mercoledì 17 gennaio 2018

L'Unione Europea deve pensare a livello locale per affrontare i cambiamenti globali





di Daniel Lacalle


Le recenti elezioni nella zona Euro hanno dimostrato che i rischi per il progetto europeo sono ancora tutti in campo. In Germania molti sono stati sorpresi da una vittoria insufficiente della Merkel, dal crollo dei socialdemocratici e dall'ascesa dell'estrema destra e sinistra.

Tuttavia era prevedibile. Il rally dell'euro e il tono rialzista nei mercati azionari e obbligazionari dopo le elezioni francesi e la vittoria di Macron, per molti aspetti si sono basati su una visione molto ottimistica del rafforzamento dell'attuale modello europeo. I mercati hanno rapidamente dimenticato che quasi il 40% degli elettori in Francia ha deciso di sostenere i partiti anti-UE su entrambi i lati dello spettro politico. Le elezioni tedesche hanno dimostrato che questa percezione rialzista era un miraggio. In Germania quasi il 30% dei voti è andato agli estremisti.

L'Unione Europea sta ignorando questa tendenza e continua a fare i conti con ciò che Bruxelles chiama "più Europa", che spesso significa più interventismo e pianificazione centrale. E i cittadini non sono contenti di questo aspetto. Invece di vedere la Brexit come un segnale di pericolo e un'opportunità per migliorare l'indipendenza, l'apertura e la diversità dell'Unione Europea, la separazione dal Regno Unito è stata presa come un'opportunità per avanzare in un modello errato che rispecchia il "dirigismo" francese, un modello di pianificazione centrale fortemente interventista.

La Commissione Europea ha pubblicato a settembre un documento sorprendentemente euforico che dichiara la fine della crisi grazie a "l'azione decisiva dell'Unione Europea". Tuttavia quel tono positivo contrasta con un crescente malcontento tra i cittadini europei. Non si può negare che l'Unione Europea sia in (pseudo)ripresa economica. La fiducia delle imprese sta aumentando e gli indici di produzione sono in espansione. Tuttavia il ritmo di suddetta espansione si è moderato negli ultimi mesi e le sfide rimangono. L'economia europea non è "in forma", come sostiene la Commissione Europea, e questo spiega una parte significativa del crescente populismo e del voto agli estremisti.

Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali e Merrill Lynch, l'Europa ha oggi più società zombie rispetto a prima della crisi, cioè società che generano profitti operativi che non coprono i loro costi finanziari, nonostante i bassi tassi d'interesse e uno stimolo monetario senza precedenti. Le banche europee, alla fine del 2016, avevano più di €1,000 miliardi di prestiti in sofferenza, una cifra che rappresenta il 5.1% degli impieghi totali rispetto all'1.5% negli Stati Uniti o in Giappone. L'Europa si è barcamenata da crisi finanziaria a crisi finanziaria e recentemente abbiamo avuto nuovi episodi in Italia, Spagna e Portogallo.

Ma il problema chiave è la disoccupazione. La Commissione Europea "ha certificato" l'uscita dalla crisi con una disoccupazione del 9.1%, mantenendo tutte le rigidità nel mercato del lavoro, un tasso di disoccupazione più che doppio rispetto a Paesi con legislazioni lavorative flessibili e ambienti di business dinamici, come gli Stati Uniti o il Regno Unito. Ancora più importante, la sottoccupazione è ancora molto alta. Nel 2016 c'erano 9.5 milioni di lavoratori part-time nell'UE-28. Oltre a ciò, secondo Eurostat 8.8 milioni di persone erano disposte a lavorare, ma non cercavano lavoro, e altre 2.3 milioni di persone erano in cerca di lavoro, senza poter iniziare a lavorare.

