mercoledì 1 giugno 2016

Donald Trump: luci e ombre





di David Stockman


L'America avrà bisogno del favore incondizionato dell'Onnipotente se Donald Trump diventerà il nostro 45° presidente. Ciononostante benedetto sia Donald per aver sbaragliato la concorrenza alle primarie repubblicane.

A meno che non venga distrutto il partito repubblicano, non c'è speranza per un futuro di prosperità capitalistica, una società libera in patria e la pace nel mondo. E, perbacco, Trump potrebbe riuscirci.

Dobbiamo essere chiari. Non c'è più un partito repubblicano preoccupato per la gente comune e per il sentiero verso cui s'è incamminata l'America. Ciò che ne rimane non è nemmeno la velata xenofobia, il cripto-razzismo e le credenze della destra populista che Trump sta chiamando con successo alle armi politiche.

Il fatto è che il GOP è diventato un Partito della Guerra. Situato comodamente nella Città Imperiale, opera con una pletora di gruppi di pressione che sottoscrivono le campagne elettorali bi-annuali dei suoi operatori.

Nel frattempo i politici del GOP spendono il loro tempo nella capitale e nelle visite ufficiali a raccontare storie spaventose su minacce terroristiche e regimi ostili. Così facendo, essi vedono nemici dell'Impero Americano ovunque e addirittura anche su queste sponde.

In una parola, come Partito della Guerra, l'attività principale del GOP è diventata quella di promuovere il programma, le campagne, le macchinazioni e la gloria della Città Imperiale. Ogni volta che la sua retorica su uno stato minimo e sulla prudenza fiscale diventa scomoda per le esigenze del complesso militare/industriale, o per i fondi dei suoi gruppi di pressione, la piattaforma economica presumibilmente conservatrice del GOP diventa rapidamente "non operativa" (parafrasando Nixon).

Non c'è miglior esempio dei senatori Lindsay Graham e John McCain per descrivere tutto ciò. La loro agenda promuove esclusivamente progetti all'estero, occupazioni, alleanze e manovre di Washington. Viaggiando a Tel Aviv su base regolare, mostrandosi a Kiev e dando lezioni ai cinesi sul diritto marittimo nelle acque internazionali, per esempio, non hanno fatto altro che imitare in modo comico i senatori romani del primo secolo avanti Cristo. Probabilmente si credono addirittura tali.

Eppure dopo decenni a Washington loro e la maggior parte dei loro colleghi al senato, non hanno realizzato nulla che ricordi le vecchie tradizioni repubblicane. Infatti, nel periodo 2000-2006, quando i repubblicani controllavano il Congresso e la Casa Bianca, non un singolo programma dello stato sociale o delle agenzie governative è stato eliminato o addirittura riformato, mentre sono state approvate nuove espansioni nel settore scolastico, nel Medicare, nell'agricoltura, nei sussidi all'energia alternativa e molto altro ancora.

Di conseguenza la quota della spesa federale in rapporto al PIL è cresciuta più velocemente rispetto a qualsiasi altro periodo storico; e i $4,000 miliardi di nuovo debito pubblico aggiunti durante gli otto anni di Bush, hanno distrutto tutti i record precedenti in tempo di pace.

Anche quando artisti del calibro di Graham e McCain hanno occasionalmente messo in pausa le loro avventure all'estero, l'idea di ridurre lo stato sociale o di pareggiare il bilancio non li ha sfiorati minimamente. McCain ha abbracciato i salvataggi di Wall Street nell'autunno del 2008, ponendo così fine una volta per tutte alla credibilità del GOP in materia di santità del libero mercato e opposizione al capitalismo clientelare.

Graham ha fatto di peggio. Ha abbracciato la presunta scienza del riscaldamento globale, la carbon tax e la vasta espansione dello stato burocratico.

Il GOP è diventato parte integrante della classe dirigente di Washington. Non ha passione — solo a parole — per la teoria anti-Washington su cui è stato fondato il partito repubblicano.

Una volta il GOP era a favore del libero mercato, della rettitudine fiscale, della moneta sonante e di un governo minimalista. Calvin Coolidge fece un buon lavoro. E anche Warren G. Harding ci ha portato fuori dal business dell'intervento estero — un percorso che il grande Dwight D. Eisenhower riuscì a seguire abbastanza costantemente nelle condizioni di gran lunga più difficili durante la guerra fredda.

