mercoledì 30 novembre 2016

Washington continua a tessere un arazzo di menzogne





di David Stockman


Non è possibile trovare persone più pigre di quelle che lavorano nella stampa finanziaria, ma la loro festosità esuberante circa il presunto aumento del 5.2% nel reddito reale medio delle famiglie nel 2015, era sicuramente era una menzogna. E non stiamo parlando del giornaletto della scuola qui: il Washington Post è solito a titoli con superlativi seguiti da una maggiore esuberanza nel testo:

I redditi delle famiglie negli Stati Uniti sono saliti nel 2015, registrando il più grande aumento da decenni [...]. I dati rappresentano la prova più chiara fino ad oggi che la ripresa economica più lenta e lunga, ha finalmente cominciato a fornire prosperità ai lavoratori.

Il fatto evidente è che nel 2015 la famiglia mediana non può aver visto un aumento del 5.2% nel reddito al netto dell'inflazione. Non c'è un singolo dato tra le montagne di dati economici "in entrata" che sia coerente con suddetta cifra. Eppure nulla nell'articolo del Post, o di qualsiasi altro giornale mainstream, mette in discussione i numeri del Census Bureau.

Infatti nel contesto di quella che, a detta di tutti, era un'economia tremolante nel 2015, il Census Bureau ha rilasciato il più grande aumento anno/anno nella storia. Ma non un singolo giornalista ha sentito puzza di bruciato.




Quindi cerchiamo di mettere in prospettiva queste affermazioni. Il presunto aumento dei salari nel 2015 rappresenta ancora un restringimento reale del 17% del reddito mediano sin dal 2000, se si utilizza una misura onesta dell'inflazione come il nostro "Flyover CPI"; e rappresenta un calo del 2.2% anche quando i redditi sono deflazionati dalla misura del BLS chiamata CPI-U-RS che maschera l'inflazione.

In entrambi i casi, non c'è assolutamente nulla per cui festeggiare su una tendenza che non ha fatto altro che rallentare la sua continua discesa.




Ciononostante i numeri del 2015 non hanno senso. Partiamo dai dati del Census Bureau sul "reddito monetario", che è la base per l'affermazione secondo cui il reddito medio delle famiglie è aumentato lo scorso anno. Nascosto nella sua presentazione in dollari "reali", si dice che l'anno scorso il reddito monetario complessivo per tutti i 125.8 milioni di famiglie americane è aumentato del 5.7% in termini nominali.

Ma come era possibile quando il PIL nominale è aumentato solo del 3.0% nel 2015? Allo stesso modo, il reddito disponibile individuale — in termini nominali — è cresciuto solo del 3.7%.

Il reddito mediano può crescere quasi due volte più velocemente rispetto al reddito complessivo solo se gli aumenti a metà e in basso la scala dei redditi crescono molto più velocemente rispetto al secondo. E ciò comprende un sacco di soldi guadagnati da banchieri, atleti, avvocati, dirigenti d'azienda e il resto delle élite tra i colletti bianchi.

Al contrario, la relazione del Census Bureau mostra che nel 2015 gli aumenti nominali mediani dei lavoratori a tempo pieno di sesso maschile sono cresciuti dell'1.6%, e per i lavoratori a tempo pieno di sesso femminile del 2.8%. Non raggiungiamo affatto il 5.7% di crescita media complessiva dei redditi per tutti i lavoratori — a meno che le famiglie non siano state improvvisamente inondate con dividendi inattesi provenienti da azioni che non possiedono, conti bancari che non fruttano alcun interesse, o redditi locativi di proprietà registrate a nome di qualcun altro.

Anche quando si tengono conto degli aumenti nel numero di lavoratori impiegati nel 2015 rispetto all'anno precedente, circa il 2%, i conti ancora non tornano. Nel 2015 la massa salariale di tutti i lavoratori è cresciuta solo del 4.2% in termini nominali. Questa è una cifra del Census Bureau (tabella A-4) ed è anche al netto dell'inflazione!

Poi quando guardiamo al deflatore utilizzato nella relazione, ecco ritornare le incongruenze: secondo il CPI-U-RS del BLS, il costo della vita per il nucleo familiare medio è aumentato solo dello 0.1% l'anno scorso.

Proprio così. La relazione afferma che l'indice dell'inflazione è salito solo da 347.8 a 348.2 durante tutto l'anno. Non importa se le spese sanitarie siano aumentate del 3.6%, se gli affitti delle case siano aumentati del 3.5% e se le spese alimentari siano salite dell'1.4%. Il calo dei prezzi del petrolio ha bilanciato tutto questo — anche se il settore dell'energia pesa meno del 9% nell'IPC.

Tutto questo suggerisce che ci deve essere qualcosa nelle note del Census Bureau che lascia intendere uno spostamento dei paletti di riferimento, e infatti le cose stanno proprio così.

A partire dal 2013 il Census ha cambiato le domande e i metodi utilizzati per il calcolo dei "redditi monetari" delle famiglie. Durante il 2014, per esempio, ha cominciato a "raccogliere il valore degli asset che generano reddito se l'intervistato non è sicuro dei redditi generati."

Ha anche riempito i questionari in cui gli intervistati hanno risposto con "non so", o dove si sono "rifiutati" di rispondere!

Come risultato di questo "miglioramento" negli interessi percepiti, il numero dei relativi destinatari è aumentato del 41.6% e l'ammontare complessivo degli interessi incassati è salito del 111.7%, secondo John Williams di Shadow Statistics.

Proprio così. Durante tutto il corso del 2015 la FED ha mantenuto i risparmiatori ancorati allo zero bound, ma il margine d'interesse è salito a tripla cifra.

Ancor più assurdo, secondo i nuovi metodi di conteggio di Williams, "il numero di percettori di denaro da IRA, Keogh e 401k è aumentato del 419.5%, facendo salire il reddito complessivo del 230.1%."

Inutile dire che razziare il vostro fondo pensione non è "reddito"; si tratta di una liquidazione di asset guadagnati e conteggiati in periodi precedenti.

Tutto questo giocherellare coi numeri, naturalmente, è stato descritto in termini puramente clinici:

"I dati per il 2013 e oltre, riflettono il ridisegnamento delle domande relative al reddito."

Quando si guarda l'andamento dopo il 2014, tuttavia, tutto comincia ad avere un senso. Cioè, il Census Bureau ha truccato la relazione appena in tempo per le elezioni del 2016. Altrimenti come si spiega il grafico qui sotto?

Come ha fatto il trend dei redditi monetari (2.4%) tra il 2008 e il 2014, ad alzarsi improvvisamente sulle gambe e saltare al 5.7%?




In breve, non c'è nulla che possa spiegare questo aumento del 5.2% tranne la manipolazione dei dati. Infatti se nel 2015 il lavoratore medio a tempo pieno ha visto un aumento solo del 2.01% nei propri salari, non vi è alcun modo in cui la famiglia mediana possa aver visto un aumento del 5.2%.

L'unica possibile spiegazione per cui la dimensione media delle famiglie sia improvvisamente aumentata nel 2015, è perché più figli sono tornati a vivere coi genitori. Ma non è questo il motivo, in realtà. La dimensione media delle famiglie l'anno scorso era di 2.53 persone, o praticamente identica a quella dell'anno precedente (2.54) e alla media di 2.535 degli ultimi quattro anni.

Infatti, contrariamente a tutte le auto-congratulazioni provenienti dalla Casa Bianca, ciò che è effettivamente sepolto in questa relazione sui redditi delle famiglie, è in realtà abbastanza spaventoso. Per esempio, abbiamo calcolato il reddito mediano reale delle famiglie nere con la stessa metodologia usata per tutte le famiglie.

Scopriamo che il reddito medio reale è sceso del 23% negli ultimi 15 anni, quando i dati del Census Bureau sono sgonfiati col "Flyover CPI" e quasi il 10% in base all'indice del BLS.




Ci si potrebbe chiedere, quindi, quale sia il motivo per festeggiare su un mero bip di un anno, che è già in retromarcia. Forse l'ingenuo Washington Post non ha ancora capito che la FED non ha affatto bandito il ciclo economico.

Dopo tutto, le tendenze evidenziate qui sopra non chiariscono che i picchi ciclici si stanno abbassando e i minimi stanno scendendo ancora di più?

Infatti non dovete far altro che guardare di sotto quando arriverà la prossima recessione e colpirà i redditi delle famiglie con tutta la sua forza. Vale a dire, non stanno nascendo nuove imprese ai ritmi storici, ma il BLS continua ad imbottire i numeri mensili sui posti di lavoro con lavori immaginari.




Noi lo chiamiamo teoria "fantasiosa" del mercato del lavoro. Salta fuori che il 52% di tutti i nuovi posti di lavoro — 5.25 milioni — riportati dal BLS sin dalla fine della recessione, sono stati immaginari... non contavano.

Ciò equivale all'ennesimo vaneggiamento dei mulini statistici statali e all'ennesiama prova che la cosiddetta ripresa economica si basa su un tessuto di menzogne.





[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


martedì 29 novembre 2016

In Italia possono fallire fino a otto banche se Renzi perde il referendum

Come mostrerò in un articolo venerdì prossimo, i problemi dell'Italia non si fermano al referendum. Qualunque sia l'esito, il sistema bancario commerciale italiano è spacciato, proprio perché è diventato una dolina finanziaria e ne faranno le spese i risparmiatori che, indaffarati a pensare al "Sì" o al "No", continuano a far rimanere parcheggiati i loro risparmi presso istituti di credito al collasso. Eppure gli avvertimenti sono nell'aria già da un po'; le lunghe file di depositanti in Grecia avrebbero dovuto essere un monito convincente. Ciononostante, i depositanti italiani non fanno nulla. Salvo poi, in caso di dissesto effettivo, pascolare per le strade e muggire contro la sorte avversa. Pochi riescono a vedere ciò che sta arrivando e ancora meno riescono a prepararsi adeguatamente. Questo perché non hanno una teoria economica coerente e chiara con cui sondare l'ambiente economico. E allora si affidano ai presunti esperti del settore che li hanno canalizzati nelle obbligazioni bancarie come strumento d'investimento dei loro risparmi, ignari dell'incendio che si sta sviluppando intorno a loro. I problemi economici non sono più ciclici, ma ormai strutturali. Il problema è la sopravvivenza stessa di quelle entità salvaguardate artificialmente dal settore bancario centrale: grandi banche commerciali e stati. Non basta una presunta riforma o salvataggi sempre più fantasiosi, il calcio al barattolo sta esaurendo la sua magia. Addirittura il mese scorso Renzi parlava di cartolarizzare il debito pubblico per ridurlo! Dopo l'abbassamento farlocco, ad esempio, dei deficit pubblici definendo alcune uscite "investimenti", si vuole ricorrere ancora di più all'ingegneria finanziaria per profumare un cadavere marcescente. Cosa sarebbe l'APE, altrimenti, se non la trasformazione dei pensionati da creditori a debitori? Siamo nel bel mezzo del caos pianificato.
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da Zerohedge


Proprio mentre stavamo concludendo un nostro articolo sul ritorno della crisi della solvibilità in Europa, facilitato dalle richieste di Donald Trump riguardo i finanziamenti della NATO e dalla fine del calcio al barattolo da parte della BCE, il FT ha riferito che ben otto delle banche italiane in difficoltà "rischiano di andare in bancarotta" se il primo ministro Renzi perderà il referendum costituzionale, a causa della conseguente turbolenza nei mercati che scoraggerà gli investitori a sottoscrivere le varie ricapitalizzazioni.