Il carico fiscale in questo periodo è stato aumentato in tutta l'UE, con alcune eccezioni come l'Irlanda, con un cuneo fiscale medio del 45% sui lavoratori e del 40% sulle imprese. Se guardiamo agli squilibri economici, i principali sono il debito pubblico di quasi il 90% del PIL e la scarsa crescita che, stimata all'1.7%, è quasi la metà del suo potenziale. Molti politici accusano l'austerità per la crisi europea. Tuttavia i dati smascherano questo mito. La causa della crisi in Europa è il sistema burocratico. Con una spesa pubblica mediamente superiore al 46% del PIL, un deficit annuale di oltre l'1.7% in media e il 90% del rapporto debito/PIL, parlare di austerità è semplicemente scorretto.

Queste cifre mostrano che l'Unione Europea è lungi dall'essere "in forma", come afferma la Commissione, ed i risultati delle elezioni dimostrano che le autorità e gli stati membri non possono continuare ad ignorare la mancanza di conformità di una parte crescente della popolazione con le direttive economiche e burocratiche di questo modello europeo.

Secondo l'Intelligent Regulation Forum ed i dati ufficiali dell'Unione Europea per il 2015, i Paesi membri sono soggetti a più di 40,000 regole per il solo fatto di far parte dell'UE. In totale, comprese le regole, le direttive, le specificazioni settoriali e industriali e la giurisprudenza, stimano l'esistenza di circa 135,000 regole obbligatorie.

L'Unione Europea ricopre il 7.2% della popolazione mondiale, il 23.8% del PIL mondiale e il 58% della spesa mondiale per il welfare. Se questo modello vuole sopravvivere, deve prestare maggiore attenzione al potenziamento della crescita e al sostegno dei creatori di posti di lavoro, oppure si sbriciolerà sotto il crescente debito e l'invecchiamento della popolazione. Il più grande problema per l'Eurozona è demografico. L'età media nella maggior parte dei Paesi della zona Euro varia tra i 44 ed i 47 anni. Allo stesso tempo, le Nazioni Unite stimano che la popolazione dell'Unione Europea raggiungerà il picco e inizierà a contrarsi in meno di due decenni. Meno persone e più vecchie.

L'invecchiamento presenta molte sfide. Il costo dell'assistenza sanitaria e delle pensioni aumenterà, mentre le entrate fiscali diminuiranno con il rallentamento dei consumi e degli investimenti. Questa sfida demografica crea una sfida fiscale e produttiva che può essere invertita solo attraendo investimenti ad alto valore aggiunto e incentivando settori ad alta produttività. Ignorando questi rischi, l'UE rischia di cadere nella glorificazione della pianificazione centrale, in un'assoluta uniformità e in un interventismo obsoleto che non hanno nulla a che fare con gli Stati Uniti pluralisti, liberi e diversi.

Ci sono varie soluzioni. Vi sono chiari elementi positivi sul fatto di unire i Paesi per stimolare la crescita, l'occupazione e le opportunità, ma non ha senso provare a copiare un modello, quello francese, che ha creato stagnazione per vent'anni, tasse elevate, disoccupazione e diminuzione della competitività. Le soluzioni principali provengono da "meno Europa", qualcosa che molti politici potrebbero non gradire, ma è una necessità assoluta di fronte alla crescente opposizione al modello esistente.

Innanzitutto il sistema fiscale non può continuare ad essere un peso per le piccole e medie imprese, che sono responsabili di oltre il 70% del valore aggiunto e dell'occupazione nell'Unione Europea, e per la classe media che subisce un cuneo fiscale che varia tra i 10 ed i 20 punti in più rispetto agli Stati Uniti o al Regno Unito. L'Unione Europea deve capire che il consumo e la creazione di posti di lavoro non miglioreranno se il peso dello stato sociale in continua espansione e della spesa pubblica cadrà sui due agenti economici che possono guidare l'economia verso una forma migliore: le imprese e la classe media.