Ma questi erano i figli della vecchia scuola americana — Massachusetts, Ohio e Kansas. In quanto uomini di passaggio a Washington, sono sempre stati scettici e cauti riguardo le missioni statali in patria o all'estero.

Harding la definiva ritorno alla "normalità". Coolidge diceva che Washington dovesse badare ai suoi affari. E Ike ridusse di un terzo la componente militare dello stato, concludendo le guerre di Truman senza iniziarne di nuove, resistendo al programma interventista dei fratelli Dulles, pareggiando il bilancio e congelando il New Deal.

La folla repubblicana di oggi non è affatto paragonabile. Vive nella capitale, abbracciandone pienamente progetti e pretese, e visitando le province il meno possibile. Ed è per questo che Trump li fa tremare, addirittura li ha pietrificati.

A dire il vero, ci sono molte cose brutte, superficiali e stupide nella piattaforma elettorale di Donald Trump, se la si può chiamare così. Al cuore del suo messaggio ci sono due proposizioni che instillano il terrore nei cuori del GOP e della Città Imperiale.

Vale a dire, la sua campagna è auto-finanziata e insiste pomposamente sul fatto che l'America sia messa male a livello mondiale.

La prima di queste proposizioni dice esplicitamente alle legioni di lobby d' andarsi a fare una passeggiata, e ciò comporta una minaccia mortale per la raccolta fondi del GOP. E mentre il "cattivo affare" all'estero riguarda il NAFTA e il nostro deficit commerciale con la Cina da $500 miliardi, si tratta in realtà di un attacco contro l'Impero americano.

Il popolo americano è stanco delle guerre di neocon come Lindsay Graham/John McCain/George Bush; ed è infastidito dai massicci oneri fiscali delle nostre alleanze, delle basi militari estere e degli aiuti economici. Soprattutto non sopporta l'enorme costo dei nostri impegni con reliquie del passato come la NATO, lo stazionamento di truppe in Corea del Sud e il trattato di difesa con l'incorreggibile Giappone, il quale ancora manipola palesemente le regole del commercio contro le esportazioni americane.

In breve, Trump sta stimolando un impulso nazionalista/isolazionista che scorre tra la gente comune, la quale è stanca ed economicamente precaria. Egli è abbastanza intelligente da auspicare nei suoi discorsi una sorta di protezionismo commerciale. Ma se fosse Pat Buchanan a scrivere i suoi discorsi, sarebbe più erudito ed esplicito circa la follia dell'Impero americano, ma il messaggio sarebbe lo stesso.

Ecco perché il Partito della Guerra è così disperato e perché la sua ultima grande speranza è il senatore dalla Florida. In realtà Marco Rubio è un tipo antipatico che vuole essere presidente, così da poter giocare con armi, aerei, navi e bombe. Egli è una creatura della Città Imperiale.

Fino all'ultima sfumatura della sua insipida visione del mondo neocon, per non parlare della recitazione monotona dell'eccezionalismo americano, sembra essere nato all'interno del Congresso, cresciuto da politici e formato dai portavoce della Camera.

Marco Rubio non è altro che un repubblicano amante dello stato militare. Quando parla di ripristinare la grandezza americana, intende attraverso l'agenzia imperiale di Washington. Non ha alcuna affinità con Harding, Coolidge o Eisenhower. Nessuno di loro era intento a setacciare la Terra per dare la caccia ai mostri, come propone Rubio in ogni discorso.

Ogni volta che questo sapientone ingenuo castiga Obama per una leadership debole e un presunto fallimento in Siria, Libia, Iraq, Yemen e innumerevoli altri posti, il fantasma di John Quincy Adams dovrebbe rivoltarsi nella tomba. Rivoltare il globo come un calzino alla ricerca di mostri da distruggere, è esattamente ciò che vuole questo piccolo Napoleone.

Allo stesso modo, nessuno dei grandi repubblicani del passato avrebbe strappato un accordo commerciale come quello conquistato a fatica con l'Iran, come invece Rubio non smette mai di dire. La sua opposizione alla pace e alla sanità mentale, infatti, è una prova schiacciante.

Il Partito della Guerra a Washington e Tel Aviv ha trascorso gli ultimi 30 anni a tessere un tessuto di menzogne ​​sul regime iraniano, perché entrambi hanno bisogno di un nemico al fine di mobilitare i loro collegi elettorali nazionali. La verità è che nonostante i loro ammonimenti teocratici all'Impero americano dopo che venne terminato in modo pacifico il regno cruento della Shah, gli iraniani non hanno mai aspirato a costruire armi nucleari, non hanno condotto neanche una frazione del terrorismo punito da Washington con droni, bombe e missili, e non hanno mai minacciato la sicurezza del popolo americano.

