mercoledì 4 febbraio 2015

2015: L'anno della crisi?





di Alasdair Macleod


Il 2014 si è chiuso con due sviluppi inquietanti: la forza del dollaro e un crollo dei prezzi delle materie prime.

Di solito li si considera come un unico evento, ma il continuo calo del prezzo del petrolio rivela che sono sequenziali: prima c'è stata una maggiore preferenza per i dollari rispetto alle altre valute, poi suddetta preferenza ha interessato tutte le valute tranne quelle più deboli, il tutto a scapito delle materie prime e dell'energia. Si tratta di due passi lungo un percorso che dovrebbe portare ad un crollo globale.

La forza del dollaro americano è stato il primo avvertimento: le cose si sono messe male; con conseguente aumento dei tassi di interesse in molte delle economie emergenti, poiché le loro banche centrali hanno cercato di controllare la fuga degli investimenti. Dal momento che il panorama economico attuale è figlio di un lungo periodo di espansione del credito, questi paesi sono entrati nella fase di bust del ciclo economico; per loro il 2015 significherà un crollo dell'attività economica, poiché gli investimenti improduttivi accumulati in passato continueranno ad essere liquidati. Secondo la banca dati del FMI, i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo costituiscono $30 bilioni del PIL mondiale, rispetto ai $47 bilioni delle economie avanzate. E' chiaro che un crollo delle prime avrà gravi ripercussioni anche sulle seconde.

Come valuta di riserva mondiale, il dollaro ricopre un ruolo fondamentale per il valore di scambio di tutte le altre valute. Questo nonostante i tentativi di Cina e Russia di commerciare senza di esso. Nel corso degli anni l'economia globale ha fatto un crescente affidamento sul dollaro, proprio perché è cresciuta in relazione agli Stati Uniti. Nel 2000 gli Stati Uniti ricoprivano un terzo del PIL mondiale; oggi ne ricoprono circa un quinto.

Il secondo sviluppo (es. un calo dei prezzi dell'energia e delle materie prime) è stato inizialmente guidato dagli stessi fattori che hanno rafforzato il dollaro, e conferma la crescente probabilità di un crollo globale. Se il calo dei prezzi fosse interamente dovuto ad una maggiore offerta di merci, potremmo gioirne. Tuttavia, mentre si è registrato un certo aumento dell'offerta di energia e delle materie prime, il messaggio è chiaro: la domanda ai prezzi correnti è diminuita in modo imprevisto e ora i prezzi stanno cercando di trovare un nuovo equilibrio. E poiché stiamo considerando la domanda mondiale, questo sviluppo è sfuggito o è stato frainteso dagli economisti che non hanno una prospettiva globale.

Il prezzo del petrolio si è dimezzato negli ultimi sei mesi. Il calo è stata attribuito ad una volontà dell'Occidente di voler mandare in bancarotta la Russia, o alla volontà dell'Arabia Saudita di mandare fuori dal mercato l'offerta di scisto americana. Questi punti di vista non prendono in considerazione il quadro generale: secondo lo Statistical Review 2014 di BP, agli inizi dello scorso anno il consumo mondiale di petrolio ha ampiamente superato l'offerta, 91.3 millioni di barili al giorno rispetto agli 86.8 milioni. Ciò indica che è cambiato qualcosa di fondamentale nel 2014, e quel qualcosa può essere solo un improvviso calo della domanda nel secondo semestre.

Negli ultimi sei mesi i prezzi del ferro si sono dimezzati, ma altri prodotti chiave, come il rame che è sceso solo dell'11% nel corso dello stesso periodo, sembra che non si siano ancora adeguati al crollo dei mercati emergenti. Ciò è conforme alla teoria del ciclo economico, perché nelle prime fasi di una crisi le imprese rimangono fedeli ai loro piani d'investimento nella vana speranza che le condizioni migliorino. Possiamo prevedere che il crollo della domanda di energia si intensificherà e si diffonderà ad altre materie prime industriali non appena i produttori inizieranno a gettare la spugna e i loro piani d'investimento verranno infine abbandonati.

