venerdì 31 marzo 2017

L'elemento morale insito nella libera impresa





di Friedrich A. Hayek


L'attività economica fornisce i mezzi materiali per tutti i nostri fini. Allo stesso tempo, gran parte dei nostri sforzi individuali sono diretti a produrre mezzi per i fini di altri in modo che essi, in cambio, possano fornire a noi i mezzi per i nostri fini. È solo poiché siamo liberi nella scelta dei nostri mezzi che siamo anche liberi nella scelta dei nostri fini.

La libertà economica è perciò una condizione indispensabile per tutte le altre libertà, e la libera impresa è sia una condizione necessaria e una conseguenza della libertà personale. Discutendo L'Elemento Morale nella Libera Impresa, non mi limiterò dunque ai problemi della vita economica, ma considererò le relazioni generali tra libertà e morale.

In questa circostanza intendo, secondo la grande tradizione Anglosassone, l'indipendenza del libero arbitrio di un altro. Questa è la concezione classica di libertà sotto la legge, uno stato delle cose in cui un uomo può essere costretto solo laddove la coercizione è contemplata dalla legge generale, ugualmente applicabile a tutti, e mai secondo una decisione discrezionale di un'autorità amministrativa.

La relazione tra questa libertà e i valori morali è reciproca e complessa. Perciò dovrò limitarmi ad esaltare i punti salienti in modo quasi telegrafico.

È, da un lato, una vecchia scoperta che morale e valori morali cresceranno solo in un ambiente di libertà, e che, in generale , gli standard morali di persone e classi sono alti solo dove hanno a lungo goduto libertà, e proporzionale alla quantità di libertà che hanno posseduto. È anche una vecchia intuizione che una società libera funzioni bene solo nel caso in cui l'azione libera è guidata da forti convinzioni morali e, di conseguenza, che potremo godere di tutti i benefici della libertà solo laddove la libertà è già ben consolidata. A questo voglio aggiungere che la libertà, per funzionare correttamente, richiede non solo dei forti principi morali, ma che siano anche principi di un tipo particolare, e che è possibile che in una società libera si sviluppino degli standard morali che, se generalmente diffusi, distruggeranno la libertà e con essa le basi di tutti i valori morali.



Verità dimenticate

Prima di tornare su questo punto, che non è generalmente compreso, devo brevemente elaborare due vecchie verità che dovrebbero essere familiari, ma che sono spesso dimenticate. Che la libertà sia la matrice richiesta per la crescita di principi morali – dunque non un solo un valore tra molti ma l'origine di tutti i valori – è pressoché auto-evidente. È solo dove l'individuo ha la libertà di scelta, e la sua inerente responsabilità, che ha l'occasione di affermare i valori esistenti, per contribuire alla loro ulteriore crescita ed acquisirne il merito morale. L'obbedienza ha valore morale solo dove è una questione di scelta e non di coercizione. È nell'ordine in cui cataloghiamo i nostri fini che il nostro senso morale si manifesta, e nell'allocazione delle regole generali della morale a particolari situazioni in cui ogni individuo è costantemente chiamato ad interpretare e applicare i principi generali, e facendo questo, a creare valori particolari.

Non ho tempo in questa sede di dimostrare quanto questo abbia determinato che le società libere non solo sono state generalmente rispettose della legge, ma anche nei tempi moderni sono state la fonte di tutti i movimenti umanitari tesi ad aiutare attivamente il debole, il malato e l'oppresso. Le società non libere, d'altra parte, hanno regolarmente sviluppato un disprezzo per la legge, un'attitudine indifferente alla sofferenza e perfino una simpatia per il malfattore.

Devo rivolgermi all'altro lato della medaglia. Dev'essere altrettanto ovvio che i risultati della libertà debbano dipendere dai valori che gli individui liberi perseguono. Sarebbe impossibile asserire che una società libera svilupperà sempre e necessariamente valori che approveremmo, o perfino, come vedremo, che manterranno valori che siano compatibili con la conservazione della libertà. Tutto ciò che possiamo dire è che i valori che possediamo sono il prodotto della libertà, che in particolare i valori Cristiani si dovettero affermare attraverso uomini che resistettero con successo all'oppressione del governo, e che è al desiderio di essere in grado di perseguire i propri principi morali che dobbiamo le moderne salvaguardie della libertà individuale. Forse possiamo aggiungere a questo che solo le società che detengono valori morali essenzialmente simili al nostro sono sopravvissute quali società libere, mentre in altre la libertà è perita.

Tutto questo fornisce validi argomenti al perché sia di assoluta importanza che una società libera sia basata su forti principi morali e perché se vogliamo conservare la libertà e la morale, dobbiamo diffondere con tutte le nostre forze i principi morali appropriati. Ma ciò di cui sono maggiormente preoccupato è l'errore che gli uomini debbano essere buoni prima che possa essere garantita la loro libertà.

È vero che una società libera a cui mancassero le fondamenta morali, sarebbe una società in cui vivere sarebbe molto spiacevole. Ma sarebbe perfino meglio di una società che fosse non libera e immorale; almeno offre la speranza di un'emersione graduale di convinzioni morali che una società non libera è impossibile. Su questo punto mi spiace dissentire fermamente con John Stuart Mill, che sostiene che finché gli uomini hanno conservato la capacità di essere guidati al loro miglioramento dalla convinzione o dalla persuasione, "non c'è nulla per loro se non un'implicita obbedienza ad un Akbar o Carlo Magno, se sono così fortunati da trovarne uno". Credo che T. B. Macaulay espresse la più grande saggezza di una vecchia tradizione, quando scrisse che "molti politici del nostro tempo hanno l'abitudine di sostenere che nessuna persona possa essere libera fino a che non dimostri di essere in grado di usare la propria libertà. La massima si addice allo sciocco di quella vecchia storia che non si decideva ad entrare nell'acqua finché non avesse imparato a nuotare. Se gli uomini devono attendere la libertà fino a quando non diventeranno buoni e saggi, potranno certamente attendere per sempre".



Considerazioni morali

Ora però devo spostarmi da ciò che è meramente la riaffermazione di un vecchio sapere, verso questioni molto critiche. Ho detto che la libertà, per funzionare correttamente, non richiede meramente l'esistenza di principi morali, ma anche l'accettazione di particolari punti di vista morali. Con questo non intendo che entro certi limiti le considerazioni utilitaristiche contribuirebbero ad alterare i principi morali su questioni particolari. Nemmeno intendo che, come Edwin Cannan affermò, "dei due principi, Equità ed Economia, l'Equità è in ultima analisi la più debole... il giudizio dell'umanità su ciò che è equo è passibile di cambiamenti, e... una delle forze che ne causa il cambiamento è la scoperta umana che di volta in volta ciò che si supponeva essere abbastanza giusto ed equo in alcune situazioni particolari è diventato, o forse lo è sempre stato, anti-economico".

Questo è anche vero e importane, sebbene potrebbe non essere affatto una raccomandazione per chiunque. Sono preoccupato piuttosto da alcune concezioni più generali che mi sembrano essere condizioni essenziali di una società libera e senza le quali essa non può sopravvivere. Ritengo che le due istanze cruciali siano la fede nella responsabilità individuale e l'approvazione di un accordo per mezzo del quale ricompense materiali sono corrisposte per il particolare servizio che una persona rende al suo prossimo; non ad alimentare quella stima che lo porterebbe ad essere considerato una persona in funzione del suo merito morale.



Individui responsabili

Devo essere conciso su questo punto – cosa che trovo molto difficile. Gli sviluppi moderni sono parte della storia della distruzione dei valori morali da parte di un errore scientifico, il quale di recente è stato la mia principale preoccupazione – e uno su cui ad un insegnante capita di lavorare considerandolo il tema più importante del mondo. Ma cercherò di spiegarlo in poche parole.

Le società libere sono sempre state società nelle quali la fiducia nella responsabilità individuale è stata forte. Hanno sempre permesso agli individui di agire secondo la loro conoscenza e convinzioni e hanno considerato i risultati raggiunti come dovuti ad essi. Lo scopo era che la gente trovasse utile e valevole la pena di agire razionalmente e ragionevolmente, e persuaderli che gli obbiettivi raggiunti dipendevano essenzialmente da loro. Quest'ultima convinzione è indubbiamente non del tutto corretta, ma certamente ha avuto uno splendido effetto nello sviluppo dell'iniziativa e della prudenza.

Per via di una curiosa confusione, si è arrivati a pensare che questa fede nella responsabilità individuale sia stata confutata dalla conoscenza sempre più approfondita di un modo in cui gli eventi in generale, e le azioni umane in particolare, sono determinati da certe classi di cause. È probabilmente vero che abbiamo aumentato la conoscenza dei tipi di circostanze che influenzano l'azione umana – ma nulla di più. Certamente non possiamo dire che un particolare atto consapevole di qualunque uomo sia la conseguenza necessaria di particolari circostanze che possiamo specificare – escludendo la sua individualità peculiare emersa dal suo vissuto. Usiamo la nostra conoscenza generica di come l'azione umana possa essere influenzata per valutare apprezzamento o disprezzo – cosa che facciamo con lo scopo di spingere le persone a comportarsi in un modo a noi desiderabile. È su questo limitato determinismo – tanto quanto la nostra conoscenza dei fatti giustifichi – che è basata la fede nella responsabilità, mentre solo una fede in un qualche sé metafisico che si trova al di fuori della catena di causa ed effetto giustifica la contestazione secondo cui è inutile considerare un individuo responsabile delle proprie azioni.



La pressione delle opinioni

Eppure, per quanto sia grezza la fallacia sottostante l'opposta e presunta opinione scientifica, essa ha avuto l'effetto di distruggere l'arma suprema che una società ha sviluppato per garantire un comportamento decente – la pressione dell'opinione pubblica che spinge la gente a rispettare le regole del gioco. Ed è sfociata in quel Mito della Malattia Mentale che un distinto psichiatra, T. S. Szasz, ha recentemente e giustamente fustigato in un libro così titolato. Probabilmente non abbiamo ancora scoperto la via migliore per insegnare alla gente a vivere secondo le regole che rendono la vita in società non così spiacevole. Sono certo che non arriveremo mai a costruire una società libera di successo, senza quella pressione di elogio e biasimo che tratta l'individuo come responsabile per la propria condotta e gli fa scontare le conseguenze di ogni errore seppur innocente.

Ma se per una società liberà è essenziale che la stima di cui gode una persona presso i suoi simili dipenda da quanto sia all'altezza della richiesta di legge morale, è altrettanto essenziale che la ricompensa materiale non debba essere determinata dall'opinione che i suoi simili hanno dei suoi meriti morali, ma dal valore che attribuiscono ai servizi particolari che costui offre loro. Questo mi porta al secondo punto cardine: il concetto di giustizia sociale che deve prevalere se vogliamo perseguire lungo la via di una società libera. Questo è il punto sul quale i difensori di una società libera e gli avvocati di un sistema collettivista, sono principalmente divisi. E su questo punto, mentre i sostenitori della concezione socialista di giustizia distributiva sono solitamente molto espliciti, i sostenitori della libertà sono inutilmente timidi quando si tratta di affermare sfacciatamente le implicazioni dei loro ideali.