Nel denunciare l'accordo iraniano, Rubio sta abbracciando il trentennale tessuto di bugie di Washington ​​sull'Iran e la politica estera distruttiva neocon di cui non è che un'estensione funesta.

Di buono in Trump c'è che in questo frangente è il solo che può fermare il senatore Marco Rubio. Solo l'enfasi sfacciata di Trump può spodestare l'ideologia neocon tossica che ha mutato il GOP nell'ancella del complesso militare/industriale.

Infatti Rubio è il peggio che abbiano partorito i neocon di Washington. Anche George Bush non è stato convinto a bombardare Teheran, a causa della magrezza delle prove e delle terribili implicazioni scaturenti un genocidio contro una nazione innocente composta da 80 milioni di vite.

Eppure l'impettito senatore della Florida, che non sa neanche cosa significhi il Senato, ma trasuda pretese napoleoniche e manie di grandezza, potrebbe facilmente fare di peggio.

Questo ci porta a quello che c'è di cattivo in Trump. Anche se Trump parla di una tempesta populista e rimprovera l'Impero di Washington con l'insolenza che merita pienamente, le sue proposizioni sono fondamentalmente sbagliate. Egli insiste sul fatto che i mali della nazione derivino da politici incompetenti che fanno cattivi affari.

Ma questo non è corretto. Il problema sono le cattive politiche e le idee distruttive nelle mani di politici in carriera, i quali sono estremamente competenti ad orchestrare la macchina dello stato contro la libertà e la prosperità dei suoi cittadini.

Nella gerarchia delle cose che necessiterebbero un cambiamento radicale, i cavalli di battaglia di Trump — il NAFTA, le pratiche commerciali cinesi, i clandestini e il pericolo di rifugiati musulmani — sono un'inezia. Lo stesso vale per la salvaguardia del Secondo Emendamento o la costruzione di una nuova versione della Trump Tower sul Rio Grande.

Il fatto è che Trump ha modellato la sua piattaforma elettorale, apppellandosi opportunisticamente alle sensazioni più timorose e bigotte dell'elettorato. Non ha assolutamente una parvenza di programma di governo coerente — e nemmeno uno incoerente!

Invece il suo tono è costituito da retorica e travasi di bile. Si basa sulla proposizione estremamente pericolosa che ciò di cui ha bisogno Washington, è un affarista furbo che possa gestire meglio le agenzie governative in patria e che faccia correre ai ripari i leader all'estero.

Potreste chiamarla sindrome dell'Uomo sul Cavallo Bianco, e provare pietà per il cavallo.

Ma non abbiate pietà per la nazione. Purtroppo le persone ottengono sempre ciò che si meritano. Hanno permesso ad entrambi i partiti politici e alle agenzie governative di tradirli impunemente.

Oggi c'è una carenza di nuovi posti di lavoro in America, per esempio, perché il Partito Democratico protegge come un cane da guardia la più grande agenzia di distruzione dei posti di lavoro nel paese.

Vale a dire, le cosiddette leggi di base sul lavoro: l'imposta sui salari per la previdenza sociale, il salario minimo e il NLRB. Queste reliquie del New Deal sono le prove di come i democratici siano sensibili ai gruppi di pressione — cioè, ai sindacati.

Ma in un mercato globale in grado di mobilitare il lavoro da ogni risaia e borgo remoto del pianeta, il protezionismo permesso ai sindacati industriali mette in pericolo i pochi posti di lavoro rimanenti nel settore manifatturiero. Allo stesso tempo, il salario minimo impedisce la nascita di nuovi posti di lavoro nel settore dei servizi, mentre il mito dell'assicurazione sociale — tra cui l'Obamacare — spinge i datori di lavoro a non assumere.

Detto in modo diverso, la cosa più stupida che Washington possa fare per un posto di lavoro da $40,000 l'anno, in un'economia in cui il lavoro è troppo caro e non competitivo rispetto alla gran parte del mondo, è quello di chiedere $17,000 in imposte sui salari e imporre l'Obamacare ai datori di lavoro prima che i lavoratori ricevano un centesimo della loro paga.

