lunedì 7 dicembre 2015

Il cigno rosso





di David Stockman


Ora gli ambulanti della Florida possono farsi da parte. Non possono reggere il confronto con i suzerain rossi di Pechino.

Questi ultimi avevano tracciato una linea nella sabbia prevedendo una crescita del PIL al 7.0%. Il "consenso" dei cosiddetti economisti era d'accordo su un 6.8% per il terzo trimestre, dando così alle autorità due punti decimali di margine.

Perbacco ce l'hanno fatta!

Anche così, il Ministero della Verità cinese ha dovuto armeggiare col deflatore del PIL (per la seconda volta quest'anno) al fine di spaccare il millesimo, pardon, il decimale. E questo è esattamente il punto.

Nessuna economia al mondo afflitta da tutte le turbolenze nei dati commerciali come quella della Cina, o dalla volatilità nel suo settore immobiliare, o dalle sue industrie vacillanti, potrebbe sfoggiare cifre del PIL assolutamente stabili trimestre dopo trimestre.

Infatti le probabilità che tali cifre rappresentino nient'altro che propaganda sono decisamente alte, e ciò solleva un'ulteriore domanda: perché Wall Street e la sua stampa finanziaria non se la ridono alla grande quando vengono rilasciati questi numeri?

E invece no, il Wall Street Journal ha preso tutto molto sul serio:

Il risultato è migliore di quello previsto — un sondaggio del Wall Street Journal prevedeva un aumento mediano del 6.8% — ed è probabile che rinnoverà il dibattito sulla precisione delle statistiche di crescita della Cina [...]. Parlando ad un evento per promuovere l'imprenditorialità a Pechino, il premier Li Keqiang ha detto: "Anche se del 6.9%, si tratta lo stesso di un tasso di crescita di circa il 7%."

Proprio così. Il capo comunista in seconda della Cina sta promuovendo lo "spirito imprenditoriale" mentre scandisce la propaganda della pianificazione centrale al punto decimale.

Potreste trovare questa storia alquanto divertente, ma c'è un messaggio più grande. Vale a dire, la vera dimensione dell'economia cinese è inconoscibile. Ma questo non impedisce a Wall Street di prendere sul serio ogni parola proferita dagli statalisti incapaci della Cina, a cui piace spaccare al punto decimale i tassi della crescita.

In realtà, Wall Street è diventato così intellettualmente confuso a causa della sua dipendenza dal gioco d'azzardo permesso dalla banca centrale, che non ha più idea di quale sia la realtà. È per questo che la prossima crisi arriverà come una sorpresa rispetto alla crisi Lehman, e sarà molto più brutale e incontenibile.

Eppure l'evidenza di un crash cinese è proprio in bella vista. E ciò che viene allegramente ignorato non è solo la palese incongruenza nei suoi numeri economici — come ad esempio il fatto che il consumo d'elettricità sia cresciuto ad un tasso dell'1.3% rispetto allo scorso anno — o che il suo commercio con il mondo esterno si sia drasticamente ridotto, con le importazioni in calo del 23% e le esportazioni scese del 3-6% negli ultimi mesi.

Invece la prova che la Cina sia un incidente annunciato visto al rallentatore, si trova proprio nei numeri truccati di Pechino. A quanto pare nessuno ha detto ai suoi governanti che emettere credito al doppio del tasso di crescita del reddito nominale finirà per creare la madre di tutti i crolli deflazionistici.

Detto in altro modo, se il modello di debito/PIL indicato di seguito viene perseguito abbastanza a lungo, il cantiere a cielo aperto più grande del mondo cadrà in silenzio. Tutto ciò che potrà essere costruito, sarà costruito; qualsiasi flusso di cassa che potrà essere ingolfato con più debito, sarà ingolfato; ogni pretesa che le istituzioni finanziarie siano solvibili, vedrà un'impennata dei default; e l'illusione di Wall Street, secondo cui i pianificatori centrali del capitalismo rosso hanno una presa salda sull'espansione galoppante della Cina, si sfalderà in una nuvola di fumo.