Pertanto il contesto economico per l'economia globale non è incoraggiante. Né lo era all'inizio del 2014, quando era ovvio che sarebbe stato un anno difficile. La differenza un anno dopo è che le preoccupazioni per il futuro sono più cristallizzate. L'anno scorso scrissi di come ci stessimo dirigendo verso un secondo evento Lehman e che una crisi finanziaria e valutaria sarebbe potuta spuntare fuori in qualsiasi momento. Posso aggiungere solo che la crisi è iniziata e avrà molto da dire quest'anno. Questo è il contesto in cui considereremo brevemente alcune delle altre valute principali e i metalli preziosi.



Il Giappone e lo Yen

La compiacenza mainstream sulle scelte del Giappone è davvero incredibile. Il Giappone si è impegnato in un'operazione di inflazione monetaria che se continuata distruggerà lo yen. La Banca del Giappone sta finanziando il doppio del disavanzo pubblico (¥41 bilioni) mediante l'emissione di nuova moneta, parte della quale viene utilizzata per acquistare ETF giapponesi e REIT. Di conseguenza i prezzi di bond, azioni, e mercati immobiliari commerciali sono diventati irrilevanti. "L'Abenomics" consiste nel finanziare il governo e gestire i mercati con la scusante di stimolare l'economia e gli spiriti animali. In realtà con più di ¥1.2 trilioni di debito pubblico, il governo è finito in una trappola del debito da cui non c'è via d'uscita. L'Abenomics è stata inaugurata due anni fa, sin da allora lo yen è sceso da 75 a 120 rispetto al dollaro, o del 37%.

Invece di imparare dalle lezioni delle iperinflazioni precedenti, gli economisti mainstream seguono la linea ufficiale e ignorano i fatti: il Giappone è un gigantesco welfare state popolato da una popolazione di pensionati sempre maggiore e insostenibile. Rappresenta la nazione avanzata da cui stanno prendendo esempio le altre nazioni. Le previsioni secondo cui l'economia giapponese si riprenderà nel 2015 sono illusorie: in realtà il Giappone sta distruggendo la sua valuta e la ricchezza del suo settore privato.



L'Eurozona e L'Euro

Nel breve termine l'Eurozona dovrà fare i conti col suo problema greco. Se il prossimo governo greco smetterà di fare la voce grossa davanti agli altri membri della zona Euro e alla BCE, è ancora da vedere. I problemi dell'Eurozona hanno radici molto più profonde della Grecia, aggravate dai politici che sono stati riluttanti a utilizzare il tempo acquistato dalla BCE per affrontare le difficoltà strutturali dei loro Paesi. Il risultato è il blocco del nord più forte (Germania, Paesi Bassi, Finlandia e Lussemburgo) che viene paralizzato dal peso degli stati del Mediterraneo, più Portogallo e Francia. Inoltre Germania e Finlandia hanno subito un ulteriore colpo dovuto alla perdita di preziose attività di esportazione in Russia.

Nei prossimi mesi la zona Euro affronterà molto probabilmente una carenza di gas dalla Russia attraverso il gasdotto trans-ucraino, e la deflazione dei prezzi dell'energia e di altre materie prime. La deflazione dei prezzi porta a considerare altri due punti, uno falso e l'altro vero: prezzi più bassi sono sinonimo di recessione (falso) e il calo dei prezzi aumenta il peso del debito reale (vero). La conseguenza è che la BCE sonderà vari modi per espandere l'offerta di moneta in modo da fermare il diffondersi di una crisi economica nella zona Euro. In breve, svilupperà probabilmente la propria versione dell'Abenomics, l'unica differenza è che il Giappone ha iniziato prima.



Stati Uniti e Regno Unito

Il Giappone e la zona Euro totalizzano $18.3 bilioni di PIL, poco più quello degli Stati Uniti, e in aggiunta a quello delle economie emergenti e in via di sviluppo otteniamo un totale di $48 bilioni, ovvero il 62% del PIL mondiale è costituito da nazioni che stanno conducendo il mondo verso un crollo economico. Così quando consideriamo le prospettive per gli Stati Uniti e il Regno Unito, che insieme producono $20.4 bilioni o il 26% del PIL mondiale, le prospettive non sono affatto buone. Il Regno Unito come nazione commerciale esposta alla zona Euro è a rischio, meno gli Stati Uniti che non sono così dipendenti dal commercio internazionale.