E, no, la soluzione non è quella d'abolire la previdenza sociale e gettare per le scale i vostri nonni. Al contrario, se l'organizzatore delle comunità che è finito casualmente alla Casa Bianca in base alla sua retorica anti-guerra non avesse sposato l'ideologia insensata "dell'assicurazione sociale", avrebbe potuto abolire i $1,200 miliardi l'anno d'imposte sui salari — il martello che abbatte lo standard di vita del lavoratore medio giorno dopo giorno — e sostituirli con una tassa sui consumi del 10%.

Inutile dire che in una nazione da 252 milioni d'adulti, in cui solo 123 milioni lavorano a tempo pieno, potremmo arrangiarci con meno consumi e più ore di lavoro e produzione — quindi dovremmo tassare i primi, non i secondi. Infatti una nazione che sta invecchiando e che sta diventando più grassa e più scema mentre guarda la TV o bighellona su Internet otto ore al giorno, dovrebbe preoccuparsi meno dello shopping e più del lavoro — o finirà in bancarotta sociale e fiscale tra un decennio o giù di lì.

Allo stesso modo, il grande peso sul lavoro imposto dalla previdenza sociale potrebbe essere ulteriormente alleviato con l'imposizione di un test più stringente suoi propri mezzi. In ogni caso, pochi pensionati hanno guadagnato nell'effettivo una cifra vicina ai $450,000 tra previdenza sociale e Medicare mediante i loro contributi.

Infatti tassare i ricchi che giocano a golf in Florida e raccolgono $50,000 l'anno tra prestazioni del Medicare e della previdenza sociale, è stata una misura di facile attuazione da parte del grande pensatore ora in carica alla Casa Bianca. Ma quando si tratta di nutrire il racket del lavoro organizzato, il cervello viene spento e s'agisce senza pensare.

Alla fine l'America si trova su un pendio scivoloso verso la bancarotta, perché il welfare/warfare state sta soffocando quello che una volta era un capitalismo prospero e una società libera e resiliente che vedeva scarse intrusioni da parte della macchina dello stato.

Ma ora entrambi i partiti sono diventati ancelle dello stato. Domiciliati nella Città Imperiale, da tempo hanno tradito i loro principi fondanti a favore della permanenza in carica, il potere e il racket dei gruppi di pressione che li tengono in carica.

Forse lo slancio sorprendente e palpabile di Trump verso la Casa Bianca avrà un risvolto salvifico. La sua campagna incessante contro i "politici" e i racket di Washington potrebbe abbattere le ipocrisie di entrambi i partiti.

Ci potrebbero essere sorti peggiori tra le alternative.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


6 commenti:

  1. "Infatti una nazione che sta invecchiando e che sta diventando più grassa e più scema mentre guarda la TV o bighellona su Internet otto ore al giorno, dovrebbe preoccuparsi meno dello shopping e più del lavoro — o finirà in bancarotta sociale e fiscale tra un decennio o giù di lì." Questo passaggio è applicabile a tutti i paesi occidentali, purtroppo. Però poi la gente si sente rinfrancata, come quando in Italia parla la Camusso di turno, che a proposito di disoccupazione giovanile, l'altro giorno in visita in puglia ebbe il coraggio di offrire come soluzione, la patrimoniale, non una novità, intesa per finanziare un piano giovani. Non riesco a capire il nesso tra patrimoniale e disoccupazione giovanile, premesso che gli italiani già ne paghino di patrimoniali...... come sempre per i marxisti, il problema è nelle disuguaglianze....... ma che bravi!

    Read more: http://francescosimoncelli.blogspot.com/#ixzz4AKb8994k

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  2. Il compianto Pannella ha coniato, per l'Italia, il neologismo "monopartitismo imperfetto", che non necessita di particolari spiegazioni tanto è palese nel significato.
    E, come nota Stockman, è situazione diffusa in tutto l'Occidente.
    Pertanto, l'elettore si trova sempre a scegliere "il meno peggio" sia tra i candidati che tra i partiti.
    Nello specifico americano, Trump sembra (sembra) un ricco e furbo indipendente che ha compreso e sfondato in un elettorato stufo dello status quo al potere. Vedremo come andrà a finire, ma ricordando l'isteria del PCI e dei suoi media di fronte alla possibile elezione del rozzo cowboy guerrafondaio Reagan, confesso che auspico la sua vittoria contro la osannata, ma molto più inquietante, rappresentante dello status quo, Hillary.
    Avrei voluto Stockman come Presidente.