Di conseguenza, l'unica cosa che conta davvero è che il credito sta crescendo a quasi il 12%, il doppio rispetto al PIL nominale. E, com'è anche evidente dal grafico, l'accumulo di questo debito enorme e aberrante sta andando avanti già da un bel po'.

Infatti risale all'epoca di Deng, quando egli scoprì la stampante monetaria nel seminterrato della PBOC e concluse che il potere del partito comunista poteva essere meglio preservato sfruttando quell'aggeggio infernale piuttosto che la massima fallimentare di Mao secondo cui il potere fuoriusciva dalla canna di un fucile.

In ogni caso, perché qualcuno sano di mente dovrebbe pensare che le linee lungo l'ascissa possano ancora continuare ad libitum? Se supponiamo altri 10 anni con una crescita del credito al 12%, per esempio, la Cina arriverà a $90,000 miliardi di debito totale, o il 50% in più rispetto all'ammontare già sconcertante che grava sull'economia statunitense.

Nonostante la crescita del PIL nominale della Cina stia scendendo, supponiamo lo stesso che il reddito nominale segua il trend roseo proiettato dai suzerain rossi. Vale a dire, che in qualche modo la Cina riesca a raggiungere un 6% di crescita nominale ogni trimestre per i prossimi dieci anni. Il risultato sarà $17,000 miliardi di PIL.

Malgrado ciò, un rapporto totale di leva del 5X è una ricetta sicura per una deflazione schiacciante. In realtà, non è mai accaduto prima d'ora, tranne che per il Giappone dopo il 1990; e il Giappone, oltre ad uno stato di diritto commerciale, contrattuale e fallimentare, aveva anche una parvenza di mercati funzionanti separati dallo stato.

Al contrario, quando la Cina si immergerà completamente nella sua inesorabile spirale deflazionistica, i governanti del capitalismo rosso non avranno altra scelta che ricorrere agli strumenti preferiti da Mao — furgoni della polizia e mitragliatrici — per sedare una cittadinanza indignata. Dopo tutto, è stato Deng a dire ai capitalisti cinesi di questa generazione quanto fosse glorioso essere ricchi, ma non ha spiegato che la pseudo-prosperità della stampante monetaria finisce in ultima analisi con un crack-up boom.

Detto in altro modo, la recente salita della borsa cinese durata 18 mesi e il successivo collasso, il quale ha mandato in fumo $5,000 miliardi di falsa capitalizzazione di mercato, hanno dato luogo ad un panico e ad una risposta senza cervello da parte di Pechino, tra cui un piano per salvare i miliardari. I governanti rossi temevano che i 90 milioni di speculatori arrabbiati sarebbero stati leggermente superiori alla loro combriccola di partito formata da 70 milioni di persone — soprattutto perché la maggior parte di questi ultimi fa parte dei primi.

Ma cosa accadrà quando i prezzi orrendamente gonfiati di terreni e immobili soccomberanno alla deflazione? E "orrendamente" non è una parola troppo forte: in molte aree urbane i prezzi delle case hanno raggiunto il 15-30X del reddito mediano.

Beh, in Cina ci sono 65 milioni d'appartamenti vuoti troppo cari, perché i governanti rossi hanno raccontato agli speculatori e alla classe media emergente che i prezzi delle case non sarebbero mai e poi mai calati — che erano addirittura migliori di un salvadanaio. Di conseguenza, l'ultima fase del folle boom edilizio della Cina sarà la probabile costruzione maniacale di prigioni per accogliere i milioni di cittadini arrabbiati, destinati a sperimentare la versione cinese (sotto steroidi) della depressione del 1929.




L'altro numero che è stato drasticamente mal interpretato riguarda la crescita degli asset a reddito fisso. Inutile dire che sebbene sia stata definita "deludente", in realtà è un sintomo della deformità dell'economia cinese. Se Pechino avesse una qualche speranza d'evitare un atterraggio di fortuna, gli investimenti fissi nelle sue strutture pubbliche sovradimensionate e nella capacità industriale in eccesso risulterebbero fortemente negativi, e non in crescita al 10.6%.

