venerdì 27 febbraio 2015

Una breve dissertazione sulla libertà individuale e sull'infantilizzazione individuale





di Francesco Simoncelli


Essere catturati dal mondo che ci circonda credo sia capitato un po' a tutti. La mente umana tende ad incasellare le azioni, tende a catalogare in modo prevedibile tutte le azioni che accadono intorno all'individuo. La spiegazione naturale per questo tipo di situazione si può ricondurre all'istinto ancestrale che soggiace alla base del nostro cervello, il quale, per impedire che il corpo cada vittima di predatori, risveglia un impulso conservatore che permette all'individuo di riacquistare il controllo delle proprie facoltà e di rimanere rigorosamente vigile in quei casi in cui il sangue freddo risulta l'arma principale con cui difendersi.

Per secoli l'essere umano ha vissuto come preda. Infatti l'inizio della sua storia evolutiva come mammifero di piccole dimensione l'ha costretto a guardarsi costantemente le spalle, ogni ombra poteva nascondere un'insidia, ogni rumore poteva essere l'ultimo che avrebbe sentito. Non poteva far altro che affidarsi al proprio istinto e sperare, in un certo senso, in colpi di fortuna. Sebbene siano passati molti secoli da quando l'essere umano era ancora riconducibile al rango di animale, il nostro percorso evolutivo non è qualcosa che possiamo scrollarci di dosso; soprattutto quando fa parte del nostro genoma e della stratificazione celebrale profonda. E' strabiliante rendersi conto di come l'evoluzione abbia lavorato sul nostro corpo, sul nostro modo di agire. Siamo così "perfetti" e al tempo stesso così imperfetti.

Siamo diventati gli esseri razionali di oggi grazie anche ad una variazione di cibi ingeriti, le cui componenti vitaminiche e proteiniche sono andate a stimolare quelle zone del cervello che erano "sottosviluppate" data la mancanza di molecole necessarie a stimolarle.

L'uomo si è evoluto e con esso le sue facoltà cognitive. E' diventato più abile, più reattivo, più consapevole dell'ambiente che lo circondava. Di certo la nostra evoluzione non si fermerà qui, ma il nostro grado di successo evolutivo è ben più che confermato. Eppure quella parte ancestrale, istintiva, ancora ci perseguita tendendo a farci restare vigili ogni volta che ci confrontiamo con un nostro simile. Nonostante la cooperazione sociale sia stata a tutti gli effetti un'arma vincente per la nostra sopravvivenza nel corso dei secoli, ancora ci guardiamo bene dal fidarci ciecamente del prossimo. Abbiamo quindi bisogno di garanzie, di un modo certo di effettuare interazioni su una base di fiducia saldamente confermata da terzi.

E' giusto che sia così. Ci sono voluti milioni di anni prima che arrivassimo a questo stadio dell'evoluzione umana, e ce ne vorranno altri per progredire oltre. Ma vediamo di analizzare queste presunte garanzie. La prima che viene sicuramente in mente è quella di un sistema legale e giudiziario che punisca chiunque vìoli i diritti di proprietà degli individui. Al giorno d'oggi si pensa che solo lo stato sia in grado di dispensare una dose giusta e adeguata di giustizia, sottovalutando la possibilità di come un mercato privo di vincoli possa offrire soluzioni migliori. Ma di solito questa struttura sociale viene vista come "irraggiungibile" a causa della natura umana che, secondo la maggior parte delle persone, tenderà a soverchiare gli inermi e quegli individui pacifici generando un regno del terrore. Credo sia sciocco rispondere a questa obiezione riducendo l'argomento ad un puerile dualismo tra realtà. Anche se, per assurdo, volessimo raffigurare l'esistenza di due società in cui una fosse preda di comportamenti selvaggi e nell'altra vigesse ordine sociale a fronte di uno stato limitato, è ovvio che un qualunque anarchico sceglierebbe di vivere nella seconda realtà.

L'assenza di uno stato è una condizione necessaria ma non sufficiente per una società libera. Anche perché, la presenza di uno stato non significa assolutamente stabilità giuridica e sociale. Anzi, siamo ben informati di come al giorno d'oggi scoppino guerre civili in Paesi in cui prima vigeva uno stato civile. L'Ucraina, l'Iraq, la Libia sono solo gli ultimi esempi. Quindi c'è qualcosa che non va nell'affermazione secondo cui la società civile finirebbe nel caos semmai uno stato dovesse scomparire per decreto. Non è vero, abbiamo prova del contrario: sebbene ci sia una forte presenza dello stato, la società può cadere lo stesso nel caos a causa di un vuoto nella cosiddetta catena di comando. Ma perché dovrebbe essere, quindi, preferibile una società libera ad un apparato statale? Come spiegato nel saggio di Robert Murphy del link precedente, per sopperire ad una mancanza di autorità di polizia, ad esempio, emergerebbero società private che fornirebbero in concorrenza questo servizio. L'obiezione più comune, infatti, a questa risposta prevede che lo scetticismo della persona media (o almeno, non simpatizzante degli ideali libertari) la porti a concludere che l'esistenza di tante realtà atte a fornire sicurezza potrebbe creare una sorta di guerra continua tra di loro fino a far predominare una su tutte. Sebbene la maggior parte delle persone possa concordare su un periodo di relativa pace tra queste società, tale equilibrio sarebbe appeso ad un filo.

Allorché io avrei due obiezioni a questo assetto mentale. La prima: perché mai sarebbe più pericoloso una dozzina di società in concorrenza tra di loro rispetto ad un unico fornitore di servizi di protezione? D'altronde se pensate ai giorni nostri non esiste propaganda peggiore di quella che eleva a "bene comune" il portare guerra ad un'altra nazione in base a principi folli. Ancora peggio, le persone che vorrebbero contrastare tale pratica sono praticamente ridotte al silenzio e costrette a sovvenzionare una scelta simile.

E ciò ci porta alla mia seconda obiezione: se davvero noi propugniamo un mondo pacifico, e quindi avessimo davvero la scelta di indirizzare i nostri soldi verso società in grado di adempiere ai nostri desideri, perché dovremmo sostenere quelle imprese che vorrebbero conquistare le altre con la violenza? Sarebbe un controsenso. Coloro che oggi sono scettici riguardo un mondo libero dallo stato potrebbero essere i primi a poter "imporre" la pace attraverso il sovvenzionamento in prima persona di quelle realtà che si impegnerebbero (attraverso un vero contratto) a soddisfare questo requisito. Sarebbero responsabili davanti ai loro finanziatori. Infatti, qualora dovessero sgarrare, i finanziamenti finirebbero. Ditemi, ora, quali sono le sanzioni negative oggi che possiamo imporre allo stato in caso di guerra sconsiderata? Nessuna. Certo, pascolare e belare per le piazze può aiutare le persone a sfogarsi, ma concretamente non serve a nulla. Non avete controllo del vostro portafoglio. Si grida per le strade contro il complesso militare-industriale, poi si è a favore delle tasse. Quindi, prima di muovere accuse ed essere reticenti nei confronti di una realtà priva di stato, sarebbe meglio esaminare con maggiore profondità la situazione in cui oggi siamo immersi e forse si realizzerà di come una riduzione della mano statale (o addirittura una sua abolizione) sia un evento da augurarsi piuttosto che da scongiurare.

