martedì 29 novembre 2016

In Italia possono fallire fino a otto banche se Renzi perde il referendum

Come mostrerò in un articolo venerdì prossimo, i problemi dell'Italia non si fermano al referendum. Qualunque sia l'esito, il sistema bancario commerciale italiano è spacciato, proprio perché è diventato una dolina finanziaria e ne faranno le spese i risparmiatori che, indaffarati a pensare al "Sì" o al "No", continuano a far rimanere parcheggiati i loro risparmi presso istituti di credito al collasso. Eppure gli avvertimenti sono nell'aria già da un po'; le lunghe file di depositanti in Grecia avrebbero dovuto essere un monito convincente. Ciononostante, i depositanti italiani non fanno nulla. Salvo poi, in caso di dissesto effettivo, pascolare per le strade e muggire contro la sorte avversa. Pochi riescono a vedere ciò che sta arrivando e ancora meno riescono a prepararsi adeguatamente. Questo perché non hanno una teoria economica coerente e chiara con cui sondare l'ambiente economico. E allora si affidano ai presunti esperti del settore che li hanno canalizzati nelle obbligazioni bancarie come strumento d'investimento dei loro risparmi, ignari dell'incendio che si sta sviluppando intorno a loro. I problemi economici non sono più ciclici, ma ormai strutturali. Il problema è la sopravvivenza stessa di quelle entità salvaguardate artificialmente dal settore bancario centrale: grandi banche commerciali e stati. Non basta una presunta riforma o salvataggi sempre più fantasiosi, il calcio al barattolo sta esaurendo la sua magia. Addirittura il mese scorso Renzi parlava di cartolarizzare il debito pubblico per ridurlo! Dopo l'abbassamento farlocco, ad esempio, dei deficit pubblici definendo alcune uscite "investimenti", si vuole ricorrere ancora di più all'ingegneria finanziaria per profumare un cadavere marcescente. Cosa sarebbe l'APE, altrimenti, se non la trasformazione dei pensionati da creditori a debitori? Siamo nel bel mezzo del caos pianificato.
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da Zerohedge


Proprio mentre stavamo concludendo un nostro articolo sul ritorno della crisi della solvibilità in Europa, facilitato dalle richieste di Donald Trump riguardo i finanziamenti della NATO e dalla fine del calcio al barattolo da parte della BCE, il FT ha riferito che ben otto delle banche italiane in difficoltà "rischiano di andare in bancarotta" se il primo ministro Renzi perderà il referendum costituzionale, a causa della conseguente turbolenza nei mercati che scoraggerà gli investitori a sottoscrivere le varie ricapitalizzazioni.

Questo particolare risultato piuttosto negativo viene esposto nei riquadri rossi in basso a destra presenti nel seguente grafico di flusso di Danske Research. (Cliccate per ingrandire)




Renzi, che in precedenza ha affermato che si dimetterà se perderà il referendum, anche se da allora ha cambiato versione, si è fatto alfiere di una soluzione di mercato per risolvere i problemi del sistema bancario italiano (ammontanti a €4,000 miliardi) ed evitare, quindi, una "risoluzione" delle banche italiane sotto una supervisione dell'UE. Una tale risoluzione ristruttura e, se necessario, scorpora una banca imponendo perdite sia agli investitori azionari sia a quelli obbligazionari, una situazione particolarmente controversa in Italia dove milioni di singoli investitori hanno acquistato obbligazioni bancarie.

Il grafico seguente dal sito della BCE dimostra il motivo per cui un bail-in delle banche italiane sarebbe l'equivalente di un suicidio politico: la stragrande maggioranza del debito italiano è detenuto a livello nazionale, ovvero, nelle mani di risparmiatori e pensionati. Se dovesse essere intaccato, porterebbe ad una crisi sociale immediata.