Questo particolare risultato piuttosto negativo viene esposto nei riquadri rossi in basso a destra presenti nel seguente grafico di flusso di Danske Research. (Cliccate per ingrandire)




Renzi, che in precedenza ha affermato che si dimetterà se perderà il referendum, anche se da allora ha cambiato versione, si è fatto alfiere di una soluzione di mercato per risolvere i problemi del sistema bancario italiano (ammontanti a €4,000 miliardi) ed evitare, quindi, una "risoluzione" delle banche italiane sotto una supervisione dell'UE. Una tale risoluzione ristruttura e, se necessario, scorpora una banca imponendo perdite sia agli investitori azionari sia a quelli obbligazionari, una situazione particolarmente controversa in Italia dove milioni di singoli investitori hanno acquistato obbligazioni bancarie.

Il grafico seguente dal sito della BCE dimostra il motivo per cui un bail-in delle banche italiane sarebbe l'equivalente di un suicidio politico: la stragrande maggioranza del debito italiano è detenuto a livello nazionale, ovvero, nelle mani di risparmiatori e pensionati. Se dovesse essere intaccato, porterebbe ad una crisi sociale immediata.




Tuttavia se Renzi vedesse materializzarsi un "No" come esito del referendum, cosa che la maggior parte dei sondaggi ritiene il risultato più probabile, avrà meno motivazione per cercare un salvataggio privato facendo del bail-in la scelta molto più probabile, aumentando di conseguenza le probabilità di una reazione sociale avversa. Come aggiunge il FT, in caso di "No" e di dimissioni di Renzi, i banchieri temono un'incertezza protratta durante la creazione di un nuovo governo tecnocratico. La mancanza di chiarezza riguardo il nuovo ministro delle finanze potrebbe prolungare i nervosismi del mercato nei confronti delle banche italiane. Gli istituti di credito italiani hanno visto più che dimezzarsi il proprio valore quest'anno, sulla scia di preoccupazioni circa i loro prestiti non performanti.

Per coloro che hanno seguito la saga infinita delle banche italiane insolventi, i dettagli sono familiari: ci sono otto banche note per essere in varie fasi di difficoltà: la terza più grande per asset, Monte dei Paschi di Siena, le banche di medie dimensioni Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Carige, e quattro piccole banche salvate lo scorso anno: Banca Etruria, CariChieti, Banca delle Marche e CariFerrara.

Come abbiamo detto sin dal 2011, il problema più grande delle banche italiane (e di quelle in Europa) è la quantità eccessiva di prestiti non performanti: le banche italiane hanno €360 miliardi di crediti deteriorati rispetto ai €225 miliardi di patrimonio netto sui loro libri contabili, dopo che i regolatori e i vari governi non sono riusciti ad affrontare le problematiche di un sistema finanziario in cui la redditività è stata indebolita da un'economia stagnante e praticamente uccisa da prestiti fraudolenti in diverse istituzioni.

Il problema è che un salvataggio di mercato delle banche insolventi si è dimostrato quasi impossibile a causa dei timori riguardo la portata del cattivo debito:

Ma le soluzioni di mercato, compreso il piano di JPMorgan per ricapitalizzare Monte Paschi e gli sforzi di un veicolo privato sponsorizzato dal governo (Atlante) per risolvere i problemi presso le banche più piccole, risulteranno traballanti di fronte alle turbolenze del mercato se vincerà il "No".

Lorenzo Codogno, ex-capo economista al Tesoro italiano e fondatore di Advisors Macro LC, ha sostenuto che la "grande preoccupazione" in seguito al referendum è il suo impatto sul "settore bancario e le implicazioni per la stabilità finanziaria".

"Gli aumenti di capitale delle banche italiane da annunciare subito dopo il referendum, possono diventare ancora più complicati di quanto attualmente percepito nel caso di vittoria del 'No'."

Qual è lo scenario peggiore (per ora)? Il terzo fallimento consecutivo di Monte Paschi (che probabilmente avrebbe conseguenze significative su tutte le altre banche italiane). Banchieri e funzionari statali hanno detto che lo scenario peggiore sarebbe il fallimento della ricapitalizzazione di Monte Paschi e della ristrutturazione del cattivo debito richieste dai regolatori, cosa che si tradurrebbe in un più ampia perdita di fiducia in Italia e metterebbe in pericolo una soluzione di mercato per le sue banche in difficoltà.

In questo scenario, i funzionari statali ed i banchieri credono che tutte le otto banche potrebbero essere messe in risoluzione. Temono che il contagio dalle piccole banche potrebbe minacciare l'aumento di capitale da €13 miliardi di UniCredit, la più grande banca d'Italia per asset, previsto per l'inizio del 2017.

Se il piano di salvataggio di Monte Paschi dovesse fallire, "tutte le teorie sono possibili" tra cui una "risoluzione delle otto banche", soprattutto se il "No" porterebbe Renzi a dimettersi e iniziasse un periodo di prolungata incertezza politica, prosegue il FT. Infatti, il prospetto per la ricapitalizzazione di Monte Paschi, che include uno swap debt to equity, avverte che il voto avrà pesanti ripercussioni sulle sue possibilità di successo. La Banca d'Italia ha messo in guardia per una certa volatilità dei mercati in vista del voto. I critici di Renzi hanno accusato la banca centrale di allarmismo in vista del voto.

Nonostante tutto, una rinnovata attenzione su BMPS probabilmente potrebbe rivelarsi il catalizzatore della prossima crisi bancaria italiana, e poco dopo, europea. A quel punto il domino italiano sarebbe, ancora una volta, in caduta libera.

A dire il vero il mercato ha già fiutato gran parte dei rischi, infatti venerdì scorso lo spread sui titoli di stato italiani rispetto ai bund tedeschi era in aumento sopra i 190 punti, un livello che non si vedeva dall'ottobre 2014, in quanto i mercati hanno prezzato le aspettative di turbolenza.




Una possibilità è il salvataggio di tutti gli investitori nazionali che vengono sottoposti al bail-in come ultima soluzione per evitare un panico bancario in piena regola:

I banchieri ed i funzionari statali possono prevedere un governo tecnico che sia d'accordo con Bruxelles e Francoforte su un "bail-in" delle banche italiane più vulnerabili, come emerso dagli stress test europei di due anni fa e in quelli di quest'estate. Con un bail-in, che impone perdite agli obbligazionisti, Bruxelles potrebbe consentire una certa compensazione per gli investitori retail vulnerabili.

La Germania, tuttavia, non sarebbe affatto entusiasta di un tale risultato. Purtroppo non importa quale sia il riferimento politico, le banche italiane non faranno altro che peggiorare dopo la votazione di domenica prossima:

Nicolas Véron, senior fellow presso il think tank Bruegel, ha sostenuto che "la BCE è stata molto clemente nell'affrontare la situazione bancaria a livello di sistema [in Italia], cosa risultata evidente sin dalla valutazione globale di due anni fa." "È un momento molto difficile, ma non è sostenibile. Il problema della fragilità bancaria non scomparirà. Non è qualcosa che si risolve con il tempo," ha detto Véron.

Ciononostante ogni speranza non è persa. L'Economist, pubblicazione economica e finanziaria per metà di proprietà dei Rothschild, ha avuto un passato terribile su come consigliare i suoi lettori prima di eventi politici critici: dalla sponsorizzazione del "Bremain" lo scorso giugno fino al sostegno per Hillary, l'Economist ha praticamente cannato ogni grande evento politico. Il fatto che durante il fine settimana abbia pubblicato un articolo intitolato "Perché l'Italia dovrebbe votare NO al referendum" può essere la speranza migliore che ha Renzi per rimanere al potere.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


lunedì 28 novembre 2016

Il circolo vizioso in cui è finita la FED





di James Rickards


In una parola, la FED ha fallito nella sua missione di ripristinare la crescita economica negli Stati Uniti. Questo fallimento ha gettato le basi per la prossima crisi monetaria globale.

Questo fallimento era inevitabile. La ragione: i problemi dell'economia sono strutturali, ovvero, tassazione, regolamentazione, demografia e altri fattori al di là del mandato della FED. Le soluzioni della FED sono monetarie. Un policymaker non può risolvere i problemi strutturali con strumenti monetari.

Dal momento che le soluzioni strutturali non sono all'orizzonte a causa di uno stallo politico, l'economia degli Stati Uniti rimarrà bloccata in un pantano di bassa crescita a tempo indeterminato. Senza cambiamenti strutturali, questo modello persisterà per decenni come già accaduto in Giappone. Questo scenario di crescita debole sarà scandito con recessioni tecniche occasionali, e mostrerà tendenze deflazionistiche persistenti.

Questo è lo scenario migliore e non il più probabile. Il risultato probabile è un panico finanziario e una crisi di liquidità globale causati dalle politiche monetarie fallimentari della FED. Per capire il perché, bisogna comprendere il circolo vizioso in cui si trovano ora la FED e tutte le principali banche centrali.

Il Federal Open Market Committee (FOMC) ha intrapreso un percorso senza precedenti con i suoi programmi di allentamento quantitativo, "QE." Il FOMC è composto da membri del consiglio della Federal Reserve e delle banche regionali Federal Reserve. È stato istituito per determinare in modo appropriato la politica monetaria.




Il primo programma, il QE1, è iniziato alla fine del 2008. All'epoca era inteso come una risposta adeguata alla crisi di liquidità derivante dai fallimenti di Lehman Brothers e di AIG. Fornire liquidità nel corso di una crisi di liquidità è esattamente ciò che dovrebbero fare le banche centrali; è il motivo per cui sono state create.

Il QE1 s'è concluso a giugno 2010 e potrebbe aver salvato l'economia da una recessione più grave nel 2009, ma non ha fatto nulla per stimolare la crescita a lungo termine. Non appena s'è concluso il QE1, la crescita degli Stati Uniti è entrata in fase di stallo. Entro la fine del 2010, la FED era pronta a lanciare il QE2.

Il QE2 era diverso. È iniziato a novembre 2010, in un momento in cui non c'era crisi di liquidità. Il QE2 era un esperimento sognato da Ben Bernanke. La FED s'era impegnata ad acquistare $600 miliardi di titoli del Tesoro a medio termine prima del giugno 2011.

L'idea era quella di abbassare i tassi d'interesse a lungo termine in modo che gli investitori sarebbero stati costretti ad acquistare altri asset, quali azioni e immobili. I conseguenti aumenti dei prezzi degli asset avrebbero creato un effetto ricchezza che si sarebbe tradotto in una maggiore spesa e in valori delle garanzie reali più elevati. Questo nuovo circolo di spese e prestiti avrebbe stimolato l'economia verso una crescita tendenziale autonoma.