A causa dei paraocchi keynesiani di Wall Street, viene allegramente soprasseduta la dipendenza fatale della Cina da progetti faraonici pubblici come gli aeroporti inutilizzati, le stazioni ferroviarie, le autostrade e i ponti. Questo perché si presume che in un modo o nell'altro la Cina sposterà la sua economia verso i servizi e i consumi, proprio come hanno fatto gli Stati Uniti.

Vediamo un po'. Quando la Cina arresterà la sua baldoria di prestiti, questi consumatori dovranno finanziare i loro acquisti tramite i redditi effettivi. Ma in Cina la quota preponderante del reddito familiare non viene guadagnata dagli asset a reddito fisso, dagli immobili e dall'esportazione di beni economici verso i mercati sviluppati già saturi e infatuati dal debito?

Basta considerare che in tre anni la Cina ha prodotto più cemento di quanto abbiano prodotto gli USA durante tutto il XX secolo. Quando infine la smetterà di costruire strade, appartamenti e fabbriche, non saranno solo i forni per cemento a fermarsi, ma anche i trasportatori di ghiaia, gli impianti chimici, le flotte di camion pieni di cemento, i fornitori di macchine per le costruzioni, i fornitori di servizi nei cantieri e molti altri ancora.

Allo stesso modo, quando collasserà la domanda d'acciaio per le costruzioni e il resto del mondo erigerà barriere nei confronti delle esportazioni d'acciaio della Cina, come sicuramente accadrà e sta già accadendo, gli effetti di rimbalzo sulla Cina saranno inimmaginabili. I redditi dei baroni del carbone e dei lavoratori negli altiforni hanno già preso una bella batosta, e la spirale discendente è appena iniziata.

E aspettate che i rivenditori d'auto cinesi vengano ingolfati con una marea d'auto invendute. Poi la sua industria automobilistica da 25 milioni d'unità cadrà in una depressione simile a quella 1929, quando la produzione di Detroit scese da 6 milioni di vetture/anno a meno di 2 milioni.

In breve, l'economia keynesiana ha gravato il mondo moderno con molti mali, ma l'abrogazione della legge di Say non era tra questi. Si può avere una baldoria di credito facile una tantum, ma una volta che finisce la spesa al consumo torna ad essere finanziata con le entrate effettive. Il consumo è la conseguenza della produzione e del reddito, non la sua causa.

Alla fine il crack-up boom distrugge i redditi insostenibili emersi durante la fase di boom nei settori delle materie prime, dei beni strumentali e dei beni di consumo durevoli. Una volta che scompariranno questi redditi fantasma, in Cina scenderanno anche il consumo e la spesa.

Detto in altro modo, il capitalismo rosso della Cina è il nuovo cigno nero. Non c'è nulla di razionale, stabile o durevole nella patria del capitalismo rosso. Inoltre le conseguenze del suo crollo saranno letteralmente sconvolgenti.

Questo perché negli ultimi anni ha rappresentato molto di più di un terzo della crescita del PIL mondiale.

Dalle viscere delle miniere di ferro in Australia fino alla cima delle inutili torri di Dubai, l'economia globale è stata distorta dalla stampa monetaria ventennale delle banche centrali. Ovunque le economie hanno ceduto ad un eccesso di costruzioni, consumi, finanziarizzazione e speculazione instabile e pericolosa.

Quindi dimeticatevi del meme di Wall Street secondo cui l'economia statunitense è la camicia meno sporca nella cesta dei panni sporchi del mondo. Questa è una fesseria, e il mercato azionario e gli asset di rischio si stanno dirigendo verso uno strapiombo.

Poi Wall Street scoprirà che l'economia mondiale verrà inaspettatamente scombussolata quando i suzerain di Pechino non saranno più in grado di perpetuare lo Schema Rosso di Ponzi.

