialistica di fronte al moltiplicatore keynesiano. Le leggi della fisica si inchinano di fronte alla possibilità di moltiplicare il pil praticamente all’infinito. Solo in questo senso si può comprendere il perché Marx non sia mai riuscito a vedere le scogliere di Dover, nemmeno in cartolina, o meglio le ha viste ed è stato sonoramente devastato.
“Eppure, tutta la storia dell'industria moderna mostra che il capitale, se non gli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia per precipitare tutta la classe operaia a questo livello della più profonda degradazione.” (Karl Marx)

Un mantenuto, sempre sui libri, pupillo del suo mentore Engels, senza il quale probabilmente sarebbe stato costretto a lavorare ed a scoprire sulla sua pelle l’assurdità della teoria del plusvalore. Uno studioso vorace di idee, capace di creare un intero universo nella mente che però vedeva solo lui e che di fronte alla classe british ha dovuto abbassare le armi e dichiararsi sconfitto.
“Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi” (John Maynard Keynes)

Questa è vera classe, questa è arte. Dire la stessa cosa in modo diverso e far passare l’ascoltatore dalla propria parte.
“Ritengo perciò che una socializzazione di una certa ampiezza dell'investimento si dimostrerà l'unico mezzo per consentire di avvicinarci alla occupazione piena; sebbene ciò non escluda necessariamente ogni sorta di espedienti e di compromessi coi quali la pubblica autorità collabori con la privata iniziativa. [...] I controlli centrali necessari ad assicurare l'occupazione piena richiederanno naturalmente una vasta estensione delle funzioni tradizionali di governo.” (John Maynard Keynes)

Questo è un vero capolavoro. Sfido chiunque a leggere più di tre pagine de “Il Capitale” di Marx e di reprimere il proprio istinto primordiale ad assopirsi di gusto. La Teoria Generale è piena di battute e riletture storiche in cui viene alternato il tono melodrammatico con lo scherzoso proprio come se si assistesse alla rappresentazione di un’opera lirica, certo con qualche nota stonata, ma che infondo rende il tutto molto più accattivante. Risulta più chiara la frase caustica di Rothbard quando afferma che l’accademia classica “si arrese alla nuova moda senza combattere”. Bisognava attendere che nascesse un uomo tutto d’un pezzo, concreto e meticoloso nell’esposizione. Un uomo che disse pane al pane e vino al vino e non avesse alcun rimorso nel dire “il re è nudo”, con la semplicità tipica del bimbo di tre anni e l’autorevolezza del giornalista formato nelle stanze del Wall Street Journal quando era ancora un ragazzo. Un tal uomo non poteva che nascere dall’altra parte dell’Atlantico e non poteva che formarsi dove l’attività economica ed industriale rappresentava la vera ragione di vita perché non esistevano né l’aristocrazia né i circoli Londinesi sopravvissuti alla belle epoque. Al massimo ci si poteva ritrovare a chiacchierare dell’ultimo raccolto di fronte ad una pinta di birra o in alternativa ad una bella steak dal peso di 4 libbre di razza longhorn. Ci voleva un cowboy occidentalizzato, senza cappello e senza colt, o meglio con la colt a forma di bic comodamente adagiata nella tasca interna della giacca, pronta ad essere sfoderata al momento opportuno.

Perché di fronte all’apoteosi della poetica matematica keynesiana, dove il PIL = Consumi + Investimenti + Spesa Pubblica + Export –Import, Henry Hazlitt risponde a tono
“L’acquisto di una casa è una spesa per consumo o per investimenti? Se la compri come fosse una casa è considerato un consumo di beni, ma se tu la compri per affittarla a qualcun altro è un investimento. Questo verrebbe applicato anche ad un’automobile o ad una falciatrice. Beni di “consumo” e beni di “investimento” non sono necessariamente tipi diversi di beni: cambiano la loro natura in base al loro stato di utilizzo nelle cui mani si trovano, o in base al cambiamento di finalità dei loro proprietari.

È senza pietà la logica espressa come è senza pietà il sarcasmo che già traspare dalla pagina di copertina e nella scelta del titolo “The Failure of the “New Economics””. La scelta delle virgolette è una ciliegina che dovrebbe lasciare davvero l’amaro in bocca, non tanto per il fischio nelle orecchie che deve aver sentito Keynes nell’aldilà, quanto piuttosto per il fatto che alla fine non è stata creata nessuna “nuova economia” ma piuttosto un “nuovo socialismo”. Marx avrebbe forse avuto un sorriso di soddisfazione nel vedere il suo diretto rivale accostato alla sua teoria, e sentirlo come un figliol prodigo che però decise di non tornare più alla casa del padre. Hazlitt cita:
“Da ciò Keynes estrae il magico “moltiplicatore degli investimenti” k. “Esso ci dice che, quando c’è un incremento degli investimenti aggregati, il reddito crescerà di un ammontare che è K volte l’incremento degli investimenti.” (p.115)

Cerchiamo di trovare un linguaggio più semplice di quello che Keynes sta usando ora. Lo spiega nella pagina successiva:
“Ne consegue, perciò, che, se la psicologia di consumo della comunità è tale che sceglierà di consumare, per esempio, nove decimi dell’incremento di reddito, allora il moltiplicatore k è 10; e l’occupazione totale generata dalla (per esempio) crescita dei lavori pubblici sarà dieci volte l’occupazione primaria fornita dai lavori pubblici stessi” (pp 116-117).”