Tuttavia se Renzi vedesse materializzarsi un "No" come esito del referendum, cosa che la maggior parte dei sondaggi ritiene il risultato più probabile, avrà meno motivazione per cercare un salvataggio privato facendo del bail-in la scelta molto più probabile, aumentando di conseguenza le probabilità di una reazione sociale avversa. Come aggiunge il FT, in caso di "No" e di dimissioni di Renzi, i banchieri temono un'incertezza protratta durante la creazione di un nuovo governo tecnocratico. La mancanza di chiarezza riguardo il nuovo ministro delle finanze potrebbe prolungare i nervosismi del mercato nei confronti delle banche italiane. Gli istituti di credito italiani hanno visto più che dimezzarsi il proprio valore quest'anno, sulla scia di preoccupazioni circa i loro prestiti non performanti.

Per coloro che hanno seguito la saga infinita delle banche italiane insolventi, i dettagli sono familiari: ci sono otto banche note per essere in varie fasi di difficoltà: la terza più grande per asset, Monte dei Paschi di Siena, le banche di medie dimensioni Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Carige, e quattro piccole banche salvate lo scorso anno: Banca Etruria, CariChieti, Banca delle Marche e CariFerrara.

Come abbiamo detto sin dal 2011, il problema più grande delle banche italiane (e di quelle in Europa) è la quantità eccessiva di prestiti non performanti: le banche italiane hanno €360 miliardi di crediti deteriorati rispetto ai €225 miliardi di patrimonio netto sui loro libri contabili, dopo che i regolatori e i vari governi non sono riusciti ad affrontare le problematiche di un sistema finanziario in cui la redditività è stata indebolita da un'economia stagnante e praticamente uccisa da prestiti fraudolenti in diverse istituzioni.

Il problema è che un salvataggio di mercato delle banche insolventi si è dimostrato quasi impossibile a causa dei timori riguardo la portata del cattivo debito:

Ma le soluzioni di mercato, compreso il piano di JPMorgan per ricapitalizzare Monte Paschi e gli sforzi di un veicolo privato sponsorizzato dal governo (Atlante) per risolvere i problemi presso le banche più piccole, risulteranno traballanti di fronte alle turbolenze del mercato se vincerà il "No".

Lorenzo Codogno, ex-capo economista al Tesoro italiano e fondatore di Advisors Macro LC, ha sostenuto che la "grande preoccupazione" in seguito al referendum è il suo impatto sul "settore bancario e le implicazioni per la stabilità finanziaria".

"Gli aumenti di capitale delle banche italiane da annunciare subito dopo il referendum, possono diventare ancora più complicati di quanto attualmente percepito nel caso di vittoria del 'No'."

Qual è lo scenario peggiore (per ora)? Il terzo fallimento consecutivo di Monte Paschi (che probabilmente avrebbe conseguenze significative su tutte le altre banche italiane). Banchieri e funzionari statali hanno detto che lo scenario peggiore sarebbe il fallimento della ricapitalizzazione di Monte Paschi e della ristrutturazione del cattivo debito richieste dai regolatori, cosa che si tradurrebbe in un più ampia perdita di fiducia in Italia e metterebbe in pericolo una soluzione di mercato per le sue banche in difficoltà.

In questo scenario, i funzionari statali ed i banchieri credono che tutte le otto banche potrebbero essere messe in risoluzione. Temono che il contagio dalle piccole banche potrebbe minacciare l'aumento di capitale da €13 miliardi di UniCredit, la più grande banca d'Italia per asset, previsto per l'inizio del 2017.

Se il piano di salvataggio di Monte Paschi dovesse fallire, "tutte le teorie sono possibili" tra cui una "risoluzione delle otto banche", soprattutto se il "No" porterebbe Renzi a dimettersi e iniziasse un periodo di prolungata incertezza politica, prosegue il FT. Infatti, il prospetto per la ricapitalizzazione di Monte Paschi, che include uno swap debt to equity, avverte che il voto avrà pesanti ripercussioni sulle sue possibilità di successo. La Banca d'Italia ha messo in guardia per una certa volatilità dei mercati in vista del voto. I critici di Renzi hanno accusato la banca centrale di allarmismo in vista del voto.

Nonostante tutto, una rinnovata attenzione su BMPS probabilmente potrebbe rivelarsi il catalizzatore della prossima crisi bancaria italiana, e poco dopo, europea. A quel punto il domino italiano sarebbe, ancora una volta, in caduta libera.