In realtà, l'effetto ricchezza è sempre stato un miraggio. Il QE non ha creato una crescita sostenuta. Quello che ha fatto è stato creare bolle speculative, che ancora non sono scoppiate.

Il QE2 s'è concluso come previsto nel giugno 2011 e successivamente la crescita è entrata di nuovo in fase di stallo. Già a quel tempo la FED era intrappolata dal mostro che aveva creato. Fino a quando la FED sosteneva l'ambiente economico col QE, l'economia si barcamenava in avanti. Non appena è terminato, l'economia è tornata in fase di stallo. Questi esperimenti sono stati l'inizio della mentalità "risk-on" "risk off" che ha intrappolato la FED ed i mercati.

A settembre 2012, la FED ha lanciato il QE3. A differenza del QE2, il QE3 non aveva limiti di tempo o quantitativi. La FED avrebbe stampato tutti i soldi che voleva per tutto il tempo che voleva, al fine di creare lo stimolo necessario. Problema: la FED era senza via d'uscita. Quando allentava la sua posizione monetaria, l'economia migliorava, ma non sperimentava un boom. Quando restringeva la sua posizione monetaria, l'economia andava in stallo. La linea di politica sarebbe stata invertita, ma la FED era bloccata in un circolo vizioso.





Il termine "circolo vizioso" è un'espressione popolare per quello che i fisici e i teorici della complessità chiamano anche funzioni ricorsive. In una funzione ricorsiva, l'uscita di un'equazione diventa l'input per la prossima iterazione della stessa equazione.

La complessa dell'interazione del comportamento umano (impostazione dei tassi) e il circolo vizioso (con un punto attrattore fisso) è un continuo fare dietrofront. In primo luogo la FED emette comunicati deludenti, poi i mercati affondano, allora la FED procede con un allentamento monetario, poi i mercati recuperano, quindi la FED emette di nuovo comunicati deludenti, e così via. Questo è il circolo della FED.

Ecco come sono andate le cose sin da quando è stato avviato il QE3 a novembre 2012 sotto la direzione di Ben Bernanke e l'attuale leader della FED, Janet Yellen. Lo stato iniziale del sistema ad Aprile 2013 era quello di allentamento, a causa dello stesso QE3:

Maggio 2013 Bernanke restringe la linea di politica parlando del cosiddetto "tapering". I dollaro ed i mercati emergenti affondano.
Settembre 2013 Bernanke allenta la politica monetaria ritardando l'inizio programmato del tapering. I mercati azionari salgono.
Dicembre 2013 Bernanke restringe la politica monetaria avviando il tapering. Il dollaro si rafforza.
Settembre 2014 La Yellen allenta la politica monetaria attraverso la forward guidance, dicendo ai mercati che la FED sarà "paziente" riguardo futuri aumenti dei tassi.
Marzo 2015 La Yellen restringe la politica monetaria ponendo fine alla forward guidance e indicando che la FED intende alzare i tassi d'interesse prima della fine del 2015.
Settembre 2015 La Yellen allenta la politica monetaria ritardando il "rialzo" dei tassi d'interesse. Questo ritardo è causato dal crollo dei mercati azionari degli Stati Uniti, dovuto allo shock della svalutazione dello yuan cinese ad agosto. Le azioni degli Stati Uniti salgono.
Dicembre 2015 La Yellen restringe la politica monetaria aumentando i tassi d'interesse per la prima volta dopo nove anni. I mercati statunitensi vanno in crash, con un calo di oltre il 10% a gennaio e all'inizio di febbraio 2016.
Febbraio 2016 La Yellen allenta la politica monetaria con gli Accordi di Shanghai. L'accordo in sé non viene rivelato, ma diventa visibile in una serie di azioni da parte della BCE, della BOJ e della FED a marzo 2016. I mercati statunitensi salgono alla notizia di un dollaro più debole.
Maggio 2016 La FED restringe la politica monetaria attraverso un insieme di dichiarazioni da parte dei presidenti delle banche regionali Federal Reserve, tra cui James Bullard, Loretta Mester ed Esther George. La creazione di occupazione negli Stati Uniti entra in stallo, il dollaro sale e l'oro s'indebolisce.
Giugno 2016 La Yellen allenta la politica monetaria con un discorso a Philadelphia e con commenti in occasione della riunione del FOMC il 15 giugno. Il dollaro scende bruscamente e inizia una forte salita dell'oro, ripercorrendo le sue perdite di maggio e raggiungendo nuovi massimi di tre anni.

Ecco dieci tira e molla in poco più di tre anni.

Questo ci rivela che la FED non ha idea di quello che sta facendo ed è intrappolata in un circolo vizioso.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


venerdì 25 novembre 2016

Correte ai ripari, i robo-trader sono totalmente impazziti





di David Stockman


Ascoltare Janet Yellen mentre inventa circonlocuzioni varie ed eventuali per descrivere lo stato pietoso in cui versa l'economia statunitense, è sufficiente a bandire dai dipartimenti d'economia tutta la brodaglia keynesiana rigurgitata dai professori in quelle aule. Dopo tutto, questa brodaglia ha partorito gente come Paul Samuelson, Stanley Fischer e Ben Bernanke.

C'è solo una domanda a cui la Yellen deve rispondere, e poi tutto il resto si spiegherebbe facilmente: crede davvero che il tasso del mercato monetario – come misurato tempo fa dai Fed Funds prima che Bernanke nazionalizzasse il mercato interbancario nel settembre 2008 – sia una struttura interamente di proprietà del FOMC?

Nel sistema finanziario il tasso overnight ha ancora un qualche significato come "prezzo"? Uno collegato al resto della curva dei rendimenti, così come ad azioni, opzioni/derivati ed a tutto il processo di determinazione dei prezzi nei mercati monetari e dei capitali?

Meno di un decennio fa quasi ogni persona con un minimo di cultura finanziaria sapeva che i Fed Funds sono un prezzo finanziario che trasmette i segnali del mercato a tutto il sistema finanziario. Quindi parliamo della decisione della FED di tenerli inchiodati allo zero per quelli che presto saranno 96 mesi consecutivi.

In una parola, la Yellen e la sua combriccola di pianificatori monetari centrali keynesiani sono apparentemente disposti a falsificare per sempre il prezzo del denaro e di tutto ciò che ne deriva – come i carry trade nel mercato obbligazionario e nelle opzioni.

E per guadagnarci cosa dal punto di vista macroeconomico?

In una parola, raggiungere aumenti capillari nel tasso d'inflazione, quando c'è già troppa inflazione; e per spegnere la "fiacchezza" nel mercato del lavoro degli Stati Uniti, quando quest'ultimo è in ogni caso quasi sicuramente al di là della portata della politica monetaria.

Detto in altro modo, la Yellen ha dimostrato ancora una volta che è ciecamente focalizzata sul raggiungimento di aumenti di punti decimali in base al cosiddetto "mandato" Humphrey-Hawkins, tanto da non vedere l'incendio intorno a lei.

Il fatto è che la ZIRP sta innescando svariati ordigni economici in tutto il sistema finanziario. Eppure la maggior parte dei membri del FOMC sostiene ancora che non ci sono bolle.

La Yellen sta abbracciando rischi finanziari giganti per pura curiosità macroeconomica. Per esempio, anche se ammettiamo che un 2.00% d'inflazione sia una sorta di magico elisir economico, com'è possibile che gli abitanti nell'Eccles Building non ammettono che sono già lì o dannatamente vicini?

L'IPC regolare aggiustato secondo gli affitti di mercato – piuttosto che la misura fallace OER (owners' equivalent rents) – è cresciuto del 4.5% l'anno e del 2.4% sin dal 2010. Allo stesso modo, il PPI per i beni di consumo finiti è ben al di sopra dell'obiettivo 2.00% della FED su base annuale e quinquiennale, come l'IPC core.

Anche la PCE core – misurazione preferita dalla FED – è aumentata dell'1.6% su base annuale in occasione dell'ultima lettura. Ancora non è abbastanza?




Infatti l'unico indicatore di prezzo che "sottovaluta" materialmente l'obiettivo d'inflazione della FED è l'IPC, e non c'è assolutamente alcun mistero sul perché: ad agosto l'IPC ha mostrato che i prezzi dei prodotti energetici sono diminuiti del 17.3% rispetto all'anno precedente, mentre l'IPC meno cibo ed energia è salito del 2.3%.

Se la FED è ansiosa di vendere il tonico dell'inflazione, vi è già abbondanza di essa. Ad esempio, i servizi meno energia sono aumentati del 3.2%, le cure mediche sono salite del 5.1%, gli affitti sono aumentati del 5.6%, i farmaci del 6.3% e l'assicurazione sanitaria di oltre il 9%.

Quando la Yellen stava blaterando di una sottovalutazione circa "il nostro obiettivo d'inflazione", si stava arrampicando sugli specchi; stava solamente recitando quello che è diventato un incantesimo keynesiano che non ha radici in qualsiasi tipo di storia monetaria o logica. È solo una copertura per la massiccia presa di potere da parte della FED e di altre banche centrali.

Sì, la Yellen e il suo politburo monetario sostengono che la legge Humphrey-Hawkins li incentivi ad aggiustare al centesimo di punto percentuale i numeri dell'inflazione. La legge venne approvata nel 1978, prima che qualsiasi economista – keynesiano o meno – inventasse l'idea di un obiettivo d'inflazione da perseguire.

In realtà, la "stabilità dei prezzi" contenuta nella legge richiedeva una costante riduzione dell'inflazione nel tempo – fino a raggiungere il 3.0% nel 1983 e, infine, lo 0.0% entro il 1988. Questo obiettivo di lungo periodo era puramente aspirazionale ed era stato offerto ai conservatori dai democratici che si preoccupavano solo della "piena occupazione".

Tuttavia non venne promulgata da appassionati dell'inflazione, come la Yellen e la sua combriccola, ma sulla scia di un'inflazione a due cifre che aveva spaventato Main Street e i politici.

Su questo punto ho una certa autorità, perché facevo parte di questi ultimi. E nonostante votai "no", la maggior parte di quelli che la sostenevano – il deputato Augustus Hawkins e il deputato Richard Bolling – non disse una parola circa il pericolo di un'inflazione troppo bassa. Né suggerirono che la FED dovesse essere obbligata a pompare credito illimitato nel sistema finanziario al fine di raggiungere l'obiettivo d'inflazione al 2.00%.

Ecco perché questo obiettivo economicamente insidioso venne inventato più di un decennio dopo. Inoltre fu il risultato del lavoro di una piccola frangia di economisti guidata da Ben Bernanke, la quale non rischiava alcuna sanzione democratica per l'invenzione del fatidico targeting dell'inflazione al 2.00%.