Perché la libertà?

I fatti sono questi: vogliamo che l'individuo sia libero poiché solo se egli decide cosa fare può allo stesso tempo usare il suo set unico di informazioni, capacità e abilità che nessun altro può apprezzare appieno. Per permettere all'individuo di espletare il suo potenziale, dobbiamo anche permettergli di agire secondo le proprie valutazioni delle varie opportunità e probabilità. Visto che noi non sappiamo ciò che egli sa, non possiamo decidere se le sue decisioni erano giustificate; né possiamo sapere se il suo successo o fallimento è dovuto ai suoi sforzi e lungimiranza, o alla fortuna. In altre parole, dobbiamo guardare ai risultati, non alle intenzioni o alle motivazioni, e possiamo permettergli di agire secondo la propria conoscenza solo se gli consentiamo di conservare per sé ciò che i suoi simili sono disposti a pagargli per i servizi resi, indipendentemente dalla nostra opinione sulla misura appropriata del merito morale che ha guadagnato o dalla stima che abbiamo nei suoi confronti come persona.

Questa remunerazione, in accordo col valore dei servizi offerti da una persona, è spesso differente da ciò che pensa sia il suo merito morale. Questa, credo, sia la radice di tutta l'insoddisfazione nei confronti di un sistema di libera impresa e dell'acclamazione nei confronti di una "giustizia ridistributiva". Non è onesto né efficace negare che ci sia tale discrepanza tra il merito morale e la considerazione che una persona può guadagnarsi con le proprie azioni e, d'altra parte, il valore dei servizi per cui lo paghiamo. Se cercassimo di sorvolare questo fatto, o di mascherarlo, ci troveremmo  in una posizione completamente falsata. Né abbiamo alcuna necessità di farlo.



Remunerazioni materiali

Ritengo che uno dei grandi meriti di una società libera sia che la remunerazione materiale non è  dipendente dalla stima personale che la maggioranza dei nostri simili ha nei nostri confronti. Ciò significa che finché restiamo entro i limiti delle regole accettate, la pressione morale può essere applicata su di noi solo attraverso l'apprezzamento di coloro che noi stessi rispettiamo e non attraverso l'allocazione di ricompense materiali da parte di un'autorità sociale. È nell'essenza di una società libera remunerare materialmente non per fare ciò che altri ci ordinano di fare, ma perché diamo loro ciò che desiderano. La nostra condotta non dovrebbe essere guidata dal nostro desiderio del loro apprezzamento. Ma siamo liberi, poiché il successo dei nostri sforzi quotidiani non dipende dall'apprezzamento che alcune particolari persone hanno nei nostri confronti, o dei nostri principi, o della nostra religione, o delle nostre abitudini, e perché possiamo decidere se la ricompensa materiale che altri sono disposti a pagare per i nostri servizi ne rende conveniente la fornitura.

Raramente sappiamo se un'idea brillante che improvvisamente un uomo concepisce, e che può recare grande beneficio ai suoi simili, sia il risultato di anni di sforzi e di investimenti preparatori, o se sia un'ispirazione improvvisa indotta da un'accidentale combinazione di conoscenza e circostanza. Ma sappiamo che non varrebbe la pena prendersi il rischio se allo scopritore non fosse permesso di beneficiarne. E poiché non sappiamo come distinguere un caso dall'altro, dobbiamo perciò permettere ad un uomo di ottenere il guadagno quando il suo successo sia una questione di fortuna.



Il merito morale di una persona

Non voglio negarlo, vorrei piuttosto enfatizzare che nella nostra società la reputazione personale e il successo materiale sono troppo spesso legati l'uno all'altro. Dovremmo essere più attenti, poiché se riconosciamo ad un uomo la titolarità per un'alta ricompensa materiale, ciò non necessariamente lo investe di un'alta considerazione. E, sebbene ci sia spesso confusione su questo punto, non significa che tale confusione sia il risultato necessario del sistema di libera impresa – o che in generale il sistema di libera impresa sia più materialista di altri ordini sociali. Per molti aspetti mi sembra proprio il contrario.

Infatti la libera impresa ha sviluppato l'unico tipo di società che, mentre ci rifornisce di ampi mezzi materiali, se questo è ciò che principalmente desideriamo, lascia comunque l'individuo libero di scegliere tra una ricompensa materiale e una non materiale. La confusione – tra il valore che i servizi di un uomo hanno per i suoi simili e la reputazione che merita per il suo merito morale – potrebbe rendere materialistica una società di libera impresa. Ma il modo di prevenire questo esito non è certamente quello di controllare tutti i mezzi materiali, rendendo la distribuzione dei beni materiali l'obbiettivo principale di tutti gli sforzi comuni e, perciò, rendendo la politica e l'economia inestricabilmente vincolate.



Molte basi per un giudizio

È possibile per una società di libera impresa essere una società pluralista che non riconosca alcun ordine o rango, ma che abbia molti e diversi principi su cui basare la stima; laddove il successo mondiale non è né la sola prova né considerata prova certa del merito individuale. Potrebbe benissimo essere vero che periodi di rapida crescita della ricchezza, nei quali molto godono dei benefici della ricchezza per la prima volta, tendano a produrre una concentrazione nei confronti del miglioramento materiale. Fino alla recente ascesa europea, molti membri delle classi più agiate erano soliti denunciare come materialisti i periodi economicamente più attivi ai quali dovevano gli agi che permettevano loro di dedicarsi comodamente ad altre cose.



Progresso culturale

Periodi di grande creatività culturale e artistica sono generalmente seguiti da periodi di più rapida crescita in ricchezza. Ritengo che questo dimostri non che la società debba essere dominata da occupazioni materiali, ma che piuttosto con la libertà sia l'atmosfera morale nel più ampio senso, i valori a cui le persone si attengono, che determinerà la direzione principale delle loro attività. Gli individui, così come le comunità, quando percepiscono che altre cose sono divenute più importanti del progresso materiale, possono rivolgersi ad esse. Non è certamente attraverso lo sforzo di far coincidere il guadagno materiale col merito che possiamo proteggerci dal diventare troppo materialisti, bensì solo riconoscendo che ci sono altri e più importanti traguardi oltre al successo materiale.

È sicuramente ingiusto biasimare un sistema quale più materialista, perché lascia che sia l'individuo a decidere se preferisca il guadagno materiale ad altri tipi di eccellenza, anziché lasciare che questo sia deciso per lui. C'è effettivamente poco merito nell'essere idealisti se la fornitura dei mezzi materiali richiesti per questi scopi idealistici viene lasciata a qualcun altro. Solo se una persona può scegliere di fare un sacrificio materiale per un fine non materiale, allora ne merita il riconoscimento. Il desiderio di essere sollevati dalla scelta, e dal sacrificio personale, non mi sembra particolarmente idealista.

Ritengo che l'atmosfera dello Stato Sociale sia molto più materialista di quanto non lo sia una società di libera impresa. Se quest'ultima invita gli individui ad attribuire molto più scopo nel servire i propri simili attraverso il soddisfacimento dei bisogni puramente materialistici, dà loro anche l'opportunità di perseguire altri scopi che ritengono più importanti. Bisogna tenere a mente, comunque, che il puro idealismo di un obiettivo è discutibile quantunque i mezzi materiali necessari affinché esso venga conseguito sono creati da altri.



Mezzi e fini

Concludendo, vorrei per un momento ritornare al punto da cui sono partito. Quando difendiamo il sistema della libera impresa dobbiamo sempre ricordare che ha a che fare esclusivamente con i mezzi. Ciò che facciamo con la nostra libertà dipende da noi. Non dobbiamo confondere l'efficienza nel fornire i mezzi, con i propositi a cui servono. Una società che non ha altri standard se non l'efficienza, indubbiamente sprecherà quell'efficienza. Se gli uomini devono essere liberi di usare i loro talenti per fornirci i mezzi che desideriamo, dobbiamo ricompensarli in funzione col valore che questi mezzi hanno per noi. Ciononostante dovremmo stimare questi uomini solo in funzione dell'uso che fanno dei mezzi a loro disposizione.

Incoraggiamo dunque l'utilità verso i propri simili in tutti i modi, ma non facciamoci confondere con l'importanza dei fini a cui gli uomini in ultima analisi aspirano. È la gloria del sistema della libera impresa che rende possibile che ogni individuo, servendo il prossimo, possa così fare lo stesso per i propri fini. Ma il sistema è esso stesso solo un mezzo, e le sue infinite possibilità devono essere messe al servizio dei fini che esistono separatamente.


[*] traduzione di Giuseppe Jordan Tagliabue per Francesco Simoncelli's Freedonia: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


giovedì 30 marzo 2017

Chi controlla Bitcoin?





di Daniel Krawisz


Una preoccupazione comune e comprensibile su Bitcoin, è che potrebbe essere danneggiato a livello di protocollo per servire interessi particolari piuttosto che le masse. Ad esempio, potrebbero essere adottate caratteristiche che potrebbero rendere Bitcoin molto meno anonimo o che lo trasformerebbero in un sistema centralizzato. Si teme la presenza di qualcuno che possa influenzare lo sviluppo degli aggiornamenti e bloccarli. Chiunque potrebbe creare fork in Bitcoin, ma supponiamo che ci sia un aggiornamento proposto da alcune persone influenti -- gli sviluppatori principali -- e supponiamo che creino una hard fork nel protocollo Bitcoin. Gli sviluppatori principali potrebbero dire che si tratta una buona idea, ma forse sono stati pagati dalla NSA. La domanda a cui risponderò qui è se e come possa essere impedito a tale aggiornamento di diventare standardizzato. Chi controlla Bitcoin?



Nuovo e classico

Si suppone che ci sia un qualche disaccordo sul fatto che l'aggiornamento sia una buona idea, perché se non ci fosse allora non ci sarebbe nessun problema. Una volta che l'aggiornamento viene rilasciato, la rete si divide. Ognuno può scegliere quale biforcazione seguire, o anche seguire entrambe le versioni contemporaneamente. Ci sono due Bitcoin ora; li chiamerò Bitcoin Nuovo e Bitcoin Classico. Ognuno ha una propria rete, e tutti coloro che possedevano bitcoin prima hanno la stessa quantità di Bitcoin Nuovi e Classici.