Di fronte a questo capolavoro di demolizione della fisica senza nemmeno toccarla (ora provate a sostenere che non fosse un vero genio?), Hazlitt non può che rispondere molto semplicemente.
“Quale ragione spinge a supporre che ci sia qualcosa come il “moltiplicatore”? O che sia determinato dalla “propensione al consumo”? O che l’intero concetto non sia solo un giocattolo inutile, ma quel genere di cosa tristemente familiare creata unicamente per dei magheggi monetari?”

Ed infine
“Se gli investimenti sono un decimo del reddito, il reddito sarà dieci volte gli investimenti, etc etc. Allora, con qualche salto azzardato, questa relazione “funzionale” e semplicemente formale (o terminologica) viene confusa con una relazione causale. Quindi la relazione causale si regge da sola ed emerge la sorprendente conclusione che più grande è la proporzione di reddito speso e più piccola rappresenta la frazione in investimenti, maggiormente questi investimenti si devono “moltiplicare” per creare il reddito totale! Devo ammettere come tutto ciò risulti fantastico, ma non mi capacito come Keynes arrivi a pensare che tale relazione matematica causale debba esistere.”

Un bella sberla senza tanti complimenti. Ma l’artista insiste
“Non dovrebbe essere difficile rappresentare un grafico della propensione marginale al consumo per ciascuna fase di un ciclo economica partendo dalla statistica (se fosse disponibile) del reddito aggregato e investimenti aggregati di periodi successivi. Attualmente, comunque, le nostre statistiche non sono ancora abbastanza precise.” (John Maynard Keynes)

Ed il giornalista risponde
“Prima di dirci cosa avremmo trovato, avrebbe potuto almeno attendere che le statistiche fossero rese disponibili.”

KO tecnico per impossibilità di proseguire il match.

Tuttavia si può comprendere il perché, in fondo, la teoria generale abbia messo radici profonde, tanto che oggi non si parla più nemmeno in ambito accademico della bontà di una moneta onesta, ma la moneta fiat e l’indebitamento statale come motori dell’economia sono leggi scritte nella pietra. Mostrare le crepe delle colonne portanti di questa impostazione genera derisione e scherno. Le diatribe moderne proposte da MMT, Sovranismo e Mercantilismo certificano che non si è nemmeno più in grado di sviluppare una sana autocritica. La frase di apertura dell’articolo è drammaticamente vera, il sistema politico odierno (perché il sistema keynesiano non rappresenta una teoria esclusivamente economica) non è compatibile con la libertà, è un sistema che a causa dei suoi stessi errori e limiti è costretto ad oscillare da un socialismo più invasivo ad uno più accomodante, non rinunciando al modello di partenza, per paura o per convenienza, le motivazioni in fondo sono irrilevanti. Cosi ci troviamo nel 2018 ancora a ribadire che 2+2 non fa 5 e che la libertà economica è un bene molto prezioso.
“Come il comunismo rappresentava il quadro di riferimento ultimo di tutto ciò che accadeva in una società comunista, così la liberal-democrazia rappresenta il quadro di riferimento ultimo per tutto ciò che accade in una società liberal-democratica. […..] In altre parole, era nella natura del vecchio regime che ogni cosa dovesse essere comunista ed essere chiamata comunista. Non c’era la famiglia, ma la famiglia comunista, non c’era l’educazione, ma un’educazione comunista, non c’era la società, ma una società comunista, non c’era la morale, ma una morale comunista, non l’arte, ma un’arte comunista Nel comunismo l’aggettivo “comunista” era una parola pigliatutto: tutto ciò che era comunista era superiore a qualunque cosa non-comunista. Mi sono accorto che anche nella democrazia moderna “democratico” è diventata una parola pigliatutto, così come “non democratico” è una dura espressione di condanna.” (Ryszard Legutko)