Infatti l'idea stessa di una carenza d'inflazione non era nemmeno immaginabile fino a pochi anni fa. Eppure un precetto fondamentale della nostra democrazia costituzionale è la legislazione; e per quanto riguarda l'obiettivo d'inflazione minimo al 2.00%, il Congresso non aveva alcuna intenzione di promuoverlo nel 1978 – e nemmeno nel 1988, 1998 o 2008.

Se la legge Humphrey-Hawkins voleva raggiungere un obiettivo con l'inflazione, era quello di abbassarla costantemente e addirittura farla scomparire del tutto.

Alla fine degli anni '70 nessuno considerava la formula "più inflazione" una cosa auspicabile. L'unica cosa che si voleva era abbassarla quanto più rapidamente possibile, che ci fosse o meno un compromesso con la curva di Phillips tra crescita ed inflazione. La Reaganomics, infatti, era il rifiuto totale di tale idea.

Alla fine, però, anche il GOP ha dimenticato che il rifiuto della curva di Phillips a favore di una posizione supply-side era il cuore della Reaganomics. Altrimenti il GOP guidato da Karl Rove durante l'amministrazione Bush non avrebbe dato fiducia a Ben Bernanke – e tanto meno lo avrebbe fatto entrare nella FED nel 2002, e poi promosso a capo del Council of Economic Advisers nel 2005, e, infine, capo della FED nel 2006.

Lo zio Ben era un keynesiano doc. Aveva dato discorsi su come gettare soldi dagli elicotteri, aveva consigliato al governo giapponese di sprofondare nel debito, e credeva che senza un costante "stimolo" da parte dello stato e della banca centrale il capitalismo di mercato si sarebbe suicidato, portando inesorabilmente alla sottoperformance e al collasso economico.

Nonostante l'incitamento incessante di Bernanke, la FED non ha adottato l'obiettivo di un 2.00% d'inflazione fino al 2012. E così 5 anni più tardi abbiamo un robot keynesiano che straparla di un obiettivo d'inflazione, il quale non è supportato da uno straccio di prova empirica.

Infatti l'economia americana crescerebbe ad un ritmo molto più sano con un'inflazione dello 0.00% piuttosto che con una del 2.00%, e crescerebbe ancora meglio in una situazione di calo di prezzi e salari nominali. Questo perché in un sistema commerciale aperto, il prezzo dei beni è stabilito dal prezzo dei beni provenienti dalla Cina e dal prezzo dei servizi esportabili – come call center, elaborazione dati e servizi di back office di ogni tipo – in India.

In tale contesto, i lavori buoni finiscono all'estero mentre il mercato del lavoro interno incontra una biforcazione. Cioè, le paghe dei posti di lavoro di fascia più alta nella finanza, nel governo, nelle professioni specializzate e nella gestione aziendale, tendono ad essere uguali o superi all'IPC; mentre i posti di lavoro di fascia più bassa in bar, ristoranti, stadi, parchi divertimento, servizi di pulizia e aiuto domestico, che non possono finire all'estero o venire robotizzati – almeno non ancora – sono depressi da una massiccia "fiacchezza" che la Yellen non comprende nemmeno lontanamente.

Il grafico seguente riassume il mio punto. L'IPC è aumentato ad un tasso composto del 2.1% negli ultimi 29 anni, anche secondo la misura sottovalutata del BLS. Ma la cosa peggiore per i lavori ed i redditi di Main Street, è stata la triplicazione del tasso medio del salario nominale. Ciò ha fatto finire in massa i lavori all'estero, mentre le paghe per i posti di lavoro di fascia più bassa non hanno nemmeno tenuto il passo con l'IPC.




La verità è che l'impegno robotico della Yellen nei confronti dell'obiettivo d'inflazione, non è semplicemente risibile come questione analitica; è decisamente perverso e rovinoso, soprattutto quando si tratta del 90% delle famiglie statunitensi che non possiede asset finanziari massicciamente gonfiati, o che non ha un reddito che sta al passo con un tasso d'inflazione interno tutt'altro che "carente".

Quando si misurano correttamente i quattro cavalieri dell'apocalisse nell'inflazione – cibo, energia, assistenza sanitaria, casa – lungo un periodo prolungato di tempo e si conferisce loro il giusto peso in rapporto al budget delle famiglie nell'entroterra statunitense, si scoprono enormi aumenti del costo della vita che si fanno beffe delle chiacchiere della Yellen sul deflatore della PCE presumibilmente carente d'inflazione.




Nel corso degli ultimi 16 anni il costo reale della vita, rappresentato dal Flyover CPI, è cresciuto di quasi il 40% in più rispetto al deflatore della PCE meno cibo ed energia. Cioè, al 3.1% annuo, non all'1.7% che tanto ossessiona la Yellen.

Ed il delta annuo composto anche per un periodo di tempo modesto, fa tutta la differenza del mondo. Nonostante tutto il recente baccano circa il falso aumento del 5.2% nel reddito medio familiare reale per il 2015, oggi il reddito medio familiare nell'entroterra statunitense è inferiore del 17% rispetto a dove si trovava nel 2000.




Donald Trump ha suggerito di recente che Janet Yellen dovrebbe "vergognarsi" per fare politica con la stampante della FED.

È stato fin troppo gentile. Dovrebbe essere licenziata per incompetenza e per aver gonfiato una bolla finanziaria orrenda che porterà una rovina incalcolabile quando infine imploderà.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


giovedì 24 novembre 2016

Intervista su Financial Polis

Intervista con l'Ing. Fabio Sipolino (Financial Polis). In essa vengo intervistato in merito alle teorie della Scuola Austriaca che ogni giorno espongo qui sul blog e, partendo da questo punto, vado a snocciolare i problemi economici di cui, nostro malgrado, oggigiorno siamo testimoni. Dall'azione umana, al debito pubblico, ai DSP, all'oro, all'ingegneria finanziaria, alla conoscenza decentrata, ecc. È stato un piacere unico prestare la mia presenza alla piattaforma informativa dell'Ing. Sipolino e con essa spero di veicolare ad un pubblico più ampio il messaggio che quotidianamente espongo nei miei articoli.

Buona visione.











Petro-DSP: l'ascesa della nuova moneta mondiale





di James Rickards


La risposta agli sforzi degli Stati Uniti per svalutare il dollaro nel 2010-2011 non s'è fatta attendere. Ed è arrivata da quattro direzioni — FMI, Russia, Cina e Arabia Saudita. Ecco la nuova moneta mondiale: Petro-DSP.

Meno di un anno dopo che Obama ha dichiarato una nuova guerra tra valute, il FMI ha pubblicato un documento in c'è un progetto per la realizzazione di una nuova valuta di riserva globale chiamata Diritti Speciale di Prelievo (DSP), o moneta mondiale.

Il primo dicembre 2015, il FMI ha annunciato che lo yuan cinese sarebbe stato incluso nel paniere di valute utilizzate per determinare il valore di un DSP. Con la Cina a bordo, i DSP sono pronti per diventare de facto la valuta di riserva mondiale.

La risposta immediata della Cina e della Russia al declino prossimo del dollaro e all'ascesa dei DSP, è stata quella di acquistare oro. (Non è ancora possibile diversificare fortemente in asset denominati in DSP, perché ci sono pochi asset denominati in DSP disponibili.) La Russia ha acquisito oltre 1,000 tonnellate di oro negli ultimi sette anni, e la Cina ha acquisito oltre 3,000 tonnellate d'oro nello stesso periodo di tempo.




Combinando i numeri relativi agli acquisti di oro di Russia e Cina, arriviamo ad oltre il 10% di tutto l'oro ufficiale nel mondo. La Cina ha anche acquisito miliardi di DSP in operazioni segrete sul mercato secondario, intermediate dal FMI stesso.

La risposta dell'Arabia Saudita è stata più sottile, ma può diventare più marcata alla fine. Le relazioni tra l'Arabia Saudita e gli Stati Uniti si sono fortemente deteriorate nel corso dell'amministrazione Obama. La causa principale è stata la negoziazione tra Iran-USA sui reattori nucleari e il riconoscimento che l'Iran è una potenza regionale importante.

Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno tolto il segreto che circondava il possesso saudita di titoli del Tesoro USA (in vigore dal 1975). Gli Stati Uniti hanno anche rilasciato una sezione segretata di 28 pagine del 9/11 Commission Report che rivela chiaramente i legami tra i membri della famiglia reale saudita e i dirottatori di Al Qaeda.




I sauditi hanno minacciato di scaricare i loro titoli del Tesoro USA in risposta alla pubblicazione della sezione segreta, ma finora tale minaccia non s'è materializzata.

L'Arabia Saudita sta trattando da una posizione di debolezza rispetto a quella della Stati Uniti. L'Arabia Saudita ha ora un deficit fiscale piuttosto che un avanzo, quindi il problema riguardante il dove investire le riserve è importante. In realtà, l'Arabia ha dovuto vendere le sue riserve, principalmente titoli di stato USA, per coprire suddetto deficit fiscale.

Gli Stati Uniti non sono più dipendenti dall'Arabia Saudita per le forniture di energia. Sono diventati un esportatore netto di energia e hanno le più grandi riserve di petrolio del mondo. Tutte le condizioni che nel 1975 hanno dato luogo alla petrodollaro, ora sono evaporate.

Né gli Stati Uniti né l'Arabia Saudita hanno più molta influenza l'uno sull'altro, quando invece nel 1975 entrambi avevano carte vincenti molto buone.

Questo non significa che domani il petrolio avrà un prezzo in una valuta diversa dal dollaro. Significa che un nuovo meccanismo dei prezzi è possibile e non dovrebbe essere una sorpresa se dovesse venire in essere.

L'Arabia Saudita potrebbe facilmente prezzare il petrolio in yuan, poi scambiarli per franchi svizzeri o DSP, e utilizzare il ricavato per rimpinguare le sue riserve o comprare oro. L'Arabia Saudita potrebbe anche prezzare il petrolio in DSP o in oro e tenere tali asset, o scambiarli per altre valute forti e diversificarsi dal dollaro.

Le possibilità sono numerose. La conversione dei prezzi del petrolio lontano dal dollaro e a favore di qualche alternativa, è solo una questione di tempo.





Tutte queste tendenze — sostegno del FMI per i DSP, supporto russo e cinese per l'oro, e Arabia Saudita alla ricerca di un nuovo punto di riferimento per il petrolio — sono venute a galla nell'ultimo vertice del G20 in Cina, quasi sette anni dopo il vertice del G20 a Pittsburgh che ha generato la nuova guerra tra valute. Il presidente cinese Xi, che è il Presidente del G20 per il 2016, ha fatto passi da gigante sulla scena mondiale come partner alla pari con gli Stati Uniti e come gestore del sistema monetario internazionale.

Ora, meno di quattro settimane dopo il vertice del G20, lo yuan si è unito ufficialmente ai DSP. Lo yuan ricoprirà oltre il 10% dei DSP. Da qui in poi nuove emissioni di moneta mondiale (DSP) saranno supportato dalla Cina, perché ogni volta che il FMI emetterà nuovi DSP amplierà il ruolo dello yuan cinese come valuta di riserva.