L'Unione Europea deve guardare alla diversità delle culture e smettere di perseguire l'uniformità ad ogni costo. La disuguaglianza non è una politica, ma un risultato. Non vi è alcun miglioramento nella disuguaglianza se tutte le misure sono dirette alla ridistribuzione di una torta in diminuzione. La migliore soluzione alla disuguaglianza è il lavoro. E ciò non può avvenire se la regolamentazione eccessiva e la tassazione continuano a guidare la politica dell'Unione.

Secondo la relazione della PriceWaterhouseCoopers “Paying Taxes”, il numero medio di ore utilizzate per conformarsi alla normativa e alle imposte è più alto nell'Unione Europea rispetto alla media dell'OCSE e degli Stati Uniti, tra il 6 e il 15% in più. Questi oneri rendono più difficile per le piccole imprese crescere e diventare grandi imprese. L'Unione Europea mostra anche una tendenza preoccupante di transizione più debole da società di piccole e medie dimensioni a grandi imprese, nonché società relativamente più piccole rispetto agli Stati Uniti in ciascuna delle categorie. Una piccola azienda in Europa ha, in media, meno dipendenti di una negli Stati Uniti. L'alto costo del lavoro, in particolare i contributi sociali e la rigida legislazione, rendono più difficile prendere decisioni riguardanti le assunzioni.

Pertanto l'Unione Europea deve pensare a livello locale per affrontare le sfide globali. Accrescere le differenze positive di ogni comunità, ridurre il cuneo fiscale e i requisiti burocratici per le piccole imprese, migliorare il reddito disponibile della classe media tagliando le tasse e sostenere le famiglie per affrontare la questione demografica fornendo detrazioni fiscali e rendendo più facile crescere i figli.

La soluzione è semplice, ma al tempo stesso complessa. I politici in Europa amano credere che tutto debba essere organizzato e diretto da loro, ma dovrebbero prestare più attenzione al crescente radicalismo. Esso non può essere combattuto facendo più cose uguali, ma dando a coloro che si sentono lasciati indietro gli strumenti per prosperare. Non attraverso sussidi inefficienti e spese statali, ma attraverso la libertà.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


3 commenti:

  1. non faranno mai tutto questo, ahimé

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    1. Il sistema politicofinanziario della UE è autoreferenziale. Pertanto, anche se avesse contro il 60% della popolazione, se ne fotterebbe allegramente.
      L'articolo cerca malamente di non dire l'unica cosa sensata ed ovvia. Che la UE deve finire perché è fallita. E finira' traumaticamente. A patto che gli USA non dicano che ci vuole più NATO contro la Russia.

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    2. Infatti l'Ue parla di "armonizzazione fiscale" e non di "ridurre il cuneo fiscale e i requisiti burocratici per le piccole imprese, migliorare il reddito disponibile della classe media tagliando le tasse e sostenere le famiglie per affrontare la questione demografica fornendo detrazioni fiscali e rendendo più facile crescere i figli." come afferma l'autore.
      Il problema demografico, abbiamo visto negli ultimi anni come hanno intenzione di risolverlo: importare masse di immigrati dall'Africa subSahariana e dal Maghreb con bassissime medie tendenziali di quoziente intellettivo ed usi e costumi, religioni radicalmente differenti se non opposti al nostro stile di vita; il tutto porterà a nuove, sterminate banlieu di periferia e disagio, violenza diffusa, da risolvere con welfare a pioggia, rendendo cittadini questi poveri cristi nonchè futuri elettori del centrosinistra europeo.Follia pura.
      I problemi si risolvono in casa propria, non come sperano alcuni, al grido di +Europa, con il grande stato federale ed i suoi "eurobonds", troppo facile e troppo bello per essere vero.... Come lessi tempo fa su questo blog, un articolo di James Rickards, la "common law" anglosassone fa a pugni con il "sistema Francese", la brexit non è nata per rabbia o per caso, gli Inglesi non hanno nemmeno una costituzione, invece, in Italia non si fa altro che lodarla, la bella e democraticamente fondata sul lavoro, carta fondamentale di una repubblica nata da un referendum falsato da brogli elettorali.

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