Ovviamente qui non si sta teorizzando il repentino avvento del paradiso in terra non appena lo stato scomparisse dalle nostre vite. Sarebbe assurdo e ridicolo affermare una cosa simile, nonché intellettualmente disonesto nei confronti dei lettori. Quello che sto cercando di far capire è come una situazione in assenza di stato possa essere preferibile a quella odierna. E' vero, è possibile che ci potrebbero essere delle imprese "canaglia" desiderose solamente di portare scompiglio e cercare di prendere il controllo della società libera da uno stato, ma il problema che avrebbe davanti sarebbe decisamente ingombrante: dovrebbe partire da zero. Mi spiego. Adesso prendere il controllo dell'apparato statale è relativamente "semplice", ovvero, dato che i politici sono perlopiu interessati alla propria rielezione favoriranno quei gruppi con interessi particolari in grado di dare loro la possibilità di rimanere in carica. Ciò significa aprire la porta a tutta una serie di clientelismi prerogativamente specifici ad un gruppo con interessi particolari, o vari gruppi con interessi particolari. Nel caso della difesa, ad esempio, contratti miliardari per la vendita di armi. Per non parlare della guerra in Iraq e la falsa esistenza di armi di uccisione di massa detenute da Saddam. Insomma, lo stato al giorno d'oggi possiede un apparato militare e propagandistico già imbastito e pronto da utilizzare da coloro che arrivano al potere.

In una società priva di stato, invece, quella impresa che vorrebbe soverchiare tutte le altre dovrebbe convincere del legittimo uso della violenza una clientela desiderante la pace. Dovrebbe mobilitare eserciti e armi fornendo ingenti somme di denaro. Ognuna di queste cose necessiterebbe di una assicurazione i cui costi lieviterebbero all'aumento del rischio di incappare in una guerriglia inutile e opposta alla volontà degli individui. Oltre a tutto ciò, chi fornirebbe i fondi per distruggere piuttosto che produrre? Potrebbe anche essere possibile che una impresa riuscisse a superare tutti questi ostacoli e ad imporsi come unica dominatrice, ma i costi connessi sarebbero esorbitanti e il percorso per arrivarci estremamente contorto. Con la presenza dello stato invece, i costi sono decisamente più bassi e il percorso per arrivarci passa attraverso un'elezione, una qualsiasi elezione.





Oltre ad aver teorizzato alcune possibili soluzioni in un mondo privo di interferenze positive di un ente coercitivo, la "sicurezza", che va cercando l'individuo, è anche quella che fa riferimento ad un ambiente privo di pericoli per il suo stile di vita alimentare, in quanto, come accennato in precedenza, ha rappresentato una parte importante, nonché sostanziale, del suo grado evolutivo. Sappiamo quindi che uno dei tanti deturpamenti in tal contesto è quello derivante da un inquinamento persistente intorno a lui. Di nuovo preda della memoria ancestrale, questo timore è perfettamente comprensibile data la sua natura strettamente dipendente dai "capricci" di madre natura. In questa situazione diviene indispensabile riuscire ad avere la sicurezza di salvaguardare ciò che l'individuo, attraverso la sua consapevolezza, reputa più importante. Scrive Rothbard:

[...] In primo luogo, i fiumi. I fiumi, ed anche gli oceani, sono generalmente di proprietà del governo; la proprietà privata, di certo una proprietà privata completa, non è permessa per quanto riguarda l’acqua. In sostanza, quindi, il governo possiede i fiumi. Ma la proprietà del governo non è una proprietà vera, perché i funzionari governativi, mentre sono in grado di controllare la risorsa non possono sfruttare il suo valore capitale sul mercato. I funzionari di governo non possono vendere i fiumi o vendere le loro azioni.

Di conseguenza, non hanno alcun incentivo economico a preservare la purezza ed il valore dei fiumi. I fiumi sono, quindi, in senso economico, “senza proprietario”; quindi i funzionari del governo hanno permesso la loro corruzione ed inquinamento. Chiunque è stato in grado di scaricare rifiuti inquinanti nelle acque. Ma consideriamo che cosa accadrebbe se le imprese private fossero in grado di possedere i fiumi ed i laghi. Se una società privata possedesse il Lago Erie, per esempio, allora chiunque scaricasse rifiuti nel lago sarebbe prontamente portato davanti ai giudici per l’aggressione contro la proprietà privata e costretto dai giudici a pagare i danni ed a cessare e desistere da ogni ulteriore aggressione.

Così, solo i diritti di proprietà privata garantiranno la fine dell’inquinamento — e dell’invasione delle risorse. Dato che i fiumi sono senza proprietario, non vi è nessuno che si ribelli e difenda la sua preziosa risorsa dagli attacchi. Se, al contrario, chiunque scaricasse sostanze inquinanti in un lago di proprietà privata (come lo sono molti laghi più piccoli), non gli sarebbe consentito di farlo per molto tempo — il proprietario ruggirebbe in sua difesa.

Arrivati a questo punto, sperando soprattutto in un futuro in cui l'uomo possa rendersi praticamente conto di come il parassitismo statale sia stato elevato a stile di vita nell'attuale presente storico, la sola cosa da aggiungere a questa breve dissertazione sulla necessità di sicurezza e protezione riguarda fondamentalmente la percezione della realtà da parte dell'individuo. Lo stato narcotico in cui si trova immerso non è altro che il risultato dell'imprigionamento delle sue pulsioni verso la libertà da parte di quel moloch che risponde al nome di apparato statale. Sebbene sia lecito ricorrere ad una sana prudenza quando si tratta di proteggere il proprio corpo e i propri possedimenti, la paranoia dei giorni nostri che vede la maggior parte delle persone ansiosa di vivere la propria vita in una gabbia di Faraday, non è altro che il risultato ultimo della recisione progressiva delle scelte individuali da parte dello stato. L'impossibilità di veder preservata la propria incolumità turba a tal punto l'essere umano da farlo sprofondare in un limbo tempestato da incertezze e vessazioni in ogni dove.

In questo modo l'intervento statale non solo ha sigillato l'individuo in un guscio, ma lo ha privato di conseguenza della sicurezza di potersi affidare al prossimo per poter sopravvivere qualora le circostanze si facessero avverse o egli fosse minacciato di violenza. Spesso si sente dire: "C'era più fratellanza in passato." Nonostante possa sembrare una frase banale e stantia, il suo senso di verità lo possiamo ritrovare, ad esempio, nell'abolizione delle società di mutuo soccorso. Oggi il welfare state non ha affatto mantenuto la presunta promessa di redistribuire la ricchezza, proprio perché non è altro che un sistema di potere per fornire briciole ai poveri, disintegrare la classe media e far rimanere ai posti di comando quelle figure privilegiate a stretto contatto con l'apparato statale.