Oro, yuan e DSP hanno tutti una cosa in comune — sono alternative al dollaro. Al crescere dello slancio verso queste alternative, il ruolo del dollaro come valuta di riserva mondiale potrebbe diminuire molto rapidamente — come accaduto alla sterlina tra il 1914 e il 1944. Il risultato per i possessori di dollari sarà esattamente lo stesso risultato per i titolari di sterline: inflazione e ricchezza perduta.

Senza dubbio emergeranno nuovi accordi politici e finanziari e nuove forme di energia.

La chiave per la conservazione della ricchezza è quella di spostarsi dalla valuta in decadimento — dollaro — alle valute in ascesa — oro e DSP — il più presto possibile.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


mercoledì 23 novembre 2016

Le banche centrali potrebbero scegliere l'elicottero monetario piuttosto che i tassi negativi





di Thorsten Polleit


La Federal Reserve (FED) sta prendendo in considerazione un innalzamento dei tassi. È in procinto d'avviare quella "normalizzazione" dei tassi d'interesse che risparmiatori e investitori stavano aspettando? Probabilmente no. I policymaker si stanno semplicemente rendendo conto che la politica dei tassi a zero — o tassi addirittura negativi, come nella zona Euro o in Svizzera — non funziona come previsto.

La popolazione è contraria. Le banche, per esempio, si trovano in difficoltà perché i loro profitti sono già sotto forte pressione in un contesto di rendimenti pari a zero, per non parlare di tassi d'interesse negativi. I clienti delle banche iniziano a protestare poiché i loro depositi non fruttano più un rendimento positivo. Hanno anche iniziato a riscattare i loro depositi in contanti, causando in tal modo lacune di rifinanziamento per le banche.



Tassi negativi sotto un altro nome

Tuttavia, è abbastanza improbabile che le banche centrali abbandonino l'idea di spingere i tassi d'interesse reali — cioè, al netto dell'inflazione — in territorio negativo. Quello che potrebbero avere in mente è lasciare che i tassi d'interesse nominali salgano "un po'", accompagnati da un'inflazione "leggermente superiore", facendo in modo che i tassi d'interesse reali rimangano, o scendano, in territorio negativo.

In tale ottica, in un documento pubblicato il 15 agosto 2016, la Federal Reserve di San Francisco ha suggerito che la politica monetaria dovrebbe eventualmente consentire un'inflazione superiore al 2%.[1] Il dibattito su una maggiore inflazione — diciamo al 4% piuttosto che al 2% — è in realtà una vecchia nenia; nei circoli accademici va e viene, ad ondate.

L'argomento centrale è che un'inflazione un po' più alta potrebbe "oliare gli ingranaggi" dell'economia, sostenendo in tal modo la produzione e l'occupazione. Un altro argomento recita che un'inflazione più alta permetterebbe alla FED di tirare l'economia fuori dalla recessione, in special modo se e quando il "tasso d'interesse neutrale" è sceso notevolmente.

La verità è che l'inflazione — che si tratti di un 2% o un 4% — non migliora le condizioni generali della società. Anzi, il contrario. Per esempio, l'inflazione corrompe il calcolo economico, spingendo in tal modo gli imprenditori a prendere decisioni sbagliate.

Per di più, l'inflazione funziona solo se e quando si palesa in modo inaspettato, a vantaggio di alcuni e a scapito di altri. "L'inflazione a sorpresa", tuttavia, non sarà altro che un incentivo temporaneo. Prima o poi le persone scopriranno che sono state ingannate e regoleranno il loro comportamento di conseguenza.

Si consideri un caso in cui la banca centrale promette un tasso d'inflazione del 2%. Dopo che le persone stipulano i loro contratti, la banca centrale aumenta l'inflazione al 4%. Le persone impareranno e si aspetteranno un'inflazione futura al 4%, o addirittura al 5%. La banca centrale, se vuole stimolare di nuovo l'economia, deve portare l'inflazione più in alto.

Questo tipo di politica porterebbe in ultima analisi all'iperinflazione — che è stata osservata in molti paesi di tutto il mondo. Tuttavia, se la banca centrale riuscisse
  1. ad aumentare l'inflazione dal 2% al 4%, e
  2. controllare contemporaneamente i rendimenti nominali,
potrebbe sgonfiare potenzialmente l'economia abbassando il rapporto debito/reddito.

Se, per esempio, la FED fissa i tassi d'interesse a, diciamo, il 2% e spinge l'inflazione al 5%, i tassi d'interesse reali scendono a -3%. Coloro in possesso di denaro verrebbero derubati. Lo stesso vale per gli investitori in titoli di debito, emessi da stati, banche e imprese. I debitori, a loro volta, accoglierebbero a braccia aperte una politica di tassi negativi reali in concomitanza con un'inflazione leggermente superiore.

Non ci vuole molto per aspettarsi che mutuatari politicamente potenti e altamente indebitati farebbero del loro meglio per spingere la banca centrale ad innescare l'inflazione e, allo stesso tempo, mettere un tetto ai tassi d'interesse nominali. Faranno in modo di propagare una teoria economica a sostegno dell'inflazione e di tassi d'interesse negativi.



Come far salire l'inflazione

Ma una banca centrale può davvero far salire i numeri dell'inflazione? Sicuramente sì. L'inflazione — nel senso di un aumento dei prezzi — è in definitiva un fenomeno monetario. Tecnicamente parlando, la banca centrale può espandere la quantità di denaro in qualsiasi momento e in qualsiasi quantità desiderata, poiché la banca centrale ha il monopolio sulla produzione di denaro.

Per esempio, la banca centrale può acquistare debito nei mercati emettendo moneta ex-novo. O, in extremis, può ricorrere al cosiddetto "elicottero monetario." La banca centrale distribuisce gratuitamente il denaro a stati, consumatori e imprenditori per spingere in alto l'inflazione.

Le banche centrali sono altamente politicizzate e si comporteranno in un modo che è politicamente conveniente. Una volta che il peso del debito diviene insostenibile e la crescita diventa deludente, è sempre più difficile evitare una linea di politica che strizza l'occhio all'inflazione. Fu Ludwig von Mises che ne comprese la dimensione politica:

Abbiamo visto che se un governo non è in grado di rinegoziare i prestiti e non osa imporre una tassazione supplementare per paura che gli effetti economici, finanziari e generali, possano manifestarsi troppo chiaramente e troppo presto, perdendo il supporto al suo programma, riterrà sempre necessario intraprendere misure inflazionistiche. Così l'inflazione diventa uno dei più importanti aiuti psicologici ad una politica economica che cerca di camuffare i suoi effetti. In questo senso può essere descritta come uno strumento di politica anti-democratica. Ingannando l'opinione pubblica, si mantiene in vita un sistema che non avrebbe alcuna speranza di ricevere l'approvazione della gente se le condizioni fossero spiegate loro con chiarezza.[2]

In questo contesto sarebbe sorprendente se ad un certo punto gli stati e le loro banche centrali non optassero per un'inflazione più alta nel tentativo di sfuggire a problemi che loro stessi hanno causato attraverso l'emissione di carta moneta scoperta. Ahimè, non sarebbe la prima volta nella storia monetaria che la carta moneta scoperta viene volutamente svalutata.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Si veda J.C. Williams, "Monetary Policy in a Low R-star World," FRBSF Economic Letter, 15 agosto 2016.

[2] Ludwig von Mises, "Stabilization of the Monetary Unit — From the Viewpoint of Theory," in: The Cause of the Economic Crisis: And Other Essays Before and After the Great Depression (Ludwig von Mises Institute, Auburn, 2006), p. 38.

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martedì 22 novembre 2016

Inflazione a doppia cifra e aumento dei prezzi dell'oro





di James Rickards


L'inflazione a doppia cifra non è uno sviluppo lineare. Quello che voglio dire è che l'inflazione non va semplicemente dal due per cento, al tre per cento, al quattro, al cinque, al sei. È davvero difficile passare da due a tre, il che è in definitiva ciò che vuole la FED.

Si sta addirittura dimostrando estremamente difficile arrivare fino a due. La spesa per i consumi personali (PCE) è il deflatore di prezzo, parametro monitorato dalla FED. Attualmente è a circa 1.6-1.7%, ma è bloccata lì. Non va da nessuna parte. La FED continua a provare tutto il possibile per farla arrivare a due con la speranza di arrivare a tre. Il problema si pone una volta arrivati ​​a tre, poiché la tappa successiva non è a quattro, ma otto, e poi dieci. In altre parole, c'è un grande salto.

La ragione è che non è puramente una funzione della politica monetaria, è una funzione parziale della politica monetaria.

È anche una funzione della psicologia comportamentale. È molto difficile convincere la gente a cambiare le proprie aspettative, ma se accade, è difficile convincerli a cambiarle di nuovo.

L'inflazione può davvero andare fuori controllo molto rapidamente. Quindi tra cinque anni a questa parte, potremmo avere un tasso d'inflazione a doppia cifra? È possibile, sebbene non lo stia prevedendo. Se ci sarà, accadrà molto rapidamente. Vedremmo una lotta nel passaggio dal due al tre per cento, e poi un salto fino a sei, e poi a nove o dieci. Questo è un altro motivo per cui è consigliabile avere un'allocazione in oro. Perché se e quando questi sviluppi si metteranno in moto, l'oro sarà inaccessibile.

A questo punto, mi viene spesso chiesto: "Come puoi dire che il prezzo dell'oro salirà a $10,000 senza conoscere gli sviluppi nell'economia mondiale, né le azioni che saranno intraprese dalla Federal Reserve?"

Non è un numero a casaccio. Non lo butto là solo per ottenere attenzioni, eccetera. È il prezzo implicito dell'oro. Ognuno dice che non si può avere un gold standard, perché non c'è abbastanza oro. C'è sempre abbastanza oro, è il prezzo che cambia.

Questo fu l'errore commesso da Churchill nel 1925. Il mondo non ripeterà lo stesso errore. Non sto dicendo che torneremo ad avere un gold standard. Sto dicendo che se si avrà qualcosa come un gold standard, sarà fondamentale avere un prezzo giusto. A questo proposito, Paul Volcker disse la stessa cosa.

La domanda analitica è: si può avere un gold standard se si ha il prezzo giusto, ma allora qual è questo prezzo? Qual è il prezzo che l'oro deve raggiungere affinché possa sostenere il commercio globale e i bilanci delle banche, senza ridurre l'offerta di moneta? La risposta è $10,000.

Io uso M1, ma è possibile scegliere un'altra misura (ci sono diverse misure riguardanti l'offerta di moneta). Io uso un 40% ci copertura. Un sacco di persone non sono d'accordo. Gli Austriaci dicono che dovrebbe essere al 100%.

Storicamente è stata al 20%. Se si prende M1 globale delle principali economie, lo si moltiplica col 40% e poi si divide per la quantità di oro ufficiale nel mondo, il risultato è circa $10,000 l'oncia.