Chi può impedire ai Bitcoin Nuovi di prendere il sopravvento? Alcune discussioni sostengono che le persone che gestiscono i nodi possono fermare un aggiornamento rifiutando di eseguirlo. Beh, sarebbe vero se nessuno eseguirebbe letteralmente l'aggiornamento, e di conseguenza il Bitcoin Nuovo morirebbe sul nascere. Tuttavia è anche vero che suddetta decisione non avrebbe alcun effetto reale sulla rete. La maggior parte dei nodi sono un peso morto. Anche i nodi pieni (e con questo intendo i nodi che memorizzano e convalidano l'intera blockchain) non offrono un contributo degno di nota. Un nodo pieno non fa niente di più che un sacco di altri nodi non possano fare, e per rimanere sincronizzati con la rete, richiedono più dati di quelli che forniscono. La rete può funzionare bene con pochi nodi pieni. Pertanto Bitcoin Nuovo non potrà essere fermato anche se un sacco di nodi pieni rifiutassero di eseguire l'aggiornamento.

I nodi che contano veramente sono quelli che forniscono servizi di valore. Non importa se si esegue l'aggiornamento. Ciò che conta è se Coinbase, BitStamp e Blockchain.info eseguono l'aggiornamento. Questi nodi forniscono un sacco di infrastrutture per Bitcoin, quindi se non eseguono l'aggiornamento, Bitcoin Nuovo sarà molto meno utile. Tuttavia questi nodi sono a scopo di lucro, quindi tenderanno ad andare dove ci sono i soldi. Non possono permettersi di esercitare l'influenza che potrebbero avere, con il rischio di perdite a breve termine. Pertanto non hanno un così grande effetto sul risultato come potrebbe sembrare a prima vista.

Che dire dei minatori? Se si rifiutano di minare la nuova catena, ciò fermerà Bitcoin Nuovo sul nascere, giusto? Beh no! Anche i minatori ci sono dentro per fare soldi, e se Bitcoin Classico non può sostenere lo stesso tasso di hash come Bitcoin Nuovo, allora metteranno in campo più risorse per minare Bitcoin Nuovo. Quindi neanche i minatori hanno molta voce in capitolo.

Il tutto si riduce al valore delle due monete. Se Bitcoin Nuovo diventa più prezioso di Bitcoin Classico, allora i minatori mineranno ed i servizi lo sosterranno. Altrimenti no. Gli investitori risolvono la questione. Un investitore in Bitcoin può vendere i suoi Bitcoin Nuovi in cambio di quelli Classici, o viceversa, a seconda di quale secondo lui sia il migliore.

I fornitori di servizi ed i minatori, in conclusione, sono meno influenti di quanto si possa pensare perché non necessariamente hanno i fondi per correre il rischio e decidere quale versione gli piaccia di più e quale promuovere. In breve, il problema è che non sono necessariamente investitori, che, per definizione, hanno i fondi. Gli investitori non devono ascoltare gli altri, perché possono permettersi di correre il rischio di esercitare influenza. Quindi sono gli investitori che controllano Bitcoin.



Risalire a monte

Chiaramente ci sono problemi tecnici con la creazione di un fork praticabile di cui non ho parlato. Ad esempio, un fork in Bitcoin potrebbe non essere in grado di funzionare perché il suo tasso di hash sarebbe inizialmente così basso che i blocchi da minare potrebbero richiedere giorni o settimane. Dal momento che non c'è mai stata una battaglia tra due fork prima, ci sono un sacco di incognite su come farlo bene, ma i problemi tecnici come quello appena citato potrebbero essere risolti se fossero adeguatamente studiati.

Il vero problema non è come potrebbe essere effettuato un fork in Bitcoin, ma la comprensione di come si svolgerebbero gli eventi in una situazione del genere. Le situazioni ipotetiche influenzano la realtà di ogni giorno. Quando due eserciti si incontrano e sono in grado di determinare chi vincerebbe senza combattersi, allora la battaglia finirebbe senza dover iniziare. Questa è una situazione simile. Se un aggiornamento in Bitcoin sarebbe impopolare agli occhi degli investitori, i suoi fautori, sapendo chi vincerebbe alla fine, tenderebbero a fare marcia indietro prima di causare enormi disagi. Gli investitori sono al comando, anche per gli aggiornamenti di Bitcoin.

Quali sono le implicazioni di questa conclusione? La motivazione degli investitori è il valore della moneta. La regola generale sugli aggiornamenti di Bitcoin, quindi, è che saranno eseguiti solo quegli aggiornamenti che aumentano il valore di Bitcoin. Pertanto è improbabile che Bitcoin sia aggiornato in modi che sia reso più facile da regolare, perché ciò lo farebbe diminuire di valore. Bitcoin potrebbe essere aggiornato in modo che sia reso più anonimo, perché una moneta più anonima sarebbe più preziosa. È anche probabile che sia adottato un aggiornamento che permetta blocchi di dimensioni maggiori, perché l'attuale limite di 1 MB finirà per limitare il valore di Bitcoin come forma di denaro. Saranno eseguite anche correzioni di bug evidenti, mentre non hanno alcuna possibilità i sistemi cockamamie che non migliorano in modo chiaro il valore di Bitcoin.

Questo non per dire che Bitcoin è un essere divino o qualcosa d'immacolato. Significa solo che gli aggiornamenti di Bitcoin devono rappresentare un netto miglioramento da un punto di vista degli investimenti o altrimenti la loro strada sarà in salita. Qualsiasi intenzione per riprogrammarli per farli adottare dai servizi di Bitcoin farà perdere valore a quest'ultimo, perché lo cambierebbe da qualcosa di buono per il mondo a qualcosa di buono per un gruppo ristretto di persone. Naturalmente le persone devono prestarvi attenzione al fine di evitare una cosa del genere, ma non dobbiamo farci prendere dalla paranoia con l'ipervigilanza.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


mercoledì 29 marzo 2017

È tutto finito tranne le urla





di David Stockman


È tutto finito tranne le urla, e non sto parlando solo della cosiddetta “abrogazione e sostituzione” dell'Obamacare.

Intendo tutta la fantasia del Rally Targato Trump e del punto di vista illusorio di Wall Street secondo cui la massiccia bolla finanziaria nel casinò, possa continuare ad essere gonfiata a tempo indeterminato grazie ad un qualunque “stimolo” partorito da Washington.

Trump ha vinto solo perché l'entroterra statunitense è disperato dal punto di vista economico; ma non ha offerto alcun programma politico coerente.

Tra le altre cose è per questo che i repubblicani hanno alzato il pollice verso per quanto riguarda l'Obamacare Lite. La campagna elettorale ha riguardato una sua rumorosa “abrogazione”, ma poco più di un paio di tweet sulla “sostituzione”.

Quindi non v'è e v'era alcun consenso nel GOP, o mandato pubblico, per quanto riguardava la sostituzione dell'Obamacare. Trump stesso non aveva altre idee tranne eliminare gli ostacoli per le assicurazioni tra uno stato e l'altro, ma ciò presume l'esistenza di consumatori.

Non ci sono. Circa 275 milioni di persone sono in ostaggio di Medicare, Medicaid e piani forniti dai datori di lavoro (che da soli comprendono circa 160 milioni di beneficiari).

Ma questi non sono altro che giganteschi bacini dove la concorrenza tra le assicurazioni non conta; le coperture sono rigidamente incentrate sulla struttura “taglia unica”; e, forse più importante, quello che passa per “mercato” nel mondo dell'assistenza sanitaria è solo una stanza di compensazione burocratica dove i cartelli cercano di massimizzare le loro fatturazioni — mentre le compagnie di assicurazione e altre agenzie simili cercano di minimizzare quello che certificano di dover pagare.

Secondo l'attuale status quo, non c'è assolutamente alcun modo per ottenere ciò che la maggior parte del GOP professa di volere, in particolare i conservatori: premi assicurativi più bassi, costi ridotti dei programmi per i sussidi sociali e più potere alle scelte dei consumatori.

Queste cose potranno solo accadere quando una parte significativa dei suddetti 275 milioni di beneficiari sarà liberata dal collettivismo intrinseco ai pagamenti effettuati da terze parti.

Poi potrebbe sbocciare la “concorrenza”, ritrovandoci ad avere migliaia di piani sanitari differenziati e prezzi che si baserebbero sui costi individuali. Ci sarebbe capitalismo per fornitori e consumatori — non socialismo de facto per i secondi, l'elemento motore strutturale dell'attuale sistema disastroso.

Ma niente di tutto ciò è all'orizzonte.

Questo significa che qualunque aggiustamento che alla fine emergerà all'interno del Caucus del GOP, il disegno di legge risultante sarà ancora uguale all'Obamacare Lite.

Infatti ciò che è successo negli ultimi giorni di contrattazione, è che il disegno di legge alla Camera era stato ulteriormente ritoccato. Era diventato Obamacare Ultra-Lite, ma in realtà non avrebbe raggiunto nessuno degli obiettivi perseguiti dal Freedom Caucus.

In questo contesto, il migliore esito per lo Speaker Ryan e la Casa Bianca sarebbe stata una vittoria dell'Obamacare Ultra-Lite per uno o due voti.

Ma si sono bruciati, perché i voti non erano semplicemente lì.

Il disegno di legge non è stato sconfitto a titolo definitivo — ma diciamo che è stata una sconfitta per Trump.

Normalmente, in questa fase del gioco, il partito di maggioranza e lo Speaker sarebbero arrivati ad una terza alternativa, cioè ritirare il disegno di legge e rielaborarlo fino a quando non avrebbe avuto un margine di sicurezza nella sua approvazione.

Con la situazione odierna, ci vorrebbero settimane di manovre al Senato e poi una commissione di risoluzione prolungata per ottenere un compromesso che abbia la minima possibilità di essere approvato alla Camera.

L'idea che tutto questo possa ancora accadere, se davvero c'è una possibilità che accada, prima del Memorial Day o addirittura del 4 luglio, è una chimera.

Le implicazioni sono chiare. Che il disegno di legge sia stato rifiutato o anche se fosse passato, l'idea stupida che ci sia una maggioranza nel GOP sarà presto messa a tacere.

E l'idea che Trump sia una sorta di brillante affarista, sarà sostituita dalla realtà: è un dilettante ingenuo, impetuoso ed indisciplinato, detestato dalla maggior parte della Città Imperiale che coglie ogni occasione per criticarlo.

La mancanza di sostanza politica e di consenso politico all'interno del GOP, cose già viste con la “sostituzione” dell'Obamacare, torneranno rampanti quando si tratterà di tagliare le tasse.

In una parola, il tetto del debito è ora congelato, il deficit strutturale è a quasi $1,000 miliardi l'anno, e non ci potrà essere alcuna riforma fiscale senza una risoluzione di bilancio per l'anno fiscale 2018.

Ecco il punto.

Per ottenere la risoluzione di bilancio e metterla in cima all'agenda di Trump, ci vorranno 218 voti repubblicani alla Camera (non c'è la minima possibilità, perché hanno dichiarato guerra a Trump) per un minimo di $12,000 miliardi in nuovi deficit e un debito pubblico da $30,000 miliardi entro il 2027.

Non succederà, neanche tra un milione di anni.