L'1% della popolazione detiene il 46% della ricchezza globale, questa legge di Pareto è sempre stata vera... sebbene oggi rappresenti solo una triste nota che ci sussurra di come una ristretta cerchia di individui sia in grado di conservare i propri posti di comando facendo ricorso a quelli che Oppenheimer definiva mezzi politici. L'ombra dello stato si è progressivamente sostituita a tutte quelle convenzioni che il libero mercato aveva fatto emergere nel corso del tempo. Pensate alla scuola. Pensate al denaro. Pensate alla giustizia. Pensate all'assistenza sociale. Pensate addirittura alla lingua. Tutte quelle nicchie in cui il libero mercato ha lavorato affinché spuntasse la soluzione migliore in accordo con le necessità degli individui, sono state deturpate e invase dalla sfera statale. All'inizio subdolamente con la storiella della "rappresentanza in Parlamento" per guadagnare legittimità, poi una volta acquisita è bastato semplicemente esercitarla. Un esempio di ciò lo ritroviamo nell'approvazione fraudolenta dell'imposta sul reddito americana, come documentato nel libro di William Benson The Law That Never Was. Non serviva più chiedere o giustificarsi davanti la popolazione, lo stato avrebbe acquisito una legittimità automatica poiché stava facendo le veci della popolazione. Adesso lo stato prende senza più chiedere. Sebbene si degni di dare una qualche giustificazione per le azioni fraudolente e criminali che adotta, lo fa a carte fatte. Guardate, ad esempio, la quantità di cavilli, legacci e legacciuoli burocratici che sono stati partoriti nel corso del tempo negli Stati Uniti.




Sanzioni negative? Non esistono contro lo stato. Non potete portarlo in tribunale. Il risentimento e la rabbia che pervadono il tessuto sociale non sono altro che il risultato del costante lavoro distruttivo da parte dell'apparato statale, cosa che ha spinto l'essere umano a diventare una sottospecie di cane idrofobo pronto ad azzannare chiunque gli passi a tiro. Ma c'è un modo per iniziare a curare questa malattia: abolire qualsiasi scuola finanziata con le tasse. Lasciare che l'istruzione dei giovani sia avulsa dalla propaganda di reclutamento statale. E' un volo verso il baratro quello di oggi, ma chissà, forse mentre si precipita vorticosamente si può essere talmente fortunati da incontrare una radice che sporge da una rupe. Nessun uomo è un'isola e ognuno di noi ha bisogno della collaborazione dell'altro per sopravvivere o vivere meglio. E' questo che ci ha portato alla ribalta nel corso della storia, ed è questo che ci riporterà quella tanto agognata libertà di cui necessitiamo. Votarsi alla causa della libertà individuale non significa essere egoisti, significa accettare che per raggiungere i propri obiettivi c'è bisogno dell'aiuto del prossimo; e questo aiuto può essere ottenuto solo se quest'ultimo può raggiungere i suoi obiettivi. Se una delle due parti costringe l'altra a pregiudicare gli scopi che si è prefissata, non otterremo affatto cooperazione ma un ambiente stagnante seguito da un lento degrado.

L'ambiente in cui viviamo oggi riflette esattamente questo aspetto, con lo stato che sta forzando sugli individui i suoi progetti che non sono in accordo con il volere degli attori di mercato. La divisione del lavoro ne risente. Il tessuto sociale ne risente, con tutte le tensioni che ne scaturiscono. Essere abituati a chiamare in causa lo stato per ogni problema che non si vuole più risolvere in prima persona, lascia spiazzati e senza parole quando si riscontra l'assoluto silenzio di una risposta da parte dello stato. Ed è qui che i sostenitori di una società libera devono inserire le loro idee, poiché, come sosteneva anche Leonard Read, più una persona è informata dei benefici risultanti da una società libera e dei mali risultanti da un collettivismo rampante, più le persone verranno attratte da un'impellente desiderio di emancipazione dal collettivismo. Il cambiamento può avvenire solo se lo si vuole a livello individuale. Ricercare una sorta di grandezza in amalgami sociali "più grandi di noi" non vuol dire avere per le mani un grande potere da agitare, significa diventare il sottoprodotto di scelte altrui che fagocitano ed annichiliscono le scelte individuali facendo emergere solo quelle di coloro che sono all'apice. All'individuio non rimane altro che decantare i "successi" altrui. Pensate alle squadre di calcio. Pensate all'appartenenza a questo o a quell'altro partito.

L'essere umano è capace di fare miracoli, ma questi non avvengono attraverso i grandi aggregati sociali. Avvengono a livello marginale. Nelle fabbriche. Nella produzione di oggetti che usiamo ogni giorno, e di cui non abbiamo la minima idea di come vengano fatti. Eppure ne abbiamo in abbondanza grazie ad una interconnessione di informazioni e scambi che permettono alle persone di esprimere il loro reale potenziale di esseri agenti in libertà. Sentirsi "parte di qualcosa di grande" significa poter dire di aver contribuito a migliorare la vita altrui. Ogni giorno la divisione del lavoro compie questo miracolo. Questo network funziona in assoluto decentramento e fornisce a tutti noi il beneficio di quegli oggetti che possono, concretamente, migliorare i nostri standard di vita. Solo gli individui imputano valore in tali oggetti e solo loro possono decidere di premiare o "punire" coloro che li producono; quest'ultima è una grande responsabilità nelle mani dei consumatori, eppure la esercitiamo ogni giorno. Non abbiamo bisogno di nessuno che ci dica cosa acquistare e cosa non acquistare, siamo perfettamente in grado di deciderlo da noi. E il mercato funziona in questo senso. Ha sempre funzionato così sin dal 1800, donandoci un periodo di assoluto splendore economico e industriale. Gli esseri umani hanno diverse soluzioni ai loro problemi, mentre lo stato cerca di forzarli verso un'unica via. La sola che conosce: la prevedibilità.

Quest'ultima, infatti, tende a semplificare l'ambiente in cui ci troviamo in modo che l'individuo che voglia riuscire ad avere successo con le sue doti imprenditoriali, possa districare le nebbie del futuro. Come sottolineava Hayek, a livello individuale è più una questione di bilanciamento tra informazione e conoscenza che permette alla figura dell'imprenditore di aggirare l'imprevibidilità del futuro. Ma egli non interferisce con le scelte che lo circondano. Anzi le approva. Le analizza. Lo stato, invece, non può permetterselo. Lo stato odia la concorrenza. Lo stato odia le azioni individuali. Cerca di implementare una sorta di prevedibilità artificiale del futuro deturpando i segnali di mercato, sbilanciando la connessione tra conoscenza e informazioni, e cercando di conformare il più possibile gli individui alle sue esigenze. E' per questo motivo che la politica, attraverso l'apparato statale, fa promesse di continuo. Rastrella quanti più individui sotto l'egida di un sogno possibile da raggiungere attraverso uno sforzo comune, sia pecuniario, sia fisico, sia mentale. Ma se un imprenditore può dare vita ad un sogno escogitando il modo migliore di soddisfare il resto della popolazione e migliorando il loro standard di vita, quale altro modo lo stato può adottare per raggiungere un simile obiettivo se non quello di prendere a Mario per dare a Maria? E' una partita di giro, in realtà. A turno qualcuno viene accontentato e altri vengono scontentati. Non solo, ma mentre l'imrpenditore non cercherebbe mai di sostituirsi agli altri individui, lo stato, sfruttando questo trucco, ha lavorato per sostituirsi progressivamente alla struttura sociale più importante: la famiglia. Ha progressivamente sfasciato i ruoli che la compongono. E' così che ha insinuato nelle mente degli individui la sua fantomatica legittimità. Lo stato è diventato il padre, e il resto della popolazione la sua progenie incapace di comprendere un qualsiasi atto di responsabilità.