Se si usa una copertura del 100%, utilizzando sempre M1, si otterrà come risultato $25,000 l'oncia. Se si utilizza M2 con una copertura al 100%, si otterrà come risultato $50,000 l'oncia. Se si utilizza una copertura del 20% con M1, si otterrà come risultato $5,000 l'oncia. Tutti questi numeri saranno diversi in base agli input. Ma, giusto per essere chiari, io sto usando M1 dell'economia più importante del mondo, il 40% di copertura, e l'offerta d'oro ufficiale di circa 35,000 tonnellate.

Modificate l'input e cambierete l'output. Non sono numeri inventati.

Ecco perché parlo di $10,000 l'oncia. Val anche la pena notare che non c'è bisogno di avere un gold standard, ma se ci sarà, questo sarà il prezzo.

Quindi la domanda successiva sarà: torneremo a vedere un gold standard? Questa è una funzione della perdita di fiducia nelle valute delle banche centrali. È già successo tre volte: nel 1914, nel 1939 e nel 1971. Non dimentichiamo che nel 1977 gli Stati Uniti emisero titoli di stato denominati in franchi svizzeri, perché nessun altro paese voleva i dollari. Il Tesoro degli Stati Uniti poi prese in prestito in franchi svizzeri, perché la gente non voleva i dollari, almeno non ad un tasso d'interesse che il Tesoro non era disposto a pagare.

Le cose andavano molto male allora, e questo tipo di crisi avviene ogni 30 o 40 anni. Anche in questo caso, possiamo rivolgere lo sguardo alla storia e vedere quello che è successo nel 1998. Wall Street salvò un hedge fund per salvare il mondo. Cos'è successo nel 2008? Le banche centrali hanno salvato Wall Street per salvare il mondo. Cosa succederà nel 2018?

Ogni piano di salvataggio diventerà più grande di quello precedente. Sì, vengono attuati salvataggi, basati sulla strategia del "troncamento". Sì, gli stati non scompariranno senza combattere. I policymaker troncheranno una crisi finanziaria globale, ma poi alzeranno l'asticella. Come? Le "armi" della banca centrale.

Il governatore della Banca d'Inghilterra, Mark Carney, sta parlando di tagliare i tassi d'interesse nel Regno Unito. Ha trascorso due anni a prendere in giro i mercati su un rialzo dei tassi, e ora ha intenzione di tagliarli. Ciò a dimostrazione che c'è qualcosa di grosso in ballo. C'è qualcosa di più grande rispetto alle banche centrali che è necessario analizzare.

Se la prossima crisi sarà più grande di quella precedente, e secondo me lo sarà, e le banche centrali saranno a corto di proiettili da sparare, da dove proverranno i soldi? Come pensate che inietteranno liquidità nel mondo? Risposta: il FMI stamperà una massiccia quantità di DSP. Sarà inflazionistico? Ovviamente sì.

Se inondate i mercati di DSP, solo due cose potranno accadere. O funzionerà e sarà altamente inflazionistico, cosa che porterà l'oro a $10,000 l'oncia; o non funzionerà, nel qual caso si tornerà ad un gold standard e l'oro andrà lo stesso a $10,000 l'oncia.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


lunedì 21 novembre 2016

Dov'è la domanda? I prezzi del petrolio scendono di nuovo





di Ryan McMaken


L'ultima settimana ha visto il prezzo medio del petrolio arrivare a $45 al barile, secondo la misura West Texas Intermediate, e ieri il prezzo del petrolio è sceso del 3% a causa della contrazione della domanda.

Ciò significa che i prezzi del petrolio non si sono spostati di molto sin dall'aprile scorso, quando il prezzo medio settimanale era compreso tra i $40 ed i $44 al barile.

Lo scorso aprile, l'OPEC e molti nel mondo degli investimenti prevedevano un'inversione repentina dei prezzi del petrolio. Phil Flynn di PRICE Futures Group, per esempio, ha predetto a gennaio di quest'anno che "il petrolio greggio farà baldoria come nel 1999." Beh, manca ancora un po' prima della fine dell'anno, ma nonostante l'affermazione del Fiscal Times secondo cui "il petrolio rimbalzerà nel 2016", una ripresa del petrolio quest'anno è sempre più improbabile.

Purtroppo —  per coloro che puntano su un aumento dei prezzi —  il presunto taglio della produzione non è mai arrivato. E gli aumenti previsti della domanda non sono mai stati sufficienti a colmare il divario tra produzione e consumo. L'AIE prevede che il divario si chiuderà il prossimo anno, ma deve ancora realizzarsi. Inizialmente si credeva che la produzione avrebbe subito un calo seguendo la scia del crollo del 2014, e poi una ripresa economica avrebbe stimolato una maggiore domanda. Ci hanno detto che il calo dei prezzi del petrolio era quasi esclusivamente una questione legata all'eccesso di offerta — che la crescente domanda avrebbe fatto aumentare di nuovo i prezzi. Ma la crescente domanda non s'è mai materializzata.

Ebbene sono passati quasi sei mesi da allora e i prezzi del petrolio restano in calo di oltre il 55% rispetto a dov'erano a metà del 2014. I prezzi del petrolio hanno toccato il fondo a febbraio 2016, a circa $30 al barile. Da allora i prezzi sono saliti più di dieci dollari, ma di certo non si avvicinano ai prezzi del 2014 che potremmo etichettare come "ripresa".

Questo primo grafico mostra i prezzi del petrolio (WTI) in dollari del 2015:




Ma perché la produzione non è scesa tanto quanto è stato detto? I sauditi non hanno tagliato la produzione di petrolio. L'Arabia Saudita è in difficoltà finanziarie e ha dovuto tenere aperto il rubinetto del petrolio per risolvere i suoi problemi finanziari interni. Nick Cunninghom ha parlato di questo argomento lo scorso dicembre:

L'Arabia Saudita è sotto una tremenda pressione. Il governo saudita sta valutando di tagliare la spesa di un incredibile 10%, cercando di fermare l'ascesa del deficit di bilancio. Il FMI prevede che l'Arabia Saudita potrebbe avere un deficit di bilancio ammontante a circa il 20% del PIL.

Il dolore si sta manifestando in modi diversi. Non solo il Regno deve tagliare le spese, ma si è anche rivolto pesantemente ai mercati obbligazionari. Per la prima volta in otto anni i prezzi bassi del petrolio hanno costretto l'Arabia Saudita ad emettere obbligazioni con scadenza oltre i 12 mesi, raccogliendo finora 35 miliardi di riyal (circa $10 miliardi).

Lo scorso marzo stava diventando piuttosto chiaro che i paesi dell'OPEC non avrebbero tagliato in modo significativo la produzione, e il "congelamento della produzione" era solamente uno spauracchio. L'Arabia Saudita e altri paesi dell'OPEC hanno disperatamente bisogno di entrate.

Nel frattempo l'Arabia Saudita ha riguadagnato l'etichetta come più grande produttore di petrolio nel mondo.

L'estrazione di petrolio è generalmente più costosa negli Stati Uniti che in Arabia Saudita, per cui i prezzi del petrolio più bassi hanno costretto un ridimensionamento negli Stati Uniti. Bloomberg riferisce:

Il calo della produzione negli Stati Uniti è avvenuto in concomitanza col calo del numero di impianti di perforazione di petrolio e gas, essi hanno raggiunto un minimo record di 404 il 20 maggio scorso, secondo i dati rilasciati da Baker Hughes Inc. Sin da allora questo numero ha recuperato, arrivando il 9 settembre a 508.

La produzione globale, tuttavia, non è crollata come molti avevano previsto, il che significa che la domanda non supera l'offerta, andando quindi ad aumentare i prezzi.



La domanda di petrolio non cresce come previsto

Matthew Parry dell'AIE ha osservato su Bloomberg che la domanda globale di petrolio non è quella che si ci aspettava. Influenzata da Cina, India ed Europa, la domanda inaspettatamente debole ha fatto in modo che l'AIE "correggesse il tiro".[1]

Anche gli Stati Uniti devono affrontare difficoltà legate alla domanda. Sul fronte interno, i prezzi delle case continuano a salire, limitando il reddito disponibile per molte famiglie che poi si ritrovano a spendere di meno per la benzina. Nel frattempo, i redditi mediani negli Stati Uniti sono rimasti stagnanti negli ultimi dieci anni, e la partecipazione della forza lavoro è ancora in prossimità di un minimo da 30 anni a questa parte. Niente di tutto questo fa ben sperare per una crescita della domanda.

E, naturalmente, la domanda negli Stati Uniti è stata influenzata dai prezzi del petrolio in discesa man mano che diminuivano gli impianti petroliferi e scompariva l'occupazione in tal settore. Nello stato del Colorado in cui c'è stato un boom del petrolio, per esempio, a maggio il numero degli impianti petroliferi è sceso ad un minimo da 16 anni a questa parte, anche se hanno recuperato un po' sin da allora. Ma quando guardiamo all'occupazione a Greeley, Colorado — il centro del boom petrolifero — scopriamo che sin dal 2014 non ci sono stati incrementi netti nell'occupazione. Quando moltiplichiamo questo fenomeno attraverso altri stati toccati dal boom dell'olio di scisto, tra cui il Texas e il North Dakota, scopriamo un impatto reale in termini di guadagni e in tal modo una domanda poco brillante per tutti i beni e servizi, compresi i prodotti a base di olio di scisto.

In parole povere: nel futuro prossimo non sembra esserci un serbatoio segreto pieno di domanda che possa far salire i prezzi del petrolio.



I tassi d'interesse bassi stanno puntellando i prezzi del petrolio?

Un altro fattore che potrebbe destare preoccupazioni è ciò che Liam Denning ha definito "mercato del petrolio temporaneo" reso possibile dai tassi d'interesse ai minimi storici. Denning suppone che uno degli effetti della politica dei tassi d'interesse a zero, è stato quello di rendere più facile sedersi sulle scorte di petrolio. Scrivendo a marzo di quest'anno, Denning ha detto:

In primo luogo, il finanziamento a basso costo sta contribuendo a mantenere gonfie le scorte di petrolio. Il rapporto settimanale di mercoledì dell'Energy Information Administration ha dimostrato, ancora una volta, che le scorte sono molto al di sopra dei livelli normali.

Grazie ai prestiti ultra-economici, i carry trade hanno mantenuto il petrolio fuori dal mercato e nei depositi, portando ad ulteriori discese dei prezzi.

In secondo luogo, i creditori possono perseguire una strategia palliativo ed evitare di entrare in possesso di una merce che diminuisce di valore:

Mentre le banche devono ritirare le linee di credito da produttori di petrolio in difficoltà, sono senza dubbio restie a prendere possesso di contratti di locazione ed impianti petroliferi in bancarotta, rimandando il giorno della resa dei conti.