Come ho detto, è tutto finito tranne le urla. È anche un'altra buona occasione per uscire dal casinò.

George W. Bush non aveva ragione su molto, ma una cosa giusta la disse — anche se con 9 anni di anticipo, a quanto pare — quando se ne uscì con questa frase: “Tutta la baracca sta colando a picco.”

Parole più vere non sono mai state pronunciate.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


martedì 28 marzo 2017

Il prezzo dell'oro salirà anche se la FED continuerà ad alzare i tassi d'interesse





di James Rickards


Quando la FED ha aumentato i tassi d'interesse a dicembre dello scorso anno, molti credevano che l'oro sarebbe precipitato. Ma non è andata così.

L'oro ha fatto segnare un minimo il giorno dopo il rialzo dei tassi, ma poi ha cominciato a muoversi più in alto. E nelle ultime 10 settimane è salito di circa il 12%, nonostante qualche alto e basso dovuto alle fluttuazioni.

Per inciso, la stessa cosa è accaduta quando la FED ha rialzato i tassi a dicembre 2015. L'oro poi ha sfoggiato uno dei suoi migliori trimestri in 20 anni nel primo trimestre del 2016. Quindi è molto interessante vedere l'oro salire nonostante i venti contrari da parte della FED.

Normalmente quando i tassi salgono, il dollaro si rafforza e l'oro s'indebolisce. Di solito si muovono in direzioni opposte. Quindi come potrebbe salire l'oro durante una posizione ristretta della FED e un dollaro più forte?

Questo fatto mi suggerisce che c'è molto da dire a riguardo, che c'è qualcosa dietro le quinte che sta facendo salire il prezzo dell'oro.

Significa che non si può semplicemente guardare al dollaro. Il dollaro è senza dubbio un elemento motore importante per quanto riguarda il prezzo dell'oro. Ma lo sono anche i fondamentali di base, come la domanda e l'offerta nel mercato dell'oro fisico.

Io viaggio costantemente e negli ultimi mesi sono stato a Shanghai ad incontrare i più grandi rivenditori d'oro in Cina. Sono stato anche in Svizzera, non molto tempo fa, ad incontrare raffinatori d'oro e rivenditori d'oro.

In Svizzera ed a Shanghai ho sentito le stesse storie: ci sono carenze d'oro fisico e le raffinerie stanno avendo difficoltà ad entrare in possesso d'oro. I raffinatori hanno lunghe liste di acquirenti e non riescono a trovare l'oro di cui hanno bisogno per far continuare le loro operazioni di raffinazione.

E le nuove scoperte d'oro sono poche e lontane nel tempo, così la domanda supera l'offerta. Ecco perché alcune delle opportunità che abbiamo segnalato tra i cercatori d'oro sono decisamente attraenti in questo momento. Una buona scoperta può rappresentare una fortuna per gli investitori.

Il mio punto è che le carenze d'oro fisico stanno diventando un problema. Questo fatto rappresenta un importante elemento motore per i prezzi dell'oro.

Quando si parla di mercato dell'oro, è molto importante distinguere tra il mercato dell'oro cartaceo e il mercato dell'oro fisico. Quando mi riferisco al mercato dell'oro cartaceo, sto parlando di ETF, contratti futures del COMEX e simili.

C'è solo una piccola quantità di oro fisico alla base di questi mercati. Immaginiamola come una piramide rovesciata, con una piccola quantità di oro alla base a sostegno di una grande quantità di contratti di carta in cima.

Di conseguenza il mercato dell'oro cartaceo non rappresenta onestamente il mercato dell'oro fisico.

E non c'è dubbio che il mercato dell'oro cartaceo sia stato manipolato al ribasso. Questo non è uno strano complotto partorito dalla mia mente. Ho parlato con testimoni in alcuni dei contenziosi in corso che coinvolgono proprio una manipolazione dei prezzi; questi sono statistici con un dottorato che per 20 anni hanno consultato i dati e mi hanno confermato l'indubbia presenza di una manipolazione dei prezzi nel mercato dell'oro cartaceo.

Chiunque ci sia dietro, e quale sia la sua motivazione, è ancora oggetto di ipotesi. Ma ancora più importante, l'oro è salito di prezzo nonostante il rialzo dei tassi d'interesse e il coperchio sui prezzi dell'oro fisico rappresentato dal mercato dell'oro cartaceo.

Questo fatto mi suggerisce che stiamo assistendo ad una fuga verso la qualità, il che significa che la gente sta perdendo la fiducia nelle banche centrali di tutto il mondo. Si rendono conto che le banche centrali sono a corto di soluzioni. Per otto anni hanno stampato denaro e hanno mantenuto i tassi vicino allo zero o negativi. Ma queste strategie non hanno funzionato e nemmeno hanno stimolato la crescita dell'economia.

Così l'oro è salito in un ambiente economico costituito da tassi più elevati ed un mercato dell'oro cartaceo manipolato. La domanda è: come si muoverà da qui in poi l'oro?

La FED sta rialzando i tassi nel momento peggiore possibile, se teniamo anche conto del Presidente Trump e del suo piano economico. Ecco cosa voglio dire...

Il mercato azionario è salito di 2,000 punti, o più del 10%, da quando è stato eletto Trump. L'aspettativa era che Trump avrebbe significato meno tasse, più investimenti in infrastrutture, più spese per la difesa, meno regolamentazione, e che tutto questo avrebbe aiutato l'economia.

L'ultima volta che l'oro ha sperimentato un sell-off è stato durante la notte delle elezioni, quando Stan Druckenmiller, un famoso investitore in oro, ha venduto tutto il suo oro. È naturale che il prezzo scenda quando qualcuno scarica quelle quantità d'oro che ha in gestione.

Questa mossa ha significato un cambiamento nel sentimento.

Ciò che Stan ha detto era molto interessante: "Tutte le ragioni per cui possedevo l'oro sono svanite perché Trump è stato eletto presidente."

In altre parole considerava che Hillary Clinton sarebbe stata un male per l'economia, ma le politiche di Donald Trump sarebbero state vantaggiose. Se avessimo visto una forte crescita economica con una presidenza Trump, allora non ci sarebbe stato bisogno di oro per proteggersi. Così ha venduto il suo oro e ha comprato azioni in base al presupposto che l'economia sarebbe cresciuta grazie a Trump.

Ma proprio nelle ultime due settimane, Stan ha detto che sta acquistando di nuovo oro. Ciò significa che, dopo l'euforia iniziale, le persone stanno ora riconsiderando il mini-rally azionario. Si stanno chiedendo da dove salteranno fuori i soldi per tutta la spesa per infrastrutture.

Se il nostro rapporto debito/PIL è già oltre il 100% e abbiamo $20,000 miliardi di debito pubblico, non c'è molto spazio per debito aggiuntivo. E la fazione dei "falchi di bilancio" repubblicani al Congresso sta dicendo che i tagli fiscali devono essere pagati, il che significa tagli alla spesa altrove o aumento delle tasse da qualche altra parte.

Ciò significa che per l'economia nel suo complesso, non vi sarà alcun taglio delle tasse. Se si effettuano tagli fiscali neutri, il che significa che per ogni dollaro di taglio si aumenta qualcos'altro, non ci sarà alcun effetto stimolante.

Inoltre la spesa per le infrastrutture sembra essere già stata messa in conto per il 2018. E le liberalizzazioni promesse da Trump sembrano buone, ma ci vorrà molto tempo per approvarle.

Quindi molti stanno ormai guardando con più attenzione al mini-rally scaturito dal post-elezioni presidenziali, e stanno concludendo che non è tutto oro quello che luccica. E devono anche rendersi conto che la FED cerca di alzare i tassi, anche se l'economia potrebbe non essere così rosea come molti originariamente pensavano.

Ma la ragione per cui la FED vuole aumentare i tassi è rivelatoria.

Non perché pensa che l'economia sia forte — potremmo addirittura ritrovarci un PIL negativo per il primo trimestre — ma perché è preoccupata di doverli alzare prima dell'arrivo della prossima crisi.

Così la FED vuole aumentare i tassi il più presto possibile, in modo che possa tagliarli quando arriverà la recessione. Questo è un motivo molto strano per voler aumentare i tassi, ma è così che stanno le cose.

Avrebbe dovuto rialzare i tassi nel 2011, ma non l'ha fatto. Se li avesse rialzati allora, ora sarebbe in una buona posizione per tagliarli, ma non l'ha fatto. Ora sta cercando di recuperare il tempo perduto, ma come al solito la FED ha giudicato male.

Quindi la FED sta procedendo ad un innalzamento dei tassi a fronte di un'economia debole. Molto presto diventerà evidente a tutti e ad aprile o maggio dovrà invertire la rotta.

Cosa succederà quando la FED invertirà la rotta ad aprile o maggio?

L'oro salirà più in alto ancora una volta, perché la gente comprenderà che la FED non può alzare i tassi, anche se vuole. Dovrà svalutare ancora una volta il dollaro e questo segnale sarà molto rialzista per l'oro.

Per riassumere il tutto, sono molto impressionato dall'attuale azione dell'oro perché dovrebbe scendere in presenza di tassi più elevati e contenimento dei prezzi a causa del mercato dell'oro cartaceo. Invece accade il contrario.

Quindi mi aspetto che l'oro salga perentoriamente di prezzo in primavera.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


lunedì 27 marzo 2017

Il cosiddetto “Obamacare Lite” era solo una frode fiscale





di David Stockman


Il piano di “abrogazione e sostituzione” dell'Obamacare, come avevo predetto, era un disastro fiscale.

Non solo avrebbe aggiunto $1,100 miliardi al deficit federale nei prossimi dieci anni, ma, ancora più importante, non avrebbe riformato nulla.

Avrebbe lasciato in piedi la grande espansione del Medicaid, scambiando un tipo di credito d'imposta per un altro nel mercato assicurativo individuale ed avrebbe lasciato intatti gli enormi sussidi fiscali — pari a $350 miliardi all'anno — ai piani forniti dai datori di lavoro.

Quest'ultimo punto esemplifica la codardia che pervadeva il piano di Ryan; e dimostra che se la normativa fosse passata alla Camera e al Senato, sarebbe costata tanto quanto l'Obamacare.

Dal punto di vista fiscale, il piano di Ryan iniziava con un buco di $1,100 miliardi in dieci anni perché abrogava le tasse dell'Obamacare sui fornitori di piani d'assicurazione ad alto costo, dispositivi medici e contribuenti ad alto reddito.

Allo stesso modo, una prima stesura del piano di Ryan ha provocato una levata di scudi da parte dei falchi fiscali nel Freedom Caucus e nel gruppo di studio repubblicano, perché stabiliva un nuovo sussidio sotto le mentite spoglie di una riforma.

Tuttavia il nuovo piano metteva una foglia di fico sul credito d'imposta di Ryan basato sull'età, eliminando l'ammissibilità di Bill Gates ad un credito d'imposta da $4,000 (ha 61 anni) — insieme ad un paio di milioni di altre famiglie americane benestanti.