L'infantilizzazione individuale con cui lo stato ha cercato di smembrare continuamente e progressivamente le libertà individuali, facendo credere agli individui di essere nientemeno che ragazzini necessitanti di una cura e di una sorveglianza quasi costante, ha lo scopo di sfornare pseudo-adulti incapaci di essere responsabili davanti alle proprie azioni. Preda di una sorta di sindrome di Peter Pan, la maggior parte degli individui pensa di dover passare la propria vita a sgomitare per ottenere l'aiuto del "padre" in caso di difficoltà. C'è, ovviamente, anche quella sparuta minoranza di persone che riesce ad emanciparsi e vede oltre l'inganno. Infatti al giorno d'oggi esistono principalmente due possibilità: dare il potere a qualcun altro o astenersi dal darlo, e quest'ultima scelta verrà interpretata come un assenso. Se si vuole cambiare il sistema dall'interno, bisognerà aspettare (con tanti auguri a chi ci vuole provare) di avere un candidato, o meglio, un partito vincente (auguri, di nuovo) che sia veramente disposto a cambiare il sistema come promesso e istituirne uno di controlli e verifiche dell'accontabilità parlamentare. Il problema è che il sistema attuale è stato creato in questo modo proprio per evitare che questo accada. Nel caso in cui dovesse essere sostituito, la classe dirigente farà sicuramente qualsiasi cosa per evitare che succeda, smembrando il sistema che ha fallito lo scopo di assicurare l'impantanamento di qualsiasi istanza dal basso che possa mettere in pericolo le gerarchie. E' successo in Cile, è successo in Iran, è successo tante di quelle volte che è inutile fare elenchi.

E' chiaro che la classe dirigente, che trova questo sistema eccellente, lo abbandonerà (seppur con riluttanza)... ma lo farà se e quando non sarà più utile allo scopo. L'unica maniera per romperle le uova nel paniere è non credere al suo sortilegio: il "cittadino" ha l'arma del voto dalla parte del manico. Questa è un'arma puntata contro di voi e se cercate di afferrarla vi taglierà a fette. Davanti ad un attacco con una lama l'unica difesa è ignorare suddetta lama e concentrarsi su una visione complessiva del movimento dell'avversario, altrimenti verrete fatti a pezzi.



CONCLUSIONE

L'unico risultato a cui può portare il collettivismo è una dittatura. La pianificazione centrale degli stati non fa altro che creare sconquassi sociali ed economici in qualunque settore si espanda. Le politiche interventiste creano l'incentivo a formare gruppi con interessi speciali che possono rivolgersi all'apparato statale in modo che esso approvi misure particolari che possano andare a loro vantaggio. Barriere all'entrata, dazi e redistribuzione delle risorse rappresentano il motivo per cui lo stato gode del suo attuale consenso. Non è una società priva di stato a creare "arrampicatori sociali" che possono godere di scambi in cui una parte guadagna e l'altra no, è invece la società con uno stato che crea disuguaglianze sociali incolmabili. Il vero homo homini lupus è un concetto riscontrabile solo quando abbiamo a che fare con uno stato.

Solo una società libera e di libero mercato può garantire il ritorno a scambi di cui entrambi le parti possono godere, fermamente fondati sull'idea che ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e ad una associazione pacifica e volontaria. Solo persone adulte e responsabili davanti alle proprie scelte possono apprezzare questi diritti. Il primo passo per diventarlo richiede l'emancipazione dai propri "genitori".


giovedì 26 febbraio 2015

Il ruolo dell'effetto leva nella teoria Austriaca del ciclo economico

Perché ci cascano ogni volta? Credo che sia questa la domanda che sovente mi sono sentito porre da coloro che mi interrogavano circa il ciclo economico. Nell'articolo di oggi capiremo come l'economia più ampia viene indotta in errore da un'espansione del credito artificiale e quali sono gli incentivi distorcenti il calcolo economico. Un esempio recente è proprio la bolla dell'olio di scisto di cui stiamo parlando con un certa intensità ultimamente su queste pagine. Infatti la bolla dell'olio di scisto, spacciata per una "rivoluzione" nel settore petrolifero guidata dal fracking, non si sarebbe mai e poi mai materializzata se non fosse stato per l'espansione monetaria artificiale della FED a seguito del crash immobiliare del 2008. Nell'articolo di oggi verrà fatto l'esempio di un forno da fusione, ma nel concreto potete pensare ai macchinari adoperati per estrarre petrolio; tale pertinenza deriva dal fatto che il settore petrolifero è uno di quelli in cui esiste una certa dilatazione nei tempi tra costi ed entrate, e un'espansione artificiale del credito permette di attutire questo divario attraverso prestiti a buon mercato con cui acquistare beni strumentali e puntellare il capitale proprio dell'azienda. In questo modo le aziende nel settore petrolifero non solo hanno potuto mantenere aperti quei cantieri che ormai erano scarsamente redditizi, ma hanno anche potuto iniziare a sfruttarne di nuovi. I costi erano invisibilmente nascosti dalla ZIRP e dal QE. Gli investimenti nel settore petrolifero sono, quindi, aumentati in maniera spropositata e la maggior parte dei lavori creati sin dal crash del 2008 sono stati registrati in questo settore. L'illusione di prosperità creata dalla FED, unita alla falsa convinzione della fondamentale importanza del petrolio (come se fosse una merce avulsa dai segnali di mercato) e di una crescita perenne dei prezzi, presto inizierà a sfaldarsi davanti alla realtà: le bolle scoppiano. C'è ancora nebulosità riguardo un aumento dei tassi di interesse da parte della FED, ma se ciò accadrà scoppieranno anche tutte le altre bombe finanziarie sparse nell'attuale panorama economico. La situazione andrebbe fuori controllo. Le emissioni obbligazionarie legate all'olio di scisto rappresentano il 17% del mercato totale dei junk bond, e se andranno in default ciò finirà per contagiare anche il settore bancario. A meno che la FED non voglia una depressione, aspettatevi un nuovo QE a supporto di questa follia.
___________________________________________________________________________________


di Eduard Braun


Spesso viene soprasseduto senza tanti complimenti il processo attraverso il quale le condizioni di credito allentato causano investimenti improduttivi (il nocciolo della teoria Austriaca del ciclo economico). Nelle sezioni dalla 22.2.1 alla 22.2.3 del mio libro, Finance Behind the Veil of Money, osservo con un taglio microeconomico i modi specifici con cui le imprese vengono indotte in errore da tassi di interesse artificialmente bassi.