Un terzo problema sorge dal fatto che una volta che i tassi d'interesse cominceranno a salire, la domanda per il petrolio nel mondo in via di sviluppo potrebbe scendere ulteriormente, innescando un nuovo calo nei prezzi del petrolio:

L'esplosione del debito nei mercati emergenti, in particolare quando denominato in dollari statunitensi, è una bomba ad orologeria per l'economia globale. Quando i tassi inizieranno ad aumentare, portandosi dietro il valore del dollaro, si intensificherà la pressione sulle compagnie petrolifere e su tutti i mutuatari nei mercati in via di sviluppo. E si dà il caso che il mondo in via di sviluppo rappresenta tutta la crescita prevista nella domanda di petrolio nei prossimi cinque anni, in base ai numeri dell'AIE.

I prezzi del petrolio continuano a puntare verso la mediocrità nella nostra attuale "ripresa" economica. I prezzi del petrolio non sono in caduta libera, né i fondamentali puntano verso un aumento della domanda. Senza crescita della ricchezza reale e dei redditi reali, non c'è motivo di supporre che la domanda sarà sufficiente a superare la produzione attuale.

Come per il mercato azionario, i prezzi del petrolio sono diventati sempre più sensibili alle future azioni della banca centrale. Con Janet Yellen e la FED che ancora una volta lasciano intendere un probabile aumento dei tassi, stiamo vivendo qualcosa di simile a quello che abbiamo visto con il Dow Jones nella seconda metà del 2015. I prezzi stagnano o diminuiscono mentre tutti aspettano di vedere se la FED avrà il coraggio di lasciar salire i tassi. Se lo farà, potremmo assistere all'ennesimo episodio di un rapido calo della domanda.


Questo secondo grafico mostra un arco di tempo più breve per quanto riguarda il prezzo del petrolio in modo da inquadrare più dettagli. In dollari del 2015.



[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/



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Note

[1] I prezzi in discesa del petrolio possono far diminuire la domanda in molti paesi in via di sviluppo. Il Wall Street Journal ora riferisce che la Nigeria è in recessione per la prima volta sin dal 2004.

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venerdì 18 novembre 2016

Sulla scia di una perdita di fiducia





di Francesco Simoncelli


Come ripetuto spesso su queste pagine, la merce più commerciata al giorno d'oggi è la fiducia. Nel corso del tempo la consistenza del denaro s'è fatta sempre più effimera, andando a ricoprire una forma sempre più virtuale piuttosto che fisica. Si pensi solamente che la maggior parte delle transazioni giornaliere sono effettuate attraverso circuiti digitali. Per non parlare della lotta dello stato contro il denaro contante. Questo ovviamente serve a rendere gli attori di mercato quanto più prevedibili possibile, affinché abbiano di fronte a loro una scelta calata dall'alto. Si tratta chiaramente di una falsa scelta, poiché imposta indirettamente, ma in sostanza questo percorso verso cui siamo diretti è stato in qualche modo "predetto" in due diverse opere: The Road To Serfdom (1944) di F. A. Hayek e Planned Chaos (1950) di Ludwig von Mises.

Nella prima si sottolinea come una pianificazione centrale della società, al fine di preservare il proprio potere, finisce per invadere inevitabilmente la maggior parte dei settori dell'economia. L'invasione di suddetti settori avviene perché le informazioni all'interno dell'ambiente economico vengono distorte a tal punto da rendere impossibile un calcolo economico in accordo con la volontà degli attori di mercato. La distorsione derivante porta ad una correzione degli errori, la quale viene impedita poiché significherebbe un restringimento degli ostacoli imposti all'economia da parte della pianificazione centrale. Di conseguenza viene tenuto artificialmente in vita un sistema che continua a marcire all'interno, sebbene all'esterno possa sembrare alquanto stabile. Questo finché la pianificazione centrale non invade tutti i settori dell'economia, a quel punto non esistono più prezzi di mercato o informazioni genuine, bensì un'accozzaglia di meccanismi di feedback che si contraddicono.

Era un po' il caso della borsa russa durante gli anni della Guerra Fredda, la quale si limitava a copiare i prezzi di quella occidentale. Non esisteva affatto un meccanismo genuino di determinazione dei prezzi. Erano praticamente decisi a tavolino. Sappiamo tutti che fine ha fatto l'URSS nel 1991. Gli attori di mercato, quindi, vengono ingabbiati in un sistema che tenta di dirigerli, coattamente e contro la loro volontà, verso scelte imposte da un meccanismo top-down. L'insostenibilità di tale assetto della società deriva dal fatto che le azioni degli individui sono atte a massimizzare il benessere individuale, stilando, quindi, un elenco di priorità che l'attore di mercato in particolare reputa più urgenti da soddisfare. Questo è un concetto sempre vero, poiché è la derivazione logica di un concetto basilare a priori: l'azione umana. In base a ciò, gli attori di mercato agiscono per ritornare ad uno stato di quiete che è stato perturbato dalla necessità di effettuare una particolare azione.

Questo, in sintesi, significa che gli attori di mercato sono sia i migliori sabotatori di loro stessi quanto i loro salvatori, rendendoli un puzzle indecifrabile da una manciata di menti in una banca centrale. In funzione di ciò, per quanto possano essere prolungati gli interventi nei mercati, essi condurranno ineluttabilmente ad una conflagrazione economica, proprio perché generanti un cosiddetto "caos pianificato" visto che ogni intervento è costituito da una gestione peculiare di aspetti sempre più imprevedibili. Ciò vuol dire che il potenziale affinché le cose vadano fuori controllo all'aumentare dell'ingerenza della pianificazione centrale nell'economia, è estremamente alto. Ma questo è il risultato della legge dei rendimenti decrescenti. Ed è esattamente il tema riportato nella seconda opera citata, quella in cui Mises non faceva altro che descrivere il modo in cui un'economia "mista" sarebbe fallita.



DISTORSIONI CONTINUATE

Il miglior esempio che si possa scegliere per descrivere quanto l'invadenza della pianificazione centrale possa distruggere la società e il meccanismo di determinazione dei prezzi, è l'Obamacare, o Affordable Care Act. Questo mostro burocratico lungo circa 2,000 pagine di leggi è entrato in vigore due anni fa e con esso i pianificatori centrali promettevano di risolvere due problemi: decenni d'aumenti dei costi delle assicurazioni e che tutti ne avrebbero avuta una. Ma a quanto pare le promesse vanno, mentre la realtà rimane. Infatti la promessa di tagliare i costi è rimasta nell'etere, visto che il costo annuale medio dell'assicurazione sanitaria per una famiglia è aumentato di $1,000 e il costo annuale medio per i datori di lavoro è aumentato di $4,800.

E nemmeno se ipotizziamo che costi in aumento siano serviti a permettere un'assicurazione per tutti, i pianificatori centrali sono riusciti a farla franca. Infatti nel 2015 circa 32 milioni di americani erano ancora senza assicurazione, e 6.5 milioni ne avevano una solo perché il Congresso ha espanso il recinto in cui finivano coloro aventi diritto ad accedere al Medicaid. Prima che l'Obamacare entrasse in vigore, bisognava pagare solo l'assicurazione sanitaria; ma con l'entrata in vigore di questo mostro burocratico, bisogna pagare oltre all'assicurazione sanitaria un nuovo stuolo di burocrati e un nuovo strato di burocrazia. Lo stato è un monopolio, tra l'altro, il quale deve affrontare una minore concorrenza rispetto alle aziende private.

Prima dell'Obamacare i singoli stati USA avevano eretto barriere commerciali intorno alle assicurazioni, ciò, ovviamente, ha ridotto la concorrenza tra le varie assicurazioni sul suolo americano. Ma soprattutto ha impedito l'emersione di prezzi più competitivi. Piuttosto che correggere queste storture, i pianificatori centrali li hanno diffusi a livello nazionale. L'Obamacare ha praticamente tolto quel poco controllo sull'assicurazione sanitaria che ancora trattenevano medici, pazienti e assicuratori, e l'ha messo nelle mani di burocrati e politici. Questi ultimi non hanno né le informazioni né l'incentivo per prendere decisioni oculate in nome degli altri. In poche parole l'Obamacare ha trasformato a tutti gli effetti un settore costoso e in cui la concorrenza era minima, in una costola dello stato. E come abbiamo appena visto, l'ha reso enormemente più costoso ed effettivamente senza concorrenza.

La stessa cosa sta accadendo ora con l'Obamatrade, o TPP: una mostruosità burocratica di circa 5,500 pagine di norme e regolamenti, pronta ad oscurare l'Obamacare. Inutile dire che l'Obamatrade rappresenterà per il commercio internazionale quello che l'Obamacare ha rappresentato per il settore sanitario statunitense. Non ci servono tutte quelle pagine di gergo legalese per permettere a partner commerciali d'impegnarsi in un libero scambio. Ciò che serve è proprio meno burocrazia e meno dazi, o tasse sulle importazioni; ciò che serve è che i politici smettano una volta per tutte d'impedire agli attori di mercato esteri di mettersi d'accordo con quelli in patria per effettuare uno scambio reciprocamente vantaggioso. Se questo parto del NWO dovesse essere approvato, la perdita di sovranità nazionale sarà senza precedenti, con ripercussioni pesanti per quello che rimane del libero mercato.

Ogni settore di qualsiasi economia del mondo sta finendo ormai sotto la stretta influenza dell'apparato statale, senza che gli attori di mercato abbiano più molta voce in capitolo. Il circuito finanziario è attualmente il posto in cui le distorsioni si sono concentrate di più, soprattutto dopo il fallimento della Lehman nel 2008. Le principali banche centrali hanno pompato circa $15,000 miliardi sino ad ora attraverso un acquisto di obbligazioni statali, cercando di prendere due piccioni con una fava: sostenere le finanze statali e sostenere il settore delle grandi banche commerciali. Questa gigantesca Offerta d'Acquisto scatenata dalle principali banche centrali del mondo (FED, BCE, BOJ) ha riversato quantità esorbitanti di liquidità nel settore finanziario, dove Main Street non ha quasi per niente accesso. È per questo che, in sostanza, non abbiamo visto una grande inflazione dei prezzi al consumo, mentre abbiamo visto una grande inflazione dei prezzi degli asset finanziari.

A causa delle precedenti baldorie monetarie, Main Street (famiglie e piccole/medie imprese) ha raggiunto la condizione di Picco del Debito, iniziando un percorso di deleveraging. Ma questo avrebbe intaccato anche quelle realtà protette dal cartello del settore bancario centrale, causando un reset dell'economia verso una condizione più sostenibile e in accordo con le scelte degli attori di mercato. Ergendosi a baluardi della "stabilità economica", le banche centrali hanno sventolato giustificazioni su giustificazioni per intervenire direttamente nell'economia e salvaguardare quelle entità protette dal loro cartello: stati e grandi banche commerciali. Una di queste giustificazioni era il cosiddetto "effetto ricchezza a cascata", ovvero, credere che rifornendo di liquidità le grandi realtà queste avrebbero riversato ricchezza reale a cascata sul resto della società.