Dubito che qualcuno anche con la quinta elementare potesse essere ingannato dal piano di Ryan. Le nuove disposizioni rappresentavano solamente nuovi crediti d'imposta che in qualche modo erano più dissoluti dei sussidi di Obama ai premi delle assicurazioni.

In teoria, il 95% delle famiglie avrebbe avuto diritto a rivendicare alcuni o tutti questi crediti d'imposta, i quali andavano dai $2,000 ai $4,000 a persona in base alle fasce d'età. Stiamo parlando di un sussidio da migliaia di miliardi di dollari.

Ma il credito d'imposta per le polizze individuali era solo la punta dell'iceberg.

Gli Stati Uniti hanno un sistema di programmi assistenziali sanitari che avrà un costo di $24,000 miliardi nel corso del prossimo decennio, e il nuovo piano di Ryan avrebbe perpetuato lo status quo.

Questi sarebbero equivalsi a quasi il doppio del costo decennale ($13,200 miliardi) della previdenza sociale. E sette volte il costo ($3,300 miliardi) di altri programmi assistenziali come i food stamp.

Eppure i costi esorbitanti e l'utilizzo eccessivo che hanno portato il sistema sanitario degli Stati Uniti a ricoprire i 18% del PIL (rispetto al 10-12% di quasi tutti gli altri paesi sviluppati), sono risultati direttamente da questi massicci sussidi statali.




Favoriscono un sistema perverso di socialismo per i beneficiari e capitalismo clientelare per i fornitori ed i loro vari cartelli.

Il cuore del problema è un gigantesco sistema di elargimenti che elimina essenzialmente i prezzi di mercato e gli acquisti dettati dai consumatori. Il risultato è un sovrautilizzo dei servizi, prezzi altissimi e presunti pasti gratis.

Quando praticamente tutto viene pagato da terze parti, i consumatori vengono scalzati poiché non possono più orientare il mercato secondo le loro esigenze e non hanno più una rete informativa oggettiva di prezzi — solo alcune centinaia di milioni di pazienti indifferenti ai costi con vari tipi di carte prepagate (ad esempio, Medicare, Medicaid, croce blu, piani forniti dai datori di lavoro, ecc.).

Inutile dire che non c'è alcun libero mercato quando non ci sono più consumatori reali.

Ciò che passa per mercato sanitario oggi, è solo una stanza di compensazione burocratica dove vari cartelli cercano di massimizzare i loro fatturati — mentre le compagnie di assicurazione e altre agenzie simili cercano di minimizzare i loro pagamenti.

Di conseguenza le professioni mediche si sono trasformate in una grande lobby di capitalismo clientelare di Washington.

Ciò che ci ritroviamo tra i piedi, quindi, sono prezzi elevati, interminabili problemi sulle coperture ed una completa perdita di sovranità dei consumatori sui propri costi di assistenza sanitaria e sulla relativa qualità. E questo è ciò che la popolazione — sia che vi si riconosca pienamente o meno — obietta “all'Obamacare”.

Alla fine questa è assistenza sanitaria socialista ed è quello che manderà in bancarotta l'America. Anche perché l'Obamacare Lite dello Speaker Ryan non cambiava di una virgola questo sistema. Dopo tutto sono state le lobby di Washington che essenzialmente hanno elaborato la sua proposta di legge.

Inutile dire che se si lascia in piedi un programma non riformato del Medicaid e vi si aggiungono crediti d'imposta ultra-generosi, l'unica cosa che si otterrà sarà un'emorragia fiscale.

I sussidi dell'Obamacare avranno un costo di circa $900 miliardi nel prossimo decennio. Ma sono più che sicuro che le proposte di Ryan avrebbero avuto probabilmente un costo superiore. Come sarebbe potuto essere altrimenti, quando le famiglie con un quarto di milione di dollari di reddito annuo sarebbero state considerate ammissibili ad ottenere i benefici dell'Obamacare Lite?

Ma la vera magagna era il fumo negli occhi proveniente dal Medicaid. Secondo il CBO l'attuale legge avrà un costo di $5,200 miliardi nel corso del prossimo decennio, e quando vi aggiungiamo la quota corrispondente dei vari stati il costo totale per i contribuenti è di circa $8,500 miliardi. L'Obamacare Lite non sarebbe costato un centesimo di meno, anzi.

In primo luogo, il piano di Ryan non avrebbe abrogato l'espansione del Medicaid per coprire tutti fino al 138% della soglia di povertà. Gli 11 milioni di beneficiari che Obama ha aggiunto, portando le fila del Medicaid a raggiungere i circa 70 milioni, sarebbero rimasti al loro posto.

L'unica cosa che cambiava col piano di Ryan era che dopo il 2020, chiunque ammissibile sarebbe stato finanziato col Medicaid ad una percentuale standard di circa il 57% in media, e non del 90%.

Ma qualunque fosse stato il “risparmio”, sarebbe stato annullato dal contentino di Ryan ai governatori del GOP. Vale a dire, il nuovo programma di “concessioni per le innovazioni” da $100 miliardi agli stati per sovvenzionare le popolazioni ad alto costo (condizioni pre-esistenti) e per altri scopi.

Cerchiamo allora di mettere tutto ciò in prospettiva. Andiamo al cuore di questa storia, dove tutto è iniziato, negli anni '60 circa.

A quel tempo il PIL era di circa $550 miliardi e la nazione spendeva solo $27 miliardi per l'assistenza sanitaria in tutte le sue forme — dai medici agli ospedali e alla riabilitazione professionale — o circa il 5% del PIL.

In termini pro-capite era pari a solo $145 a persona. Ma la cosa sorprendente è che $70 dei suddetti dollari, o quasi la metà del totale, era pagata dai contribuenti stessi.

Poi, 55 anni dopo, l'assistenza sanitaria è diventata irriconoscibile.

Nel 2015 i pagamenti di terze parti sono stati pari a $7,450 pro-capite, o il 186X in più rispetto al 1960. E non è tutta inflazione o crescita economica. L'indice dei prezzi al consumo (CPI) è aumentato di circa l'8X durante suddetto lasso di tempo ed il PIL nominale pro-capite è salito del 18X.

Detto in modo diverso, la spesa sanitaria totale era di $3,200 miliardi nel 2015: il 17.8% del PIL rispetto al solo 5% nel 1961.

Al contrario, la spesa di tasca propria da parte dei contribuenti per l'assistenza sanitaria, era pari al 3.2% del reddito personale rispetto a solo il 2.0% nel 2015.

Cioè, la quota di reddito nazionale dedicata all'assistenza sanitaria è aumentata del 3.5X, mentre il morso sui bilanci delle famiglie è diminuito di quasi il 40%.

Inoltre, non v'è alcun dubbio su come questo sia potuto accadere.

Il più grande di tutti gli abomini sul libero mercato è stata l'assicurazione sanitaria fornita dai datori di lavoro: un prodotto che non esisterebbe se fosse tassato come gli altri redditi da lavoro e che non è affatto un'assicurazione, ma semplicemente una forma di pagamento anticipato per i servizi sanitari.

Come molte delle altre deformazioni che distorcono il libero mercato, i sussidi fiscali per i piani forniti dai datori di lavoro non sono altro che residui del New Deal (quando i piani salute erano esclusi dai controlli salariali).

Il resto è storia: i cosiddetti piani di assicurazione sanitaria forniti dai datori di lavoro hanno creato un cuneo gigante, tra prezzi più alti ricevuti da medici e ospedali ed una costante contrazione dei costi sborsati dai contribuenti.

E, sì, si trattava proprio di una specie di cuneo. Nel 1960 l'assicurazione privata era pari a $5.8 miliardi. Tale cifra copriva solo il 22% del totale delle spese sanitarie ed era pari a solo l'1.3% del reddito personale.

Invece nel 2015 l'assicurazione sanitaria privata — quasi interamente un piano fornito dai datori di lavoro — era di $1,070 miliardi, o il 107X in più rispetto al livello del 1960 su base pro-capite.

A causa delle dinamiche intrinseche all'attuale sistema di pagamenti, l'inflazione sanitaria è diventata una componente ingombrante. Durante l'ultimo mezzo secolo, per esempio, l'indice dei prezzi al consumo è aumentato dell'8X, i salari medi del 10X ed i costi ospedalieri del 40X.

L'inflazione dei costi medici, dei farmaci, dei test di laboratorio e della maggior parte dei servizi sanitari, è stata solo un po' meno esplosiva, ma la causa di fondo è la stessa: i servizi sanitari di routine non sono rischi assicurabili, perché sia ​​i fornitori sia i consumatori dirigono la frequenza ed il costo del servizio.

In certi strati demografici, per esempio, il tasso di obesità e il diabete sono così diffusi che la copertura sanitaria equivarrebbe a fornire ai piromani un'assicurazione contro gli incendi.

Ma il problema insormontabile è la ricaduta enorme sui cittadini innocenti.

L'inflazione dilagante nel settore sanitario significa che gran parte della popolazione è stata "sbattuta fuori" dal sistema sanitario a causa dei prezzi elevati, compresi i poveri, i pensionati, i lavoratori autonomi e quelli con condizioni pre-esistenti. È così che abbiamo ottenuto il Medicare, il Medicaid e l'Obamacare: una perturbazione del mercato da parte dello stato ne ha generata un'altra e un'altra ancora.

Prima che questi programmi venissero approvati, nel 1960 l'assicurazione pubblica ed altri finanziamenti legati all'assistenza sanitaria ammontavano a soli $1.7 miliardi, o lo 0.3% del PIL, e $9 per abitante.

Oggi il costo combinato di Medicare/Medicaid e altri programmi governativi ammonta a $1,500 miliardi, o l'8.5% del PIL. Stiamo parlando di $4,800 pro-capite, o il 530X in più rispetto a quanto veniva speso pro-capite nel 1960.

Va da sé che le esigenze mediche degli anziani e dei poveri non sono salite di un fattore del 9% del PIL negli ultimi cinquant'anni. Alla fine questo è socialismo nell'assistenza sanitaria, e manderà in bancarotta l'America.

Solo i consumatori possono rendere un mercato sanitario, efficiente, innovativo ed onesto: la cura definitiva per ciò che affligge il sistema sanitario americano di oggi.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


venerdì 24 marzo 2017

I malati cronici d'Europa





di Francesco Simoncelli


Ricordate, le leggi dell'economia possono essere aggirate, ma non possono essere violate. I pianificatori monetari centrali sono restii ad apprendere questa lezione e ritengono d'avere per le mani l'elisir di lunga giovinezza quando si parla di politiche messe in campo per generare stabilità economica. Non è così, perturbano l'equilibrio dei mercati e si affannano per recuperarlo attraverso aggiustamenti costanti e ripetitivi. Il risultato è una stagnazione economica prolungata, curabile presumibilmente con quelle stesse politiche che fino a quel momento hanno fallito. Peggio, si presume che aumentandone la dose possano magicamente raggiungere l'obiettivo prefissato. Nel breve termine è anche possibile, ma sono disposizioni temporanee che presto lasciano lo spazio ad una correzione inevitabile. Questo perché i mercati sono dinamici, mentre gli interventi dei pianificatori monetari centrali sono mirati a farlo rimanere statico.