In che modo l'espansione del credito influisce sull'economia e, in particolare, sul sistema dei prezzi? Un aspetto importante della teoria Austriaca del ciclo economico è che quando il sistema bancario presta ulteriore denaro, e di conseguenza abbassa il tasso di interesse, gli imprenditori tendono ad avviare "più produzione ciclica", cioè, spostano l'attenzione dai beni di consumo ai beni capitali. Il modo in cui procede il processo di aggiustamento corrispondente, anche se spesso non viene esposto nel dettaglio, è necessario per capire chiaramente come la manipolazione iniziale del tasso di interesse influenza la struttura dell'economia.

L'espansione del credito andrà a diminuire direttamente solo il tasso di interesse del capitale preso in prestito, non il tasso di rendimento del capitale proprio. Il successivo cambiamento nella struttura produttiva viene messo in moto dal calcolo economico degli imprenditori che vogliono approfittare di questa situazione.[1]

Come prima conseguenza del tasso di interesse più basso, tutti i tipi di imprese vedranno incrementare la loro redditività, non importa se producono beni di consumo, beni strumentali, servizi, o materie prime. La ragione è che tutte necessitano di un bacino di capitali permanente. E poiché devono pagare meno per gli interessi sui debiti grazie all'espansione del credito, ogni tipo di impresa può aspettarsi più profitto sul capitale proprio.

Inoltre diventa redditizio impiegare più leva finanziaria per sfruttare questo effetto. Tutte le imprese tenderanno ad ampliare l'attività, vale a dire, spenderanno di più per gli input fino a quando l'orizzonte economico offrirà un tasso di profitto più elevato. Si innescherà un boom. I prezzi dei fattori di produzione, sia beni grezzi sia beni intermedi, aumenteranno fino a quando il rendimento sul capitale proprio sarà più o meno uguale al tasso di interesse artificialmente basso.

L'aumento generale della redditività appena descritto, indurrà la maggior parte degli imprenditori ad investire fintanto che esisteranno ricavi con cui poter sostenere in qualche modo i costi. Questo effetto leva determina quei modi di produzione che gli Austriaci definiscono più "circolari".

Per illustrare tale effetto, dobbiamo prima dare uno sguardo ad una singola impresa. Più è dilatato il periodo tra i suoi costi e le sue entrate, più diventerà significativo l'effetto di una riduzione del tasso di interesse.[2] Supponiamo che una società acquisti un asset oggi e lo venda domani. Gli interessi del capitale preso in prestito che bisogna sottrarre ai proventi della vendita, sono quasi trascurabili (anche se la società dovesse essere fortemente indebitata). Una diminuzione del tasso di interesse, quindi, avrebbe un effetto trascurabile anche sul prezzo dell'asset. La piccola quantità di interessi da pagare si riduce un po' di più, è vero, ma questo non indurrà l'imprenditore a spendere molto di più sull'asset.

Supponiamo invece che una compagnia acquisti un altro tipo di asset, per esempio, un forno di fusione che dura per 20 anni. Tale asset comporta una quantità enorme di costi a fronte di entrate generate solo dopo un certo periodo di tempo considerevole. Col passare del tempo si accumuleranno i pagamenti degli interessi sul capitale preso in prestito per acquistare il forno. In questo caso, una diminuzione del tasso di interesse ha un'influenza percepibile sulla redditività del capitale proprio che si ottiene attraverso il forno. Poiché ora ci si può aspettare una redditività maggiore da questi tipi asset di lungo termine se acquistati mediante un prestito, la concorrenza porterà ad un aumento della loro domanda che, alla fine, andrà ad aumentare i loro prezzi e bilancerà il loro tasso di profitto col tasso di interesse abbassato artificialmente.

Si deve aggiungere che tale effetto influenza anche il prezzo dei beni di consumo durevoli, soprattutto le case. Anche quest'ultime durano per molti anni, e spesso gli interessi sul capitale preso in prestito si accumulano ad un ritmo impressionante. L'abbassamento del tasso di interesse ha quindi un grande effetto sul profitto monetario (o psicologico) che si può ottenere dall'acquisto o dalla costruzione di case. Le persone saranno pronte ad espandere le loro spese sugli immobili e pertanto ne aumenteranno il loro prezzo.

La ragione per cui i prezzi degli asset di lungo termine salgono nel corso di un'espansione del credito, vale anche per tutte le altre aree in cui costi e ricavi all'interno di un'impresa sono dilatati lungo un considerevole lasso di tempo. Nel caso della produzione di asset di lungo termine all'interno dell'azienda, anche tutti i beni che aiutano a produrre questi asset si troveranno ad affrontare un aumento della domanda. Pensate alle materie prime come il carbone e il ferro, o ai servizi che possono essere impiegati nella produzione di asset o materie prime. Anche se le cose citate non sono asset di lungo termine, le spese che li riguardano portano a ricavi solo nel futuro. Pertanto i pagamenti degli interessi su tali spese si riducono significativamente se il tasso di interesse diminuisce.

Fino ad ora abbiamo avuto a che fare solo con i calcoli di una singola impresa. Per una singola impresa diventa più redditizio impiegare e costruire asset durevoli quando il tasso di interesse diminuisce. Un altro aspetto importante è che spesso i prezzi degli input pagati da una impresa costituiscono le entrate di quella che li produce. Di conseguenza quest'ultima impresa deve tenere conto di due cambiamenti nei suoi calcoli.

In primo luogo, i suoi ricavi aumentano perché la domanda per il suo prodotto è aumentata.[3] In secondo luogo, come in tutte le altre imprese, il credito è diventato più economico e quindi aumenta anche il ritorno sul capitale proprio. Per tale impresa l'espansione del credito va a costituire due effetti che ne aumentano la redditività. Infatti si ritrova ad avere due incentivi: espandere l'attività e spendere di più per i suoi input. Cioè, i prezzi dei suoi input aumenteranno ancora più dei prezzi della sua produzione.

Ormai dovrebbe essere chiaro che le imprese che forniscono questi input, sperimentano un incentivo ancora più forte quando parliamo di espandere l'attività. L'effetto leva si intensifica man mano che saliamo nelle varie fasi della produzione. Di conseguenza i prezzi degli input negli stadi della produzione più lontani dalla fornitura aumentano di un grado superiore rispetto a quelli negli stadi della produzione più vicini ai beni di consumo. E' importante aggiungere che l'effetto leva appena descritto non è limitato agli asset o ai beni durevoli che passano di mano più volte fino a raggiungere la fase finale. L'aumento delle possibilità di profitto si accumula anche nel caso in cui gli input e i prodotti finali sono beni diversi. Quando il credito diventa più economico e aumentano i ricavi – il duplice effetto spiegato in precedenza – verrà speso più denaro per gli input, non importa se siano durevoli o no. Pensate ancora a materie prime come il carbone e il ferro.[4]

Mentre il credito supplementare entra nel mercato dei prestiti, provoca un boom generale. Modifica il calcolo economico delle imprese, inducendole ad aumentare gli investimenti in tutte le fasi della produzione. Le industrie che producono beni nelle fasi della fornitura saranno più colpite a causa dell'effetto leva descritto qui sopra, e si ritroveranno una domanda aggiuntiva. Tenderanno ad espandersi di più rispetto agli altri settori. La produzione tenderà a diventare "più circolare", come la definirebbe la teoria Austriaca.