Le banche centrali, quindi, sono diventate i market maker nei mercati azionari e obbligazionari, annullando un onesto mark to market dei titoli e, quindi, un rischio ponderato. I circuiti finanziari sono diventati letteralmente dei casinò, dove il rischio di perdere sembrava essere stato debellato dalla possibilità di fare front-running ai programmi d'allentamento quantitativo delle banche centrali. I prezzi sono saliti e i rendimenti scesi, causando una fame crescente per rendimenti decenti pena un bilancio in perdita a fine anno. Quindi sebbene le banche centrali abbiano fornito un sollievo temporaneo, le cose sono tornate ad essere instabili molto subito, ed è stato necessario alzare la posta in gioco disconnettendo ulteriormente l'economia finanziaria da quella di Main Street.

Ciò sta portando le banche centrali ad essere impotenti durante la prossima recessione, poiché hanno iperinflazionato la nuova moneta mondiale: la fiducia.



PERDITA DI FIDUCIA

Dal 1998 fino al 2010, il panico dovuto ad una crisi di liquidità è stato tamponato con misure monetarie maggiori, oltre all'intervento del FMI e di salvataggi statali. Ma a causa di ciò le banche centrali non possono più ripetere il trucco una tantum che finora hanno messo in campo. Non ci sono più bilanci puliti da saturare e la politica monetaria non può essere invertita, pena una fuga in preda al panico dei front-runner. I rischi sistemici sono chiari: il mondo si sta dirigendo verso una crisi del debito sovrano a causa di un eccesso di quest'ultimo a prezzi sconnessi dalla realtà e di una pseudo-crescita economica. Quest'ultima è stata innescata da quelle grandi imprese che hanno potuto gozzovigliare con la manna monetaria delle banche centrali, inglobando risorse economiche scarse e risorse umane.

La loro obsolescenza è stata mascherata dalla droga monetaria, e infatti hanno convogliato tale denaro nell'ingegneria finanziaria piuttosto in quei settori cruciale per la sopravvivenza di una impresa: spese in conto capitale e R&S. È un'illusione che ha ammorbidito temporaneamente i numeri della disoccupazione, ma che ha aperto la porta a nuovi errori economici e alla metastatizzazione di quelli esistenti. E diversamente da quello che abbiamo visto finora, senza misure draconiane la prossima crisi sarà inarrestabile: salvataggi del FMI, chiusura di banche e fondi del mercato monetario, e probabilmente legge marziale.

Quello che è in gioco qui è l'infallibilità delle banche centrali, che per anni è stata considerata insindacabile. Il caso eclatante da cui la fiducia nelle banche centrali è iniziata ad incrinarsi è quello della BCE, la quale, nonostante tutti i trattati firmati in precedenza, ha deciso di comprare a titolo definitivo titoli di stato della zona Euro con l'obiettivo ufficiale di abbassare la pressione a lungo termine sulla curva dei rendimenti; in realtà, quello ufficioso prevedeva tali acquisti per mettere una pezza alle sconsideratezze economiche di quei paesi i cui politici non volevano correggere. Senza contare che tali problemi erano stati alimentati dalle sue stesse politiche monetarie allentate nel decennio precedente. Era una posizione lose-lose per la BCE, perché se non fosse intervenuta ci sarebbero stati tumulti a livello finanziario; adesso ha compromesso di più la sua posizione, disconnettendo di più i segnali di prezzo dalla realtà.

Infatti l'UE non s'è disgregata proprio perché lo zio Mario ha proferito il suo ukase nel 2012, dicendo che avrebbe fatto di tutto per tenere a galla il progetto UE. Sebbene la Corte di Giustizia Europea e la Corte Costituzionale tedesca abbiano emesso parere positivo riguardo la decisione dello zio Mario, l'indipendenza del settore bancario centrale è ora sotto dibattito pubblico, quando invece, anni addietro, era semplicemente una chimera mettere in discussione anche di sfuggita l'argomento. Con la sua decisione di far diventare le obbligazioni sovrane europee come scarafaggi di motel nel suo bilancio, la BCE ha oltrepassato il suo mandato della stabilità dei prezzi. Più andrà oltre, più le critiche si faranno persistenti.

Infatti, stando alla realtà dei fatti, il suo ukase era una farsa e non ha fatto altro che gonfiare ulteriori bolle oltre a quelle nell'ambiente azionario e obbligazionario sovrano. E cosa ha portato questo caos monetario? Ingegneria finanziaria, distorsione sequenziale dei prezzi, disconnessione tra economia finanziaria e reale, azzeramento virtuale del rischio, fame per rendimenti decenti, ecc.

Gli errori economici si sono metastatizzati e il palliativo fuoriuscito dalla stampante monetaria dello zio Mario, s'è arenato sulla spiaggia dei tassi negativi. Il disallineamento tra domanda e offerta, oltre che tra prezzi nominali e reali, sta eruttando di nuovo, soverchiando la presunta onniscienza delle banche centrali. Nel caso particolare, notate come il decennale italiano stia iniziando a salire nonostante la Gigantesca Offerta d'Acquisto della BCE, in risposta alle pressioni riguardanti il referendum e la situazione precaria del sistema bancario commerciale italiano. Le manipolazioni dei mercati sono andate talmente oltre che ormai stanno sfuggendo di mano, conducendo ad un catalizzatore per la prossima recessione.




Ma questa è solo la metà della storia, perché a causa di questo folle interventismo e della rottura del canale di trasmissione della politica monetaria, i risparmiatori vengono privati degli sforzi della loro frugalità. Infatti cercando di correggere gli errori del passato, pensano a ripagare i debiti piuttosto che a contrarne di nuovi. I prestiti rallentano e i conti di depositi non pagano più nulla. E chi può permetterselo viene spinto in asset più rischiosi per ottenere rendimenti.




Si scatena, quindi, una caccia a rendimenti decenti e il rischio viene artificialmente annullato. Banche commerciali, assicurazioni e fondi pensione, devono sottoscrivere asset più rischiosi per tenere fede ai propri obblighi. I deficit in queste realtà si accumulano e, sulle spalle dell'espansionismo monetario, attraverso la loro sopravvivenza canalizzano risorse scarse nei loro bilanci sottraendole all'uso produttivo del settore privato. L'economia più ampia si arrocca sempre di più nei saldi di cassa per affrontare le incertezze che scruta all'orizzonte, mentre gli azzardi iniziano a far pagare il conto alle realtà privilegiate attraverso flash crash improvvisi che diminuiscono il valore degli attivi a loro disposizione (come nel grafico qui sotto).




Allo stesso modo le imprese che possono gozzovigliare sui mercati utilizzano l'ingegneria finanziaria per abbellire i propri bilanci, ignorando i segnali di mercato; e per non rischiare di mandare il sistema in tilt, le banche centrali aumentano la posta in gioco, andando a comprare, oltre alle obbligazioni sovrane, anche azioni (Giappone) e obbligazioni societarie (Europa).

La produzione nell'economia più ampia inizia a perdere colpi e le nuove aziende non nascono per innovare, bensì per essere assorbite. La stagnazione intellettuale e industriale prende il posto della creatività e della produttività, facendo aumentare a dismisura i prezzi di quei beni e servizi domandati realmente dall'economia più ampia e facendo diminuire i prezzi di quei beni e servizi che nessuno vuole, ma che aziende obsolete possono produrre grazie alla manna monetaria. Questo castello di carte si basa semplicemente sulla distruzione sistematica della ricchezza reale all'interno della società, e finché è in espansione il sistema può barcollare in avanti. Il problema è quando inizia a stagnare o, peggio, a declinare. Come detto all'inizio di questo articolo, siamo ben inoltrati nell'area della legge dei rendimenti decrescenti e questo significa che molto presto ogni unità aggiuntiva di debito eroderà un'unità di PIL.

La bancarotta di quelle società che hanno gozzovigliato col credito facile sarà la miccia che accenderà questo barilotto pieno di polvere da sparo, senza dimenticare che i flash crash, come detto poco sopra, possono intaccare seriamente i bilanci di hedge fund gonfi di asset prezzati in modo errato. Giocare con la leva finanziaria è stato l'unico modo per cercare di emergere sulla scena finanziaria, e in questo modo il casinò è stato remunerato con guadagni inattesi. Ma questi trade sono potuti andare avanti solo grazie alle banche centrali, le quali nel corso di questo decennio non hanno fatto altro che riempirlo fino all'inverosimile. Non possono allontanarsi in tempo senza finire dilaniate nell'esplosione e non possono spegnere la miccia. Il calcio al barattolo è stata l'unica risposta che hanno saputo dare finora, rimandando l'inevitabile correzione nel futuro... ad un prezzo maggiorato. Anche i robo-trader si stanno accorgendo di quale sia questo prezzo e sono molto nervosi in vista della prossima riunione del FOMC.

In sintesi, i robo trader stanno capendo che la festa è agli sgoccioli e la popolazione in generale sta capendo che le banche centrali non sono qui per il loro benessere economico. Ecco perché la FED, ad esempio, ha continuato a glissare su un possibile aumento dei tassi lungo tutto quest'anno sventolando il feticcio della "dipendenza dai dati". Se avesse voluto mantenere onesti i mercati e vigilare su di essi, non avrebbe dovuto abbassare i tassi in primo luogo. In questo modo ha solo permesso che le entità giuste ottenessero le carte giuste. Siamo alle porte di una svolta epocale nel modo di pensare alle banche centrali. Si arriverà finalmente alla conclusione che quello che hanno gestito finora è solamente una gigantesca truffa.






CONCLUSIONE

Leggo e sento parecchi pareri a favore e a sfavore di Trump. Addirittura c'è chi pensa che una guerrafondaia come Hillary sarebbe stata meglio del magnate immobiliare. Tutte queste considerazioni mancano un punto fondamentale: se non ci si preoccupa dell'economia, allora sarà l'economia a preoccuparsi di voi. La maggior parte delle persone non sa cosa c'è in gioco il prossimo dicembre quando si riunirà il FOMC per decidere sulla politica dei tassi d'interesse della FED. In un modo o nell'altro saremo testimoni di una nuova recessione, più grande del panico Lehman. Penso che sarà mondiale. Sarà il prodotto dei banchieri centrali keynesiani. Sarà una manifestazione della Teoria Austriaca del ciclo economico: le banche centrali inflazionano, poi tirano il freno a mano e infine arriva la recessione.

Sarà una recessione profonda e lunga. Sono passati sette anni da quando è iniziata ufficialmente la pseudo-ripresa. Le probabilità di altri quattro anni di boom sono basse. Quindi contro o con Trump è un'insensatezza. Bisogna abolire gli interventismi nell'economia, non sperare che un qualche candidato eletto adotti un "piano economico", o la parvenza di uno, per riportare in carreggiata le cose. Questa mentalità è arrivata al capolinea e la prova sono i 96 mesi di zero bound delle banche centrali, con risultati pessimi per la gente comune. Bisogna incentivare la creatività degli individui e le istituzioni volontarie, non interferirle con programmi politici ambiziosi o politiche economiche presumibilmente lungimiranti.

Preoccupatevi del Grande Default e preparatevi di conseguenza, perché altrimenti sarà il Grande Default a preoccuparsi di voi.