Ma proprio come l'ultima volta, sarà qualcosa che esploderà loro in faccia senza che se ne accorgano prima. È questa la fine che hanno fatto gli immobili usati come bancomat dagli americani, attività alimentata dal boom di Greenspan e che ha dato forza a quell'illusione secondo cui la spesa al consumo rappresenva la forza motrice della vita economica.

Da un picco del 9% in rapporto al reddito individuale disponibile, o quasi $1,000 miliardi prima della crisi, i MEW (mortgage equity withdrawal) sono scesi in territorio negativo sin da allora. Cioè, hanno soppresso i consumi, non li hanno stimolati. Non uno dei cento economisti di Wall Street avrebbe potuto proiettare correttamente questo grafico nel 2007, quando stavano sbavando all'idea di un'economia stabilizzata dal potere pianificatore centrale.




Inutile dire che quando si tratta di elefanti nella stanza — il castello di carte dello Schema Rosso di Ponzi — sbavano sempre e spengono il cervello.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


3 commenti:

  1. Continuo il mio commento 2.4 ne "La grande deformazione economica dell'Italia".

    I risparmiatori cinesi, sottosviluppati, ignoranti ed ignari, hanno abboccato all'esca della prosperità senza fatica. All'illusione politicofinanziaria che è il sistema occidentale edificato sul nulla, la vera sostanza del fiatmoney.
    E, per loro sfortunata storia, si sono fatti infinocchiare e depauperare da un potere totalitario e centralista vecchio stile, molto meno sofisticato del "soft/hard power" che domina il macroaggregato occidentale.
    Per loro, ultimi arrivati nel sogno della modernità e della crescita infinita bruciando tutte le tappe in pochi decenni, il risveglio è e sarà brusco, ma forse il buddismo ed il taoismo salveranno quelli che rinsaviranno prima.

    Dalle nostre parti, invece, chissà se basterà il pauperismo misericordioso del Papa argentino o ci si affiderà all'autoritarismo conservatore e rassicurante che viene dal freddo...

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  2. sempre più convinto che il mondo, nelle sue strutture politico finanziarie, tra dieci anni sarà completamente diverso da ciò che è oggi.... anzi, forse ci vorrà anche meno....

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  3. Oltre alle commodity elencate da Stockman nell'articolo, non dobbiamo dimenticarci anche del petrolio il cui abbattimento di prezzo è anche causato dalla produzione degli arabi. Non solo, sebbene cisiano alcuni analisti che vedono una luce per il 2017, nel frattempo la tempesta deflazionistica intorno all'oro nero continuerà ad abbattersi senza esclusioni di colpi tra Arabia Saudita, Russia e USA. Sono questi i player rimasti in gioco e continuano a rimanere in gioco soprattutto grazie alla ZIRP. La capacità inondante il mondo non serve altro come arma per mettere fuori gioco gli altri partecipanti... anche a costo di intaccare i propri bilanci. Addirittura Goldman Sachs prevede che il punto di flesso arriverà altr prezzo di $20/barile.

    C'è una cosa da aggingere a questo scenario. Sebbene in questo momento l'offerta di petrolio supera di grnal unga la domanda, c'è una cosa che potrebbe temporaneamente rimescolare le carte in tavola. Cosa? Una recessione. Nel bel mezzo di una recessione è possibile trarre enorme profitto dall'arbitraggio sui prezzi del petrolio. E' l'unico evento che potrebbe mettere i bastoni tra le ruote del piano saudita. Infatti il petrolio, insieme ad oro e argento, è una forma di hedging attraente. Di conseguenza una recessione potrebbe creare grosse opportunità sul prezzo, rimescolando le carte dal lato della domanda. Non stiamo, ovviamente, parlando di una strategia "buy & hold", bensì di movimenti di volatilità bruschi e inaspettati. Quindi è necessario tempismo e velocità. E come sto mettendo in guardia da un po' di tempo a questa parte, una recessione è un evento più vicino che mai: http://vonmises.it/2015/11/18/e-tempo-di-recessione/

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