Sebbene questo articolo non parli dell'inevitabile bust, fornisce una spiegazione del perché l'economia diventa instabile a seguito di un'espansione artificiale del credito. L'effetto leva comporta un debito notevolmente superiore alla quota di capitale proprio in quei settori che sono lontani dalla fase di consumo. Il punto è che in questi settori si concentrano di più l'effetto leva e gli aumenti di redditività; e i vari imprenditori amplieranno il loro indebitamento per incamerare questi profitti. Un maggiore indebitamento rispetto al capitale proprio, indebolisce la capacità delle imprese di resistere alle turbolenze finanziarie. Una volta che si presetano i problemi, il capitale proprio scomparirà in un lampo e il contagio si estenderà fino al sistema bancario, provocando una tempesta.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


___________________________________________________________________________________

Note

[1] Si veda Mises, Ludwig von: Human Action. New Haven: Yale University Press, 1949. p. 550

[2] Si veda Wicksell, Knut: Interest and Prices. London: Macmillan ,1936. pp.  91 f.

[3] Si veda Hayek, Friedrich A.: Prices and Production and Other Works, rivisto da Joseph T. Salerno. Auburn (AL): Mises Institute, 2008. p. 258

[4] Si veda Strigl, Richard von: Capital and Production, rivisto da J. Guido Hülsmann. Auburn (AL): Mises Institute, 2000. p. 122

___________________________________________________________________________________


mercoledì 25 febbraio 2015

L'incuranza europea nei confronti della sconsideratezza monetaria





di Richard Ebeling


La Banca Centrale Europea ha annunciato l'intenzione di creare dal nulla oltre un bilione di nuovi euro dal marzo 2015 al settembre 2016. La ragione, dicono i pianificatori centrali monetari, è quella di prevenire una deflazione dei prezzi e "stimolare" l'economia europea.

L'unico problema con questo piano è che la loro preoccupazione per la "deflazione" è una paura infondata, e la stampa di denaro non potrà mai essere una soluzione di lungo termine per raggiungere una crescita economica sostenibile.



Alto Tasso di Disoccupazione e Stagnazione Economica

L'Unione Europea sta sperimentando livelli impressionanti di disoccupazione. L'UE nel suo insieme ha il 10% della forza lavoro disoccupata.

Analizzare questi numeri secondo i vari livelli nazionali mostra semplicemente in quale stato pietoso versano le varie economie degli stati membri. In Grecia quasi il 26% della forza lavoro è disoccupata. In Spagna il 24%; in Italia e Portogallo oltre il 13%. In Francia la disoccupazione supera il 10%, con la Svezia all'8%. Solo la Germania e l'Austria hanno una disoccupazione del 5% rispetto agli altri 28 Paesi membri dell'Unione Europea.

La disoccupazione giovanile (coloro compresi tra i 16 e i 25 anni d'età in grado di trovare un lavoro) è ancora più catastrofica. L'Unione Europea nel suo complesso fa registrare una media di oltre il 22%.

In Grecia quasi il 60% di quelle persone sotto i 25 anni è senza lavoro; in Spagna quasi il 55%, con l'Italia al 43% e Francia e Svezia oltre il 22%. Solo in Norvegia e Germania la disoccupazione giovanile è meno dell'8%. Quasi tutti gli altri paesi dell'Unione Europea fanno registrare numeri a due cifre.

Nel 2014 la crescita del prodotto interno lordo dell'Unione Europea nel suo insieme è stata ben al di sotto dell'1%. Solo Repubblica Ceca, Norvegia e Polonia hanno fatto registrare numeri al di sopra del 2% tra i membri dell'Unione Europea.

Nel 2014 i prezzi al consumo nell'UE sono cresciuti in media dello 0.4%, con la maggior parte dei Paesi membri che sta sperimentando un aumento medio dei prezzi al consumo tra lo 0.2 e il 2% annuo. Solo in Grecia il livello medio dei prezzi è diminuito ad un ritmo del -1.3%. Difficilmente questa situazione può essere interpretata come un'incidenza significativa di una deflazione dei prezzi nell'Unione Europea!



I Timori per una Deflazione dei Prezzi Sono Infondati

I pianificatori centrali monetari che gestiscono la Banca Centrale Europea, temono che la zona Euro possa sprofondare in un periodo prolungato di prezzi in discesa... a meno che essi non agiscano per spingere l'inflazione dei prezzi verso il loro obiettivo desiderato (circa il 2% l'anno).

(Vale la pena di sottolineare che se i pianificatori centrali monetari della zona Euro dovessero aver successo nel raggiungere suddetto obiettivo, ciò significherebbe che nei prossimi venti anni il potere d'acquisto di un euro si ridurrebbe di circa il 50%.)

Molti commentatori all'interno e all'esterno dell'Unione Europea hanno insistito sul fatto che la deflazione dei prezzi debba essere evitata a tutti i costi. La premessa implicita dietro i loro argomenti vuole che la deflazione venga associata ad una depressione economica o una recessione, e quindi non bisognerebbe permettere simili cali dei prezzi.

In tutte queste discussioni viene spesso ignorato, o dimenticato, che il calo dei prezzi può anche essere un'indicazione di prosperità economica e un aumento del tenore di vita. Ad esempio, tra il 1865 e il 1900 i prezzi negli Stati Uniti diminuirono di circa il 50%, mentre fu stimato che gli standard di vita aumentarono del 100%. Questo periodo viene generalmente identificato con la rapida industrializzazione dell'America nell'era post-guerra civile, in cui gli Stati Uniti marciarono per diventare il gigante economico che conosciamo oggi.



Calo dei Prezzi e Tenore di Vita Migliore

Il marchio di un'economia innovativa e competitiva di libero mercato è proprio il tentativo senza fine degli imprenditori di escogitare modi per produrre prodotti nuovi, migliori e meno costosi da vendere ai consumatori. Pensate alle calcolatrici tascabili, i telefoni cellulari, i lettori DVD e le TV a schermo piatto.

Quando negli anni '80 le calcolatrici tascabili sono arrivate sul mercato, erano troppo grandi per stare nella tasca di una camicia, eseguivano solo le funzioni aritmetiche più elementari e costavano centinaia di dollari. Nel giro di pochi anni sono diventate adatte alle tasche delle camicie, svolgono funzioni matematiche sempre più complesse e sono diventate così poco costose che molte aziende le darebbero via gratis come espediente pubblicitario.

Le aziende che le producevano non lamentavano il loro disagio puntando il dito contro prezzi sempre più bassi. L'efficienza dei costi introdotta in questa linea di produzione ha fatto in modo che potessero essere vendute più calcolatrici a più consumatori cosicché si potesse espandere la domanda e catturare una quota maggiore di un mercato.