È per questo che la BCE non ha fatto alcun passo indietro questo mese e non ne farà alcuno nel futuro prossimo, nonostante abbia raggiunto il fatidico obiettivo del 2% d'inflazione che dovrebbe significare salute economica ripristinata. Invece lo zio Mario continuerà a parlare di "ripresa debole" e probabilmente si concentrerà sull'IPCH di base, in modo da aggrapparsi ad una scusa per alzare l'asticella dello stimolo monetario.

In altre parole, c'è una paura terrificante a chiudere i rubinetti monetari pena l'implosione del mercato obbligazionario sovrano italiano. E questo sarebbe solo l'antipasto. Ciononostante, come sottolineato dal Financial Times, il target d'inflazione della BCE è stato raggiunto; questo significa che ben presto lo zio Mario finirà le scuse per tenere ben saldo il piede sull'acceleratore monetario, mentre la stagflazione fagociterà le risibili rimanenze della pseudo-ripresa economica.

Le banche centrali stanno perdendo il controllo sul valore delle loro valute e il loro ruolo come presunti guardiani della stabilità economica. Otto anni dopo la crisi del 2008-09, le varie banche centrali del mondo stanno iniettando $200 miliardi al mese nei mercati finanziari per impedire che implodano. Ma la legge dei rendimenti decrescenti sta facendo il suo corso, perché le leggi dell'economia sono costrutti a priori, ovvero, possono essere aggirate ma non violate. E tale aggiramento ha un prezzo.



GUARDARE NEGLI OCCHI L'ABISSO: L'ITALIA

La storia tende a ripetere sé stessa. Si potrebbe pensare che questo sia un semplice modo di dire, un detto banale per dare una spiegazione a fenomeni che apparentemente condividono somiglianze con eventi presenti. Sono convinto di una cosa: la storia tende a ripetersi perché, alla fine, si commettono gli stessi errori. Nel nostro caso specifico, gli errori sono quelli che fanno riferimento all’attuale situazione economica in cui langue il nostro paese. Voglio dire, basta dare un rapido sguardo a degli indicatori chiave per smentire categoricamente le voci che si rincorrono lungo le colonne dei giornali secondo cui siamo entrati in territorio di ripresa economica. Non è così.

Le bancarotte, ad esempio, sono aumentate del 4X sin dal 2008; la spesa al consumo, dopo l’incursione del governo italiano nei redditi delle famiglie italiane attraverso il fisco, è colata a picco sin dal 2012 ed è rimasta piantata lungo il target dei €230 miliardi sin da allora; le vendite al dettaglio sono rimaste piatte come una tavola sin dall’inizio della crisi europea, mentre la produzione industriale, dopo alcuni spasmi nell’ultimo biennio non è ancora riuscita a riprendere i ritmi pre-crisi; il deflusso di capitale umano verso i paesi esteri continua inesorabile. In tutto questo marasma, la ZIRP della Banca Centrale Europea sta uccidendo quello che rimane del risparmio dei vari paesi europei.

La possibilità d’incappare in errori è follemente alta dato questo panorama, di conseguenza aumenteranno a dismisura quelle entità che necessiteranno di un aiuto per sopravvivere. In modo artificiale, ovviamente, impedendo al mercato d’operare quel processo sano di pulizia che permetterebbe alla concorrenza del mercato di scegliere chi meglio potrebbe servire le necessità degli attori di mercato. Invece no, istituti finanziari in bancarotta vengono tenuti in piedi attraverso l’infusione di linee di credito supplementari per permettere loro di non contagiare l’ambiente di mercato più ampio con una volatilità inaspettata.

I pianificatori monetari centrali, infatti, seguono una regola fondamentale: non agitare le acque. Questa cosa è diventata più vera che mai sin dal 2008, quando il governo federale degli Stati Uniti ha salvato pachidermi assicurativi falliti come Fannie e Freddie. Sin da allora è stato introdotto il concetto truffaldino di TBTF. Nel caso dell’Europa, invece, il termine è stato lievemente cambiato. Noi abbiamo i GSIB, istituti troppo importanti a livello di stabilità sistemica per essere lasciati fallire. Man mano che l’attuale farsa di 96 mesi ininterrotti di ZIRP andrà avanti, aumenteranno quegli istituti che finiranno sotto questa dicitura. Non è un caso se Banca Etruria, Carife, Carichieti e Banca Marche siano finite sotto questo acronimo.

Se vogliamo analizzare il caso più eclatante vicino a noi, ci basta guardare la cosiddetta banca più vecchia del mondo. O, per meglio dire, la banca «Morta Per Sempre». La questione non è salvare o no una banca, ma è evitare una reazione a catena che potrebbe invischiare il resto delle banche europee e addirittura mondiali. Infatti, come per tutte le cose della vita, i cambiamenti avvengono al margine. Così anche per un contagio finanziario. Nel panorama economico attuale, le passività di una banca sono l’attivo di un’altra, e questo significa che, se una banca fallisce, l’attivo di un’altra si riduce, esponendola a sua volta a un serio rischio di fallimento. Dato il mostruoso livello di leveraging durante il periodo d’espansione monetaria della BCE, la fragilità dei bilanci bancari è monumentale. Basti pensare che nel 2008 Deutsche Bank prestò a MPS circa €1.5 miliardi per ripianare vari buchi di bilancio e, in ritorno, la banca senese stipulò con quella tedesca alcuni contratti derivati sui tassi d’interesse. Si pensava che la banca centrale non avrebbe mai tirato il freno a mano. Si pensava che si potesse ripianare un debito con un altro debito. Si pensava che i tassi d’interesse sul debito italiano sarebbero rimasti perennemente stabili. I conti non hanno tardato a deteriorarsi.

Al che, nel 2009, ha richiesto un salvataggio da parte dello stato italiano da €1.9 miliardi. Nel 2013, questa cifra è aumentata a un totale di €3.9 miliardi. Ora ammontano a più di €10 miliardi. Monte dei Paschi non è che una dolina finanziaria che risucchierà sempre più risorse. È un’azienda fallita, e sarebbe dovuta fallire già nel 2009, quando richiese per la prima volta la possibilità d’attingere al denaro pubblico per restare a galla. Grazie ai continui artifici contabili è riuscita a barcamenarsi nel corso degli anni arrivando fino a oggi, ma più passerà il tempo più avrà bisogno di finanziamenti a buon mercato. Ma le banche centrali hanno cercato di mantenere un ambiente economico alterato attraverso la manipolazione dei tassi d’interesse, così da permettere a settori privilegiati d’accedere a finanziamenti convenienti che in un libero mercato non sarebbero mai emersi. Infatti, la ZIRP e il QE sono espedienti che possono aiutare a guadagnare tempo e rimandare per un po’ il giorno della resa dei conti. Ma infine l’insostenibilità della loro perpetuazione mette i banchieri centrali di fronte a un bivio: continuare a inflazionare o affrontare una depressione.

A quanto pare si è scelta la prima opzione, sforando nel territorio dei tassi negativi. Danimarca, Svizzera ed Europa nel suo complesso sono già finite in questo territorio inesplorato. Si sta facendo letteralmente di tutto per salvaguardare quelle entità strettamente connesse agli interessi dei pianificatori centrali. Senza contare che la banca senese è ormai in partnership nientemeno che col Tesoro italiano, suo azionista di maggioranza. Quest’ultimo ha coperto le spese che MPS non è riuscita a ripagare sin dalla maturità dei «Monti bond», obbligazioni emesse apposta per coprire i buchi della banca senese e sovvenzionate attraverso vari aumenti fiscali sul groppone degli italiani. Ma, come ho avuto già modo di dire, MPS non è che un gigantesco investimento improduttivo in attesa d’implodere. La sua inutilità ai fini della produttività e della prosperità del capitalismo di libero mercato è scritta nelle azioni degli individui che non spenderebbero un centesimo per tenerla a galla in mancanza di coercizioni statali. Per questo, ad esempio, il suo titolo in borsa si è sfracellato negli ultimi sei anni. Dai €25 ad azione nel lontano 2008, siamo arrivati a 60 centesimi. Per questo, negli ultimi stress test della BCE, è risultata la peggiore tra le banche italiane.

Di fronte a questa semi-nazionalizzazione il cambiamento è minimo, dal punto di vista politico. Se la gestione era direzionata (indirettamente) dal PD attraverso la Fondazione, ora può essere direzionata (direttamente) attraverso il governo/Tesoro italiano. Si potrebbe avanzare che alcune banche sono più uguali delle altre, ma aiuta anche il fatto di possedere in pancia una grossa quantità di titoli di debito italiani.

Ma il vero problema qui non sono solo i crediti in sofferenza delle banche commerciali europee, bensì anche la gigantesca bolla del mercato obbligazionario. Date un occhiata al seguente grafico.



Viene rappresentata la percentuale di titoli di Stato nei bilanci delle banche commerciali dei vari stati membri dell’UE. Sin dallo scoppio della crisi finanziaria le banche centrali hanno creato una quantità spropositata di credito. Così si è abbassato artificialmente il tasso d’interesse nel mercato monetario, convogliando i bond statali nel parcheggio delle banche commerciali, in quello degli hedge fund e in quello dei fondi pensione. Vorticando solo nel circuito finanziario, il denaro di nuova creazione è andato fondamentalmente ad alleviare le sofferenze di quelle entità strettamente connesse ai privilegi garantiti dal cartello delle banche centrali. Si è congelato il ciclo economico: mentre Main Street cercava di percorrere il proprio sentiero di deleveraging dagli errori passati, alcuni istituti sono stati salvaguardati dalla lunga mano dell’interventismo centrale. Questo ha dato loro modo di sopravvivere e far guadagnare tempo ai pianificatori centrali affinché trovassero un modo per far ripartire l’economia.

Non esiste. Per questo l’economia stenta a ripartire. Per questo anche quest’anno non ci sarà alcuna ripresa. L’Italia, infatti, non è che una grande bomba ad orologeria. I tassi ridicoli registrati nei rendimenti del suo decennale non sono che il risultato della repressione finanziaria della BCE e della FED (col QE2, il QE3 e gli swap di liquidità). La realtà dei fatti ci mette davanti a un paese ucciso dalle tasse, in cui la spina dorsale del settore industriale è stata frantumata dall’ingordigia erariale e dalla burocrazia soffocante.