Metalli Preziosi

L'analisi svolta fin qui ha riguardato i driver economici primari su cui si basa tutto il resto. Il rischio di un crollo globale può essere definito un evento di primo ordine, mentre la possibilità di una crisi bancaria, di un default dei derivati o di un'altra dislocazione dei mercati causata da un crollo potrebbero essere definiti un evento di secondo ordine. E' inutile fare ipotesi circa la possibilità e la tempistica di quegli eventi di secondo ordine che potrebbero verificarsi nel 2015, perché essi dipendono in ultima analisi dalla performance dell'economia globale.

Tuttavia, quando agli investitori diventerà chiaro che l'economia globale starà entrando nell'ennesimo crollo, è sicuro che il rischio finanziario e sistemico degenereranno. Giudicare questa escalation monitorando i mercati sarà difficile perché le banche centrali, i fondi di stabilità dei cambi e i fondi sovrani intervengono sovente nei mercati, generando segnali di prezzo ingannevoli.

I metalli preziosi sono gli unici asset fuori dal controllo degli stati. Almeno nel lungo termine. Nel breve termine possono distorcere i mercati dei metalli preziosi espandendo la quantità di derivati, e vi è un nutrito corpo di prove che dimostra come questi metodi siano stati utilizzati negli ultimi anni. Gran parte di questa distorsione è arrivata dalle banche d'investimento e dalle bullion bank, le quali stanno festeggiando con bond, azioni e derivati, e per le quali l'oro è un asset trascurabile. Questo compiacimento verrà smorzato ad un certo punto, e il catalizzatore più probabile è una crisi economica globale.

I pericoli di valute inflazionate all'inverosimile sono chiaramente illustrati dalla Fiat Money Quantity, che ha continuato ad espandersi ad un ritmo allarmante come mostrato nel grafico qui sotto.




La FMQ misura la quantità di moneta fiat emessa in sostituzione dell'oro come denaro, quindi è una misura che tiene traccia di un'espansione monetaria scoperta. Arrivata a $13.52 bilioni lo scorso novembre, è $5.68 bilioni al di sopra del percorso di crescita pre-Lehman, prova evidente di una moneta in forte deprezzamento in termini monetari. Regolando il prezzo dell'oro a questo deprezzamento otteniamo un prezzo di $490 a quel tempo e a quella quantità, quindi l'oro si è all'incirca dimezzato in termini valutari reali dopo la crisi Lehman.



Conclusione

Ci sono prove convincenti che il 2015 vedrà un crollo dell'attività economica mondiale. Stando così le cose, i rischi finanziari e sistemici aumenteranno. Possiamo prevedere che suddetto crollo indebolirà le azioni, le proprietà e, infine, i mercati obbligazionari, asset che mostrano tutti un prezzo da stabilità economica. Anche se questi mercati sono sempre più controllati da un intervento delle banche centrali, è pericoloso presumere che questa presunta stabilità continuerà a persistere all'accumularsi di rischi finanziari e sistemici.

I metalli preziosi sono, in ultima analisi, avulsi da una manipolazione dei prezzi di lungo termine. Inoltre sono l'unica classe di asset che oggi è venduta ad un prezzo inferiore al dovuto, dato l'enorme aumento della quantità di moneta fiat dopo la crisi Lehman.

In breve, il 2015 si preannuncia un anno molto brutto per le valute fiat e molto bello per l'oro e l'argento.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


2 commenti:

  1. Non si può esser certi di alcuna data. Ma, qualsiasi cosa accadrà, non potrà e non dovrà esser considerata come un cigno nero. Almeno da chi conosce la Teoria Austriaca del ciclo economico.
    Perché quando si comprende bene quel semplice grafico, peraltro non nuovo da queste parti, si resta attoniti.

    E' la rappresentazione grafica di una disperata follia. E' il segno (la scritta sul muro) che sta fuggendo di mano ed irrimediabilmente un intero sistema-mondo, un'intera realtà che si scopre messinscena arrogante, globale ed illusoria. Ed è il segno di un clamoroso default mentale, di inossidabili convinzioni accademiche, finanziarie e soprattutto politiche che vacillano scoprendosi profondamente errate, distruttive ed insostenibili, anche se disperatamente negate.

    Tutto ciò che è stato costruito su promesse inconsistenti ed inattuabili verrà giù, più o meno velocemente.
    Il Novecento dovrebbe, così, concludersi.
    Ma siccome è stato il secolo dell'illusione collettiva, dello statalismo socialista, del primato della politica sulle scelte volontarie individuali, e siccome questo trend secolare ha conformato, per diverse generazioni, il sentire profondo della stragrandissima maggioranza degli individui, ebbene, la conclusione drammatica di questo trend potrebbe essere catastrofica se pilotata politicamente dallo status quo novecentesco nel modo peggiore.