In un'economia di libero mercato dinamica, innovativa e in crescita, persisterebbe una tendenza a migliorare un prodotto dopo l'altro, poiché l'aumento della produttività e la diminuzione dei costi li renderebbe meno costosi e, nonostante tutto, ancora redditizi.

Se si guardasse ad un certo periodo di tempo, una media statistica dei prezzi mostrerebbe senza dubbio un loro calo, oppure "deflazione dei prezzi", poiché un prezzo dopo l'altro subirebbe un tale calo. Questo significherebbe un tenore di vita crescente, poiché scenderebbe il costo reale di acquistare determinati beni con i nostri redditi monetari.





I Problemi Europei Sono Causati da Oneri Anti-Mercato

Le economie stagnanti con alti tassi di disoccupazione, come l'Unione Europea, non sono il risultato di forze deflazionistiche che impediscono la crescita e la creazione di posti di lavoro. Infatti sin dal 2008 la Banca Centrale Europea ha aumentato il suo bilancio oltre il bilione d'euro attraverso un'espansione monetaria, e nella zona Euro i prezzi, in generale, sono aumentati in media tra lo 0.5 e il 2% sin da allora. Colpa di forze "deflazionistiche"? Non scherziamo.

I problemi dell'Unione Europea non sono causati da una mancanza di "domanda aggregata". I suoi problemi sono sul "lato dell'offerta". L'UE è famosa per i suoi mercati del lavoro rigidi nei quali i sindacati ostacolano la flessibilità e l'adattabilità ai cambiamenti globali.

Salari al di sopra di quelli di mercato e privilegi vari spingono fuori dal mercato molti che potrebbero ottenere un posto di lavoro, in quanto le politiche statali e il potere dei sindacati spingono fuori dal mercato questi potenziali lavoratori. Inoltre le difficoltà a licenziare qualcuno una volta assunto, indeboliscono gli incentivi delle imprese europee a voler espandere la loro forza lavoro.

Anche un certo numero di organizzazioni internazionali, spesso colpevoli di favorire politiche anti-libero mercato, ha sottolineato la necessità che i governi europei introducano riforme sul lavoro per liberalizzare tali mercati nei loro Paesi; oltre a ridurre le normative sulle imprese che ostacolano gli incentivi imprenditoriali e prevengono una sana concorrenza.



Creare €1 Bilione Farà Solo Spuntare Ulteriori Squilibri

Creare più di un bilione di euro non farà scomparire le norme anti-concorrenziali, la discrepanza dei costi-prezzi e gli squilibri causati dagli interventi governativi e dalle restrizioni sindacali, né cancellerà l'onerosità delle imposte che riducono la volontà e la capacità degli imprenditori di svolgere le loro attività che potrebbero curare l'Europa dal suo malessere economico.

Inoltre, nella misura in cui la Banca Centrale Europea riuscirà ad iniettare questo bilione di euro nell'economia europea, metterà solamente in moto il pericolo di un'altra recessione economica futura. Non solo, ma alimenterà un rally insostenibile nei mercati finanziari e azionari. Il modo stesso in cui la nuova moneta verrà introdotta nell'economia più ampia, distorcerà inevitabilmente la struttura dei prezzi relativi e dei salari; favorirà un'allocazione errata delle risorse materiali e umane; e indurrà forme di investimenti improduttivi.

Quindi il tentativo di curare l'economia stagnante europea attraverso l'espansione monetaria, sarà la causa di un direzionamento errato di lavoro, capitale e produzione. Ciò richiederà inevitabilmente aggiustamenti e riequilibri della domanda e dell'offerta, nonnché nelle relazioni di prezzo; questo significa che le persone sperimenteranno una nuova recessione ad un certo punto nel futuro.



Un Programma Basato Sul Libero Mercato per la Crescita e i Posti di Lavoro

Quale potrebbe essere ,quindi, un programma "positivo" pro-mercato per la ripresa economica e la creazione di posti di lavoro nell'Unione Europea e negli Stati Uniti? E' presto detto:

  • Ridurre significativamente il tax rate sulle persone e sulle imprese, eliminare le tasse di successione; questo creerebbe maggiori incentivi e soprattutto gli strumenti finanziari per investimenti privati, formazione di capitale e creazione di posti di lavoro;
  • Tagliare la spesa pubblica a tutti i livelli per un minimo del 10% in modo da permettere un pareggio di bilancio senza alcun aumento delle tasse; questo attutirebbe parte della pressione sui mercati finanziari per finanziare i deficit pubblici e metterebbe fine alla crescita del debito pubblico, fino a quando i bilanci pubblici avrebbero eccedenze con cui iniziare a ripagare il debito;
  • Ridurre e abrogare le normative governative sulle imprese e sulle istituzioni finanziarie per consentire alle forze competitive di operare e di realizzare aggiustamenti e correzioni necessarie in modo da ripristinare l'equilibrio economico;
  • Istituire una rete di libero scambio attraverso l'eliminazione e la riduzione radicale dei rimanenti ostacoli finanziari e normativi al libero flusso competitivo delle merci tra i Paesi;
  • Terminare le espansioni monetarie e la manipolazione dei tassi di interesse da parte della banca centrale; i tassi di interesse devono dire la verità sulla disponibilità di risparmi e sulla redditività degli investimenti per la crescita di lungo periodo. L'espansione monetaria invia semplicemente falsi segnali che alterano il normale funzionamento dell'economia di mercato.

Un insieme di politiche come queste servirebbe come base per uno "stimolo" sano e sostenibile delle economie europee e americane. Inoltre sarebbe coerente con i principi di uno stato limitato e della libera impresa a fondamento di una società libera.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


martedì 24 febbraio 2015

Lo stato: Un “contratto sociale” che nessuno ha mai firmato





di Bill Bonner


[Il seguente articolo è un estratto dal recente libro di Bill Bonner, Hormegeddon: How Too Much Of A Good Thing Leads To Disaster.]


Le persone capiscono il mondo solo attraverso le analogie. Gli accordi e i documenti del passato hanno suggerito una spiegazione sulla natura dello stato — che si trattasse di una specie di contratto "sociale". Ma un contratto "sociale" sta ad un vero e proprio contratto come una bambola gonfiabile sta ad una vera donna; in un certo senso potrebbe andar bene, ma non in quello essenziale.

Lo stato è espressione di rapporti di forza, in cui alcune persone cercano di dominare gli altri con la forza. Questi dominatori riuniscono gli "insider" in modo che possano assorbire denaro, potere e status rispetto alle altre persone, gli "outsider". Questo non è il modo in cui si stipulano i contratti.

Se si trattasse davvero di un contratto, che tipo di contratto sarebbe? Un contratto di servizi? Molte persone pensano che lo stato fornisce qualche servizio. Questo è vero, ma è incidentale. Gli stati spesso consegnano la posta, ma non devono. Sarebbero lo stesso stati, anche se non controllassero le Poste. E se non avessero un dipartimento dedicato alla pesca nelle acque interne, o un programma per promuovere l'autostima dei casellanti obesi?