Così si stanno ricreando le basi che credevamo di avere definitamente sepolto a Berlino nel 1989 ed invece senza cambiare le fondamenta instabili dell’edificio questo sarà sempre in balìa degli imprevisti che non perdonano mai. Il reale e legittimo desiderio di avere un mondo giusto ed equo, senza povertà e senza differenze sociali crea mostri di cui è difficile liberarsi.
"Si stabilisca dunque in primo luogo questo principio, che si deve sopportare la condizione propria dell'umanità: togliere dal mondo le disparità sociali, è cosa impossibile. Lo tentano, è vero, i socialisti, ma ogni tentativo contro la natura delle cose riesce inutile. Poiché la più grande varietà esiste per natura tra gli uomini: non tutti posseggono lo stesso ingegno, la stessa solerzia, non la sanità, non le forze in pari grado: e da queste inevitabili differenze nasce di necessità la differenza delle condizioni sociali. E ciò torna a vantaggio sia dei privati che del civile consorzio, perché la vita sociale abbisogna di attitudini varie e di uffici diversi, e l'impulso principale, che muove gli uomini ad esercitare tali uffici, è la disparità dello stato." (Leone XIII)

Così ci si dimentica della storia e di quanto ci era stato insegnato e quello che sembra un semplice mostro si rivela essere in realtà la maschera di un viso ancora più orribile
"Si dice che Lenin abbia dichiarato che il miglior modo per distruggere il Capitalismo fosse la corruzione della moneta. Attraverso un continuo processo di inflazione (monetaria), gli stati possono confiscare, segretamente ed inosservati, una parte importante della ricchezza dei loro cittadini. In questo modo non la confiscano solamente, ma lo fanno arbitrariamente; e, mentre tale processo impoverisce la maggior parte delle persone, ne arricchisce una ristretta minoranza. Lo spettacolo di questo riarrangiamento arbitrario dei ricchi mette in dubbio non solo la sicurezza, ma la fiducia nell’equità dell’attuale redistribuzione della ricchezza. Coloro i quali ricevono questa manna dal cielo, oltre i loro desideri e perfino oltre le loro aspettative, diventano “profittatori,” l’oggetto dell’odio della borghesia e del proletariato impoveriti dall’inflazionismo. Al progredire dell’inflazione e con una fluttuazione selvaggia del valore reale della valuta, tutte le relazioni permanenti tra debitori e creditori, che costituiscono il fondamento ultimo del capitalismo, diventano talmente disordinate da diventare quasi senza senso; ed il processo di redistribuzione degenera trasformandosi in un gioco d’azzardo ed una lotteria. Non vi è mezzo più subdolo e sicuro per rovesciare l’attuale base della società se non quello di svalutare la valuta. Il processo coinvolge tutte quelle forze nascoste proiettate verso la distruzione, e lo fa in un modo che solo un uomo su un milione è in grado di diagnosticare." (John Maynard Keynes – The Economic Consequences of the Peace (1919, p. 235-6)

Cosi osa rispondere Hazlitt a distanza:
“E uno dei vantaggi di una “politica monetaria flessibile” è che uno può sistematicamente imbrogliare i creditori e così ridurre “il peso del debito” (p.268). E, certamente, “visto il peso eccessivo di diversi tipi di debito, può essere solo una persona inesperta” (pp.268-269) che esiterebbe nel tosare i creditori pagandoli attraverso una moneta deteriorata piuttosto che producendo un aggiustamento salariale onesto.”

La frode elevata a sistema economico e la sua generale accettazione è un vero trionfo, non c’è nemmeno bisogno di ripeterlo, a mio avviso è un capolavoro letterario. Così mentre il criceto continua a girare la sua ruota nella gabbia, nemmeno si chiede perché esista una ruota e perché debba girarla; il burattinaio stringe sempre di più le sbarre senza che il criceto nemmeno se ne accorga. E via a scervellarsi su quanto debba essere l’attrito della ruota e sul numero di giri che occorre fare ogni giorno per sopravvivere. Hanno vinto senza sorrisi, senza ironia e senza sarcasmo e la vittoria capolavoro sta nell’incoscienza generale della sconfitta. Il tiranno non ama la libertà, non ama la persona perché sfugge al suo controllo. L’operatore economico che è soggetto alle leggi definite dagli accademici è l’apoteosi del sistema totalitario e si è più rispettati quanto più ci si avvicina al modello così artificiosamente definito. L’opera di Hazlitt è fondamentale per svegliarsi dal torpore o quantomeno per iniziare una critica sana ed onesta, verso la realtà politica ed economica che ci circonda e mettere in discussione non solo la ruota ma anche le sbarre che si stringono, facciamolo se non altro per noi stessi.


___________________________________________________________________________________

Note

[1] La teoria keynesiana venne ribattezzata in inglese “New Economics”.

[2] Citazione di Paul A. Samuelson tratta dal The Development of Economic Thought, ed. by Henry William Spiegel (New York: Wiley, 1952), p. 767.

[3] Ibid.

___________________________________________________________________________________