    Il Settecento è finito nel 1815 al Congresso di Vienna, dopo le guerre napoleoniche.
    L'Ottocento è finito nel 1914/15 con la Grande Guerra.
    La Storia non è rassicurante; non fa la rima, ma tende a ripetersi.

    Una volta provammo ad immaginare scenari futuribili.
    Per individualismo metodologico, ora mi auguro di riuscire a conservare la cosa davvero più preziosa che ci sia: la vita mia e dei miei cari. Perché, comunque vada, un vecchio adagio ricorda che finché c'è vita c'è speranza.

    Mi ripeto, ma qui è consentito perché repetita iuvant: nel nostro recinto, avremo più propaganda e più sorveglianza, più fiatmoney svalutato e più spauracchi esterni ed interni.
    Per molti versi, una situazione italiana già vissuta negli anni Settanta.
    Ma allora le dimensioni dei problemi erano più circoscritte di quelle odierne. C'era una guerra fredda da non perdere, che bloccava il procedere degli eventi.

    E, forse, stanno proprio lavorando per ricrearne un'altra. Un modo già sperimentato per provare a rallentare e fermare il tempo. In sè, una lucida follia. Ma probabile in assenza di soluzioni migliori per tutti.

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  2. ho infine letto l articolo di varoufakis. il tipo mi sta simpatico, il contesto è quello che è (una sorta di studio sulle relazioni di lavoro aziendali) e si può creare un dibattito interessante, i germi gettati, e questa è l insidia, sono troppi per il detto contesto. l autore non è chiaro, e questo mi disturba. non so se è il contesto del lavoro o lo fa apposta. ci sarebbe anche da chiarire alcuni concetti. ma la cosa più infida è lo statalismo sotteso che però, grata gratta, emerge. non tanto nell analisi della relazione tra grande impresa e potere; emerge invece quando nella nota di hayek varoufakis dice, attaccandolo, che hayek se la prende con lo stato "persino" per gli abusi delle grandi imprese. lì sono saltato. come se invece lo stato fosse una verginella al proposito. che aderendo al suo linguaggio (che non condivido perché trovo possa produrre ambiguità) e pensiero, se ci sta una zona libera dal mercato, ed altamente gerarchica, molto ma molto più della grande impresa, è proprio lo stato. che "istituzionalizza" i fasci di contratti dal punto di vista politico e del potere proprio come fa la grande impresa in quello economico (il diritto societario non è diritto naturale). in questo senso, in campo politico, rothbard tenta di annullare l effetto istituzionale tornando alla contrattualizzazione totalmente privata dell organizzazione sociale. ma non "conviene": la liberta ha un costo. rothbard politico sta a coase economico, solo invertendo la prospettiva dell analisi. in certi casi è più economico cederne un poco. sia nell organizzazione del lavoro, sia nell organizzazione sociale. altrimenti... dinamite blah, o thoreau. coase lo dimostra per l impresa. ci sta un nesso tra divisione del lavoro, grande impresa, organizzazione gerarchica del potere. istituzionalizzare conviene, ma "fino ad un certo punto".troppo poco: diseconomicita (anche di "vita"). troppa: riduzione in schiavitù. in entrambi i casi, potere politico ed economico, il problema è l accumulazione primitiva. nel caso del potere molto più spesso frutto di sopruso e violenza. che raramente il potere arriva dal basso. ma anche nel caso delle grandi imprese non di rado accade nello stesso modo. vogliamo parlare delle imprese petrolifere? inoltre è più facile "contrattare" potere (una volta i sindacati lo facevano) all interno di un impresa che di uno stato (ora i sindacati lo fanno per sé). in tal senso è "peggio" wal mart od il governo federale? chi opprime in modo tale che la scelta dell oppresso sia senza "alcuna" possibilità diversa? quindi i distinguo sono parecchi e l argomento complesso. ma se ci sta un punto dove auspicare, seguendo varoufakis, delle relazioni paritarie ed "a ruota", degerarchizzate, ebbene quello proprio il settore maggiormente organizzato gerarchicamente: lo stato. che impudentemente viene difeso, in modo un po' subdolo in due rughe in una nota, quasi subliminalmente, attaccando solo la grande impresa.

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