A dire il vero il mercato ha già fiutato gran parte dei rischi, infatti venerdì scorso lo spread sui titoli di stato italiani rispetto ai bund tedeschi era in aumento sopra i 190 punti, un livello che non si vedeva dall'ottobre 2014, in quanto i mercati hanno prezzato le aspettative di turbolenza.




Una possibilità è il salvataggio di tutti gli investitori nazionali che vengono sottoposti al bail-in come ultima soluzione per evitare un panico bancario in piena regola:

I banchieri ed i funzionari statali possono prevedere un governo tecnico che sia d'accordo con Bruxelles e Francoforte su un "bail-in" delle banche italiane più vulnerabili, come emerso dagli stress test europei di due anni fa e in quelli di quest'estate. Con un bail-in, che impone perdite agli obbligazionisti, Bruxelles potrebbe consentire una certa compensazione per gli investitori retail vulnerabili.

La Germania, tuttavia, non sarebbe affatto entusiasta di un tale risultato. Purtroppo non importa quale sia il riferimento politico, le banche italiane non faranno altro che peggiorare dopo la votazione di domenica prossima:

Nicolas Véron, senior fellow presso il think tank Bruegel, ha sostenuto che "la BCE è stata molto clemente nell'affrontare la situazione bancaria a livello di sistema [in Italia], cosa risultata evidente sin dalla valutazione globale di due anni fa." "È un momento molto difficile, ma non è sostenibile. Il problema della fragilità bancaria non scomparirà. Non è qualcosa che si risolve con il tempo," ha detto Véron.

Ciononostante ogni speranza non è persa. L'Economist, pubblicazione economica e finanziaria per metà di proprietà dei Rothschild, ha avuto un passato terribile su come consigliare i suoi lettori prima di eventi politici critici: dalla sponsorizzazione del "Bremain" lo scorso giugno fino al sostegno per Hillary, l'Economist ha praticamente cannato ogni grande evento politico. Il fatto che durante il fine settimana abbia pubblicato un articolo intitolato "Perché l'Italia dovrebbe votare NO al referendum" può essere la speranza migliore che ha Renzi per rimanere al potere.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


6 commenti:

  1. Salve Francesco, cosa ne pensi invece delle Assicurazioni e delle polizze, credo che dal punto di vista del modello di business, stiano meglio rispetto alle banche, il problema delle polizze previdenziali che offrono invece, sono sempre i titoli di stato, correggimi se sbaglio. Ciao Grazie.

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    1. Salve Anonimo.

      È vero, le assicurazioni sono un altro investitore istituzionale che includono nei loro attivi titoli di stato per adempiere i loro obblighi nei confronti dei clienti. Il problema è che l'attuale ambiente economico, in cui la ZIRP ha messo un tetto ai tassi d'interesse e scatenato un'offerta d'acquisto sconsiderata tra i vari player nel casinò, la redditività di investitori istituzionali e istituti di credito è stata annientata costringendoli verso asset sempre più rischiosi. Con le banche centrali a corto di polvere da sparo asciutta con cui cotnrastare la prossima recessione, i titoli di stato sono esposti alla volatilità e al nervosismo dei mercati. I flash crash realtivi creeranno buchi di bilancio in quelle realtà che ne posseggono a iosa e il cui acquisto è stato finanziato a leva. Inutile dire cosa accadrà non appena uno di questi istituti fallirà, innescando potenzialmente un domino in quella che è la bolla più grande di questo secolo: quella dei titoli di stato.

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  2. No, dico...
    Il FT lo fa apposta o no?

    1) Cade MPS, cade l'ira di Dio.
    2) Cade una banca media, vedi punto 1.
    3) Cade una piccola, vedi punto 2.

    Non si tratta di eventi sicuri e automatici, ma la correlazione è alta.
    Il FT non ne parla?
    Il silenzio pesa.

    Riccardo Giuliani

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  3. il FT scassa il cazzo, l economist pure. RC è troppo pieno di merda ed è diventato illeggibile, salvo qualche articolo.

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