LA DOLINA FINANZIARIA: LA GRECIA

La Grecia non rappresenta che una dolina finanziaria, o un buco nero finanziario, che ingurgiterà qualsiasi altro finanziamento e non ridarà indietro alcuna soddisfazione agli eurocrati tanto entusiasti d’uscirsene con soluzioni sempre più invasive e manipolatrici dei mercati. Perché la Grecia sarebbe dovuta fallire nel 2010. Anzi, la Grecia era fallita ben prima di quella data. Nel momento in cui è emerso un carry trade proficuo per quei giocatori d’azzardo con l’acquolina alla bocca per un qualsiasi giro d’espansione monetaria da parte delle banche centrali, è stato sconcertante osservare come l’azzardo morale abbia iniziato a pervadere l’intera Europa in un’orgia d’acquisti d’obbligazioni statali (nel nostro caso, greche) che sono state usate come garanzie per abbeverarsi ai rubinetti monetari della BCE.

Chiunque sano di mente non sarebbe rimasto nemmeno un minuto con questa sporcizia obbligazionaria nei propri bilanci, quindi avrebbe re-ipotecato l’obbligazione per ulteriore liquidità nel mercato dei pronti contro termine e avrebbe fatto faville puntando su altri asset rischiosi. Dal 1999 al 2007, abbiamo potuto assistere a una serie di scommesse azzardate che non hanno fatto altro che eliminare una determinazione onesta dei prezzi all’interno del mercato del debito europeo e in quello dei capitali. Le distorsioni avallate dalla BCE hanno magicamente trasformato nazioni sull’orlo della bancarotta in paradisi improvvisamente dediti ad una disciplina e una rettitudine fiscale che la loro storia non aveva mai confermato. D’un tratto, nelle nazioni della periferia dell’euro scorreva sangue teutonico. L’ingegneria finanziaria della pianificazione centrale non ha fatto altro che vendere un’illusione di prosperità basata sulla falsa premessa che le banche centrali possono in qualunque modo adempiere un presunto duplice mandato che permette all’economia più ampia di trarre vantaggio dalla saggezza dei suddetti burocrati. Se, quindi, gli «uomini superiori» al comando della macchina statale e bancaria centrale sono così onniscienti, come mai non hanno visto arrivare il cataclisma fiscale e finanziario che si sarebbe abbattuto sulle loro teste, e su di quelle della popolazione, una volta che la suddetta illusione avrebbe esposto il fianco a un inevitabile redde rationem? La risposta è una sola: i modelli matematici su cui facevano affidamento sono solo chiacchiere e distintivo.

Si arriva a presumere che la crescita economica sia quasi un’appendice della lungimiranza dello stato, e attraverso quest’ultimo lo stimolo alla prosperità è una conseguenza pressoché «inevitabile». Di sicuro c’è d’inevitabile la bancarotta di coloro che pretendono d’agire in disaccordo con le leggi economiche. Senza fari è impossibile orientarsi in una coltre di tenebra: se i segnali di mercato vengono distorti, gli effetti marginali di tali distorsioni innescheranno eventi finanziari imprevedibili che sconvolgeranno il panorama economico. Nel nostro caso, il problema della Grecia coincide con un’euforia nei mercati dei capitali e del debito che, percolando nell’economia più ampia, l’ha saturata di debito a buon mercato. Ciò significa che la popolazione europea, non solo quella greca, ha raggiunto il picco d’indebitamento e non si lascerà corrompere da ulteriori botte inflazionistiche da parte della BCE. Il meccanismo di trasmissione del denaro dai primi riceventi agli ultimi è rotto.

L’economia di Main Street è ancora satura di debito, e ciò di cui necessita è un deleveraging dagli eccessi del passato, e non una nuova festa euforica. La liquidazione degli investimenti improduttivi avrebbe dovuto fare il suo intero corso, intaccando anche il settore obbligazionario statale. Invece, la BCE è intervenuta affinché le forze di mercato venissero arginate nel momento in cui stavano andando a incrinare quei trade che avevano consentito agli stati di sfogarsi in un’orgia di debiti e ai giocatori d’azzardo (banche commerciali, hedge fund, fondi pensioni) di portare a casa proficui carry trade basati su denaro quasi gratis e rendimenti dei titoli sul mercato nettamente superiori. Attraverso la sua ZIRP la BCE s’è impegnata a salvaguardare quelle entità protette dal suo cartello a scapito del resto della popolazione, la quale ha visto aumentare il livello d’austerità sul suo groppone. Che tipo d’austerità? Ovviamente, in linea con le necessità degli eurocrati. Necessità di sopravvivenza e soprattutto semantiche. Rigirando il senso d’austerità, s’è fatto credere che un aumento delle tasse in concomitanza con un aumento delle spese statali si potesse definire austerità. Tanto per fare un esempio, il debito pubblico greco in rapporto al PIL è ai massimi da 10 anni.




Osserviamo quel che è accaduto di recente. La Grecia, ormai a corto di fondi, ha fatto ricorso alle sue riserve di DSP per ripagare i suoi obblighi nei confronti del FMI. Come ogni membro del FMI, la Grecia possiede uno stock di valuta emessa dal FMI (ossia i diritti speciali di prelievo). Secondo i dati più recenti, in questa riserva c’erano circa €700 milioni alla fine di marzo. Ora, sebbene i membri possano usare questi fondi a loro discrezione, è raro che decidano d’usarli per rimborsare eventuali prestiti dovuti al FMI stesso. In sostanza, è l’ennesimo caso di nazione che ripaga i propri debiti con altri debiti. Un paese in bancarotta contrae prestiti con un’istituzione che a sua volta viene finanziata da paesi in bancarotta.

Entro il prossimo luglio scadrà la tranche da €86 miliardi dovuta al FMI, e chi si farà avanti per pagare? La Grecia stessa non può, il decennale ellenico rende il 10% e se non fosse stato per queste misure temporanee sarebbe stato paragonabile a cartastraccia. La Germania continua a sottolineare la necessità di riforme più stringenti affinché i greci possano vedere ancora fondi da parte dell'Unione Europea. Il ministro delle finanze tedesco, infatti, ha detto che la Grecia non riceverà aiuto finché non aumenterà ulteriormente le imposte sul reddito e taglierà le pensioni. Rimane solo il FMI, il quale vorrebbe scaricare di nuovo sull'UE questa patata bollente. La realtà ci racconta che sin dall'inizio della crisi europea l'economia greca s'è ristretta del 4.2% ogni anno, la disoccupazione è salita al 26% della forza lavoro e lo stato non ha affatto ristretto significativamente la sua presenza nell'economia greca.

C'è stata austerità marginale per lo stato greco e sfilacciamento progressivo del tessuto produttivo. Se il governo allentasse le misure stringenti su lavoro ed imprese, oltreché alla facilità di formare nuove imprese, l'economia greca potrebbe benissimo trovare la sua via verso la prosperità. Invece la concorrenza è stata soffocata da una burocrazia asfissiante. Non solo, ma qualsiasi fazione sia andata al governo ha mantenuto una serie di regolamenti che hanno intralciato il libero flusso di merci a favore di acquirenti e fornitori esistenti. I sindacati si sono trincerati dietro leggi sul lavoro che limitano la capacità delle imprese di assumere o licenziare, il tutto a scapito di chi cerca lavoro.

Se venissero ripudiate queste misure oppressive, allora la Grecia avrebbe una possibilità concreta di spezzare il circolo vizioso in cui si trova. La risposta è il libero mercato. Ma è improbabile che vengano adottate tali riforme. Dal momento che Atene ha supervisionato un disastro economico senza cambiare lo status quo, è decisamente probabile aspettarsi che prevarrà l'attuale caos normativo. Da qui in poi è lecito aspettarsi una serie di esiti ben definiti:

  1. Risoluzione breve (in poco tempo viene trovata una soluzione con probabile eligibilità dei bond greci nel programma di quantitative easing della BCE);
  2. Necessità di più tempo per prendere una decisione (FMI, UE e governo greco cercano di negoziare un accordo provando a siglare un compromesso entro e non oltre il mese prossimo);
  3. Rischiare (l'UE, come accaduto nel 2015, logorerebbe fino a luglio le posizioni del governo greco facendo la voce grossa);
  4. Elezioni anticipate (prima dell'estate);
  5. Uscita della Grecia dall'euro (molto improbabile).

Il 20 luglio è la data fatidica entro cui l'Eurogruppo dovrà trovare una soluzione, oppure, come accaduto a luglio di due anni fa, la Grecia sarà tecnicamente in default poiché incapace di ripagare i prestiti.




Nel frattempo i depositanti greci hanno imparato qualcosa rispetto a due anni fa: non credere alle parole degli eurocrati. Ed è per questo motivo che stanno assaltando gli sportelli bancari e ritirare i loro soldi. Negli ultimi 45 giorni sono stati ritirati €2.5 miliardi, e questo nonostante i controlli dei capitali permettano ai greci di ritirare solo €1,800 al mese.

In caso di default greco, si aprirebbero voragini incolmabili nei conti di quei paesi europei che sono stati talmente sciocchi da prestare soldi a una dolina finanziaria come la Grecia. Essendo a conoscenza della situazione traballante dei PIIGS nel loro complesso, che cosa provocheranno questi buchi? Una reazione a catena. La BCE, sebbene marginalmente esposta, si troverebbe a dover affrontare una situazione esplosiva impossibile da contenere. Draghi vuol evitare a tutti i costi qualcosa del genere. Gli eurocrati vogliono evitare a tutti i costi una situazione del genere. Quindi? Quindi nessuno lascerà andare la Grecia.

Gli obbligazionisti pensano di poter riavere i loro soldi indietro. Hanno ancora speranza. Sono ingenui. In questo caso, la formula della loro ingenuità recita: «I negoziati vanno avanti». La Grecia, infatti, continua a voler rinegoziare i termini degli accordi passati. Questo significa mantenere gli stessi impegni dando un nome diverso ai “nuovi” accordi. Non esistono piani B, Draghi l’ha messo bene in chiaro. È stato impegnato troppo capitale intellettuale e finanziario affinché l’Europa continui a operare. Sebbene gli eurocrati non se n’accorgano, c’è un prezzo da pagare per tale decisione. C’è sempre un prezzo da pagare, che sia visibile o no. Nel caso della Grecia e dell’Europa, tale prezzo è stato scaricato sulla popolazione in generale: costi maggiori di beni e servizi, salari minori, erosione progressiva del capitale.

Gli stati europei hanno fatto promesse troppo onerose da mantenere. Inebriati dall’ingegneria finanziaria e dalla repressione finanziaria alimentata dalla banca centrale, hanno illuso la popolazione con raggiri clientelari per fini elettivi. Finché è durato il boom, è andato tutto bene. Poi i nodi sono arrivati al pettine, e il bust ha messo gli eurocrati di fronte alla verità: non esistono pasti gratis. Quelle stesse promesse fonte di potere decisionale si stanno rivoltando contro coloro che le hanno strette. Infine, i pianificatori centrali saranno costretti a rompere tali promesse. Sta già accadendo: raid nei fondi pensione.