    P.S.: sarà una mia superficiale impressione, ma, con tutti i loro difetti e limiti, la stragrande maggioranza dei politici dell'immediato secondo dopoguerra, in Italia e nel mondo, era di una statura nettamente superiore a tutti i loro successori. Li aveva selezionati una guerra immane, sia tra i vincitori che tra gli sconfitti.
    Se confronto la statura dei cosiddetti padri costituenti italiani, pur con tutti i loro limiti e compromessi, con la classe politica conformista attuale, beh, mi è chiaro come il Sole cosa scegliere ad Ottobre.
    Lew Rockwell ha scritto un saggio sul Fascismo presente e prossimo negli USA delle corporations clientelari, del controllo pervasivo, della militarizzazione dell'ordine pubblico. Quel saggio non fa altro che confermarmi nei miei propositi riguardo al referendum di Ottobre.
    Consiglio caldamente a tutti di riflettere bene prima di trascurare una delle poche occasioni di democrazia diretta che ancora ci sono offerte. Dalla padella alla brace mi sembra una scelta sciocca. Pragmaticamente scelgo la padella. Sperando anche che la macchina dei brogli si inceppi.

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    1. http://archive.lewrockwell.com/rockwell/fascist-threat192.html

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    2. Pertanto, l'elettore si trova sempre a scegliere "il meno peggio" sia tra i candidati che tra i partiti.

      Ma è solo una scelta formale. Nella sostanza non cambia proprio nulla.

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  3. La democrazia come mezzo di correzione delle inefficienze statali e come mezzo di responsabilizzazione dei governanti è un disastro. Piuttosto mi viene da dire che funziona al contrario: i politici che fanno più carriera sono quelli che governano peggio, cioè che sperperano più risorse per comprarsi i voti delle clientele.

    Paragoniamo la democrazia al mercato. Supponiamo che per decidere quale auto acquistare, invece di sceglierla tra tanti produttori in concorrenza continua tra loro, come adesso, la dovessimo scegliere democraticamente. Andiamo tutti a votare per le elezioni dei costruttori d'auto: Fiat, Peugeot, Ford, ecc. Supponiamo che vinca la Toyota. Per cinque anni siamo tutti obbligati ad acquistare macchine di questa marca, e per lo stesso periodo la Toyota potrà fare tutti i prezzi che vuole e costringere ad acquistare l'auto anche coloro che non ne hanno bisogno. Solo dopo cinque anni potremmo andare tutti a scegliere eventualmente un'altra marca di auto, che si comporterà più o meno nello stesso modo.

    Difficile immaginare un sistema più inefficiente di questo. E le inefficienze portano alla bancarotta, soprattutto perché l'unica preoccupazione ormai è quella di far rimanere in piedi il sistema delle briciole imbastito con lo stato sociale. L'assuefazione da questo costrutto clientelare è arrivata a livelli impossibili da gestire: così come un drogato cerca di entrare in possesso di una dose di stupefacenti, ossessionato ormai dalla sua dipendenza, senza preoccuparsi della qualità, lo stesso gli elettori sono ossessionati dal conservare i loro trasferimenti sociali senza badare al contenuto dei discorsi proposti dai cosiddetti leader. L'importante è che abbiano la loro dose di trasferimenti sociali.

    In realtà, i leader politici non sono mai esistiti. Ci sono stati solo gli effetti iniziali della droga statale e dello stato sociale. Il viaggio allucinogeno di coloro che assumevano questa potente droga, era semplicemente caratterizzato da illusioni disegnate da persone che spiccavano per retorica e carisma di poco sopra la media. I pusher sono quasi sempre convincenti. E lo stesso vale per i cosiddetti leader politici.

    Lo stato è sempre stato il nemico del libero mercato, e la sua droga si chiama stato sociale. Non sono mai esistiti, quindi, leader politici degni d'essere venerati o ricordati poiché presumibilmente "superiori" a quelli di oggi. Così come non esistono i "meno peggio". Esistono solo i pusher e la droga, tutto il resto è solo un contorno del viaggio allucinogeno di chi vuole drogarsi.

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    1. Se a livello teorico sono d'accordo con te, pragmaticamente osservo che ci sono casi singoli nei quali una giusta convinzione non deve diventare dogma ideologico. Pertanto, non faro' dispetto a mia moglie tagliandomi gli attributi. Ci sono situazioni in cui, secondo me, un convinto libertario antistatalista deve scegliere di non peggiorare la propria situazione favorendo più autoritarismo, più arbitrio, più dirigismo.
      Un referendum propositivo in stile Svizzera non è occasione da trascurare. Tanto peggio tanto meglio non è mai una grande idea.

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