Non è una questione di se la Grecia andrà in bancarotta, ma di quando.



UNA MINA VAGANTE: LA FRANCIA

Il prossimo 23 aprile si terranno le elezioni nazionali in Francia e il fronte anti-euro sta guadagnando notevole trazione. L'eventuale vittoria della Le Pen significherebbe sedutastante la fine definitiva del progetto europeo, considerando che l'Europa quest'anno affronterà venti contrari provenienti da altre elezioni politiche: Germania e Olanda. In entrambi i paesi sta ribollendo il malcontento popolare, soprattutto perché i contribuenti del nord Europa stanno comprendendo d'esere la garanzia collaterale dietro le spese sconsiderate dei governi del sud. La volontà degli inglesi, espressa lo scorso giugno attraverso voto favorevole alla Brexit, rappresenta la pietra tombale per l'esperimento centrale del NWO in Europa.

Segna un precedente, non importa quanto ci vorrà per rendere effettiva l'uscita. E questo l'hanno capito anche i front-runner nel mercato obbligazionario sovrano che negli ultimi 6 anni avevano sostituito i bond vigilantes. Stanno capendo una cosa: le banche centrali non sono onniscienti come si credeva. Potrebbero perdere il controllo, soprattutto quando lo stato inizia a prendere possesso di pezzi crescenti della società e della produzione andando, di conseguenza, a distruggere ricchezza. Visto che uscire dall'Europa è possibile e che hanno puntato tutte le loro fiches sulla stampella rappresentata dalal BCE, adesso stanno considerando ciò che prima non sfiorava nemmeno i loro pensieri.

Quindi i front-runner stanno lasciando la scena al ritorno dei bond vigilantes, figure inizialmente mandate in letargo dai vari QE delle banche centrali.





E questo punto è qualcosa che viene ormai compreso anche dalla stampa mainstream, la quale puntualizza come una possibile uscita della Francia dall'UE stia inducendo gli investitori a cercare porti sicuri altrove:

Un sistema finanziario che già soffre di margini netti di reddito in calo e prestiti non performanti nel range dei €160 miliardi, collasserebbe in un istante se queste sofferenze dovessero aumentare e le perdite per le obbligazioni detenute dalle banche si mangerebbero il loro capitale.

Ciò condurrebbe inevitabilmente a controlli dei capitali e corse agli sportelli bancari in stile Grecia, mentre la Francia perderebbe la liquidità di supporto da parte della BCE.

In ultima analisi, non è importante se la Le Pen vinca o meno. È una questione di percezione. È una questione di fiducia, soprattutto. E quest'ultima al giorno d'oggi è stata iperinflazionata dalle politiche moentarie non convenzionali delle banche centrali. Il suo valore ormai è pari a zero. Lo stallo temporaneo raggiunto dalle banche centrali ed il semi-boom partorito dalle loro stampanti monetarie ha un prezzo, e lo pagheranno tutti coloro che hanno creduto al presunto "effetto ricchezza a cascata" o alla magia di un 2% d'inflazione. La realtà economica, sebbene agghindata dalle medie statistiche, racconta un'altra storia.

Il tarlo dell'incertezza sta già rosicchiando le precedenti verità che i front-runner avevano presumibilmente in tasca, iniziando a rimettere su la casacca dei bond vigilantes. Questo significa perdite in conto capitale diffuse. Poi i mecati scopriranno che le vulnerabilità cicliche sono diventate strutturali e che senza una correzione non ci sarà modo di tornare a prosperare. Alla fine si riduce tutto ad una corretta allocazione delle risorse economiche, le quali sono scarse e se vengono sprecate le attività che perseguono questa via distruttiva devono andare in bancarotta.



CONCLUSIONE

Che sia il sistema bancario commerciale italiano, la Grecia o le incertezze provenienti dalle elezioni francesi, l'euro e l'Europa sono due zombie che camminano. Non hanno alcuna speranza di sopravvivere alla correzione dei mercati quando la ricchezza reale viene sprecata e non ne viene creata di nuova. È possibile prolungare l'agonia, ma al prezzo di un maggiore dolore economico in futuro. Questo significa che ogni nuovo giro di interventismo politico e monetario intordurrà nel sistema economico un ostacolo alla pulizia dei mercati che renderà strutturali le vulnerabilità precedenti (es. attività che sprecano risorse scarse). In questo modo basteranno eventi sempre più di piccolo livello per mandare il tutto fuori controllo.

Quindi se prima i robo-trader rispondevano spingendo il pulsante "acquistare" ogni volta che la BCE parlava, adesso ci stanno pensando più accuratamente, tenendo in sospeso il pollice sul pulsante "vendere". I fondamentali di mercato non riflettono più una gestione del rischio e un calcolo profitti/perdite in accordo con i desideri degli attori economici. Dalle banche centrali è nato questo caos e con le banche centrali finirà. È sempre stato questo il destino della pianificazione monetaria centrale.


giovedì 23 marzo 2017

Un piano per far tornare grande me stesso

Capita spesso che alcuni dei commentatori ai miei articoli, carichino a testa bassa ogni volta che leggono qualcosa contro lo stato e a favore delle imprese private. Si riduce il tutto ad una guerra tra fazioni, dove il caos risultante partorisce solamente sterili soluzioni e arroccamenti sulle proprie idee. Il confronto per de il suo significato e la violenza della coercizione statale finisce per vincere, perché qualunque sia la guerra essa rappresenta sempre la salute dello stato. Ma fermatevi a pensare un attimo e guardatevi intorno: chi ha costruito, prodotto, o fabbricato tutte le cose che vi circondano? Non sono spuntate fuori dal terreno "spontaneamente". Sono parte di quel "miracolo" del mercato con cui Leonard Read descriveva la nascita della matita. E dato che si tratta di un "miracolo", dovremmo essere grati per tutte quelle bellezze e quel benessere che lo sforzo di altre persone ci garantiscono. Dovremmo essere grati per quelle persone che si sono accollate un rischio e, inventando ed investendo, hanno creato degli oggetti che hanno significativamente migliorato la nostra vita. E che tipo d'istituzione incentiva questo meccanismo? Non lo stato, che non ha risorse proprie e non crea niente di davvero nuovo. Invece è la proprietà privata ed i processi di segnalazione (es. prezzi e tassi d'interesse) di un mercato libero da ostacoli che permettono l'avvento di suddetto miracolo. Siate, quindi, grati al fatto che avete tante benedizioni che vi circondano e a cui potete accedere ad un costo relativamente basso. Altrimenti potete sempre farvi da soli un sandwich. Oppure un maglione.
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di Jeffrey Tucker


Ero uscito a comprare un maglione questo fine settimana e mi sono imbattuto in Donald Trump, il quale m'ha detto che avrei dovuto smettere di esternalizzare il mio lavoro.

"Dovresti lavorare a maglia e creare il tuo maglione."

Gli ho spiegato che non sono molto bravo a lavorare a maglia. Ho altre cose da fare. Questa idea mi sembrava un'enorme spreco di tempo. Non riuscivo proprio a vedermi seduto a casa e lavorare la maglia. È vero che questo mi avrebbe dato un lavoro, ma non era un lavoro che volevo, soprattutto perché c'è qualcun altro che vuole farlo al posto mio.

Ma non era d'accordo, spiegando che il problema di questo paese è che si continua a dare agli altri lavori che potremmo fare noi. Questa è una brutta cosa ed è per questo motivo che stiamo tutti soffrendo così tanto.

Ho insistito avanzando altre obiezioni, così mi ha proposto un accordo. Se avessi continuato ad esternalizzare il mio lavoro, gli avrei pagato una tassa del 35%, il che significa che qualora avessi speso $50 per un maglione, gli avrei dovuto mandare $17.50. Una rottura, chiaramente, ma eravamo entrambi d'accordo.

Invece se avessi lavorato a maglia, m'avrebbe ridotto l'imposta al 15%, oltre a dispensare il mio lavoro da tutte le normative esistenti. Sarei stato libero di fare qualsiasi maglione volessi. Il problema è che avrei dovuto lavorare a maglia, perché fare una cosa del genere m'avrebbe reso grande.

"Pensaci", ha detto, "Jeffrey Tucker è in affari!"

In un certo senso suonava abbastanza bene. Un po' goffo, ma OK. È imbarazzante, ma mi sono messo a lavorare a maglia durante la notte e nei fine settimana, producendo almeno un maglione al mese. Continuerò a farlo per guadagnare il beneficio promesso.

Inoltre smetterò d'acquistare maglioni nei negozi, e quindi porrò fine alla mia dipendenza d'esternalizzare la mia produzione. È vero che ho rinunciato ad una quantità enorme di tempo libero e devo comprare più risorse che prima non compravo (es. fili e aghi), ma ho evitato una sanzione punitiva, pago meno tasse e devo obbedire a meno regolamenti.

L'accordo non mi sembra molto efficiente, ma, come ha detto Trump, prestare attenzione all'efficienza piuttosto che alla grandezza è esattamente ciò che va storto in questo paese.

A volte mi chiedo perché la sua versione di grandezza dovrebbe prevalere sulla mia, ma, ehi, è il Presidente.



Un mese dopo

Finalmente ho finito il mio primo maglione e sono un po' indietro con le altre cose. Ho smesso di lavorare per Uber. Ho smesso di vendere roba su eBay. Stavo facendo volontariato per un ente di beneficenza e anche questo ho dovuto mollare. Ma almeno ora ho un maglione. Forse posso farci un po' di soldi, dopo tutto.

Ho provato a venderlo, ma non sono riuscito a trovare nessun acquirente. A quanto pare tutti gli altri che avevano bisogno di un maglione avevano stretto un accordo simile. Anche loro erano stati convinti a diventare grandi cucendo i propri maglioni. Siamo tutti diventati autosufficienti dal punto di vista dei maglioni.

Spero che non si sentano poveri quanto io mi sento ora.

A poco a poco ho capito una cosa: se si collabora con gli altri, si condivide il lavoro, si scopre che cosa si sa far meglio, si commercia con gli altri, e si prendono le proprie decisioni su ciò che si vuole internalizzare o esternalizzare, si può finalmente trovare la strategia migliore per utilizzare bene il proprio tempo e le risorse.

Come Adam Smith dimostrò molto tempo fa, una chiave per la prosperità è l'espansione della divisione del lavoro, cioè, trovare il modo di trarre vantaggio dai talenti degli altri, ovunque si trovino. Posso farlo solo se sono veramente libero di comprare e vendere cose in base alle mie valutazioni. Ed in base a questo sistema, ciò che più va a mio beneficio andrà anche a maggior beneficio degli altri.

Questo sistema, che possiamo chiamare libero scambio, ha il vantaggio di creare una sorta di senso di comunità, pace e prosperità. C'è una sorta di grandezza riguardo questo concetto, dopo tutto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/