Sarebbero ancora degli stati. Avrebbero ancora i loro elicotteri, i loro autisti e le loro note spese. Ma se non controllassero la polizia o l'esercito, sarebbero una cosa completamente diversa. I "contratti" scritti e le costituzioni sono particolari decorativi dello stato; la forza è la sua essenza.

Andrew Jackson lo comprese nel 1832, quando disse al presidente della Corte Suprema John Marshall di andare a quel paese dopo che quest'ultimo emise la sua sentenza in Worcester v. Georgia. "John Marshall ha preso la sua decisione", si dice che abbia detto Jackson, "ora lasciategliela imporre". Senza eserciti e forze di polizia, gli stati non sarebbero più stati.

Alla fine del XIX secolo, alle persone veniva chiesto cosa avrebbe potuto portare loro il nuovo secolo. Quasi tutti prevedevano uno stato più piccolo. Perché? Perché le persone stavano diventando molto più ricche e più istruite. Le persone che erano ricche e istruite potevano risolvere i loro problemi e organizzarsi per ottenere quei servizi che volevano. I pensatori dell'epoca affermavano che ci sarebbe stato un minore bisogno dello stato.

Non è andata in questo modo, perché quei pensatori hanno frainteso la vera natura dello stato: non è un'organizzazione che fornisce vantaggi e servizi sotto contratto. Mentre la società diventa più ricca, può permettersi più illusioni, più spettacoli, più ridistribuzione della ricchezza, una maggiore regolamentazione, tasse più alte e persone più improduttive. Gli insider prendono di più, perché c'è di più da prendere e perché gli outsider possono permettersi più sfruttamento. Non a caso gli stati sono cresciuti enormemente nel XX secolo.

Il "contratto sociale" è una frode. Non può esistere un contratto a meno che non ci siano due parti consapevoli. Esse devono accordarsi attraverso la soddisfazione dei propri desideri — un vero e proprio accordo su che cosa decideranno.

Non c'è mai stato un accordo per stabilire un "contratto sociale" con lo stato. L'accordo è coercitivo. E ora, immaginate di voler evadere da questo contratto. Potete semplicemente "stracciare il contratto"? Immaginate di voler rifiutare di pagare le tasse o declinare l'utilizzo dei servizi della TSA e di altri dipendenti pubblici. Quanto tempo passerà prima che finiate in carcere? Chiedetelo a Wesley Snipes; saprà rispondervi.

Che tipo di contratto è quello in cui c'è un dissenso e non lo si può abbandonare? Inoltre, che tipo di contratto è quello che prevede che una parte possa modificare unilateralmente i termini dell'accordo? Il Congresso approva nuove leggi quasi ogni giorno. La burocrazia emette nuovi editti. Il sistema fiscale è cambiato. La libbra di carne già ottenuta non era sufficiente; ora ne vogliono un chilo e mezzo!

Gli insider usano sempre lo stato per trasferire il potere e il denaro dagli outsider a sé stessi. Quando la ricchezza era facile da individuare e facile da controllare — cioè, quando era per lo più terra — una manciata di insider potevano tenerla per sé stessi. La gerarchia feudale diede a tutti un posto nel sistema, con gli insider all'apice. Ma poi arrivò la Rivoluzione Industriale e improvvisamente la ricchezza si stava accumulando al di fuori della struttura feudale. Le popolazioni crescevano troppo e diventavano sempre più irrequiete. Il vecchio regime cercò di tassare questo nuovo denaro, ma la nuova "borghesia" resistette. Anch'essa voleva essere un insider.

"No taxation without representation!" Gli outsider volevano far parte degli insider.

Non c'è mai un gruppo fisso di persone che ricopre sempre il ruolo di insider. Invece il gruppo degli insider ha una membrana porosa che lo separa dal resto della popolazione. Alcune persone entrano, altre sono espulse. Il gruppo aumenta di volume e si restringe. A volte una sconfitta militare o una rivoluzione portano al potere un nuovo gruppo di insider. Le elezioni, se presenti, vanno quindi a modificare la composizione di quel nucleo.

Ma il genio della moderna democrazia rappresentativa è che raggira le masse affinché credano di essere degli insider. Sono incoraggiate a votare e a credere che il loro voto conti davvero. In alcuni luoghi viene richiesto agli outsider di votare... richiesta avanzata dagli insider naturalmente

L'uomo comune ama pensare che egli sia il gestore delle cose. E paga questa illusione a caro prezzo. Dopo che gli insider lo inducono ad entrare nella cabina elettorale, le tasse salgono. In America, prima della guerra d'indipendenza e prima che andasse di moda il motto "No taxation without representation", il tax rate medio era meno del 3% o giù di lì. Ora, con la rappresentazione, lo stato spende circa un terzo del reddito nazionale. E se si vive in una giurisdizione ad alta tassazione, come Baltimora, la California o New York, le tasse federali, statali e locali arrivano fino al 50+% del reddito marginale.

In breve, gli insider si sono dati da fare. Hanno permesso ai bifolchi di illudersi di avere la solenne responsabilità di impostare il corso dello stato. E mentre erano abbagliati dal loro stesso potere... hanno messo le mani nelle loro tasche!

E non si sono fermati qui. Sotto re e imperatori, un soldato era un combattente a pagamento. Se era fortunato, la sua fazione avrebbe vinto e lui avrebbe saccheggiato e stuprato la città assediata. Però poche persone erano soldati, perché la società non era abbastanza ricca da permettersi grandi eserciti permanenti.

La Rivoluzione Industriale ha cambiato anche questo. Nel XX secolo i paesi sviluppati potevano permettersi il costo di mantenere costosi apparati militari, anche quando non c'era necessità di combattere. Ma l'uomo comune è stato fregato di nuovo: non solo doveva sostenere finanziariamente tale apparato, soggiogato dall'illusione del suo potere ha creduto che fosse un dovere patriottico difendere il potere degli insider! Non c'è da meravigliarsi se il sistema democratico moderno si sia diffuso in tutto il mondo. E' la miglior truffa in circolazione. Nulla può competervi.

Nel 1776 Adam Smith pubblicò il suo libro The Wealth of Nations, in cui sosteneva che il commercio e la produzione sono la fonte della ricchezza. Lo stato rappresenta un ostacolo e un costo in gran parte inutile. Il suo ruolo dovrebbe limitarsi, disse Smith, al far rispettare i contratti e a tutelare la proprietà privata. La scuola economica del laissez-faire ritiene che lo stato sia un "male necessario" da limitare il più possibile. Il "governo che governa meglio", come disse Jefferson, "è quello che governa meno."

Lo stato — secondo i filosofi liberali del XVIII e XIX secolo — deve togliersi dai piedi in modo che la "mano invisibile" guidi gli uomini verso vite produttivie e feconde. Smith pensava che il braccio della mano invisibile fosse il braccio di Dio. Altri credevano che nemmeno Dio fosse necessario. Gli uomini, senza pianificazione centrale o Dio a guidarli, creerebbero un "ordine spontaneo" che, guidato da un numero infinito di intuizioni private, sarebbe molto più bello di quello goffo creato da re, dittatori o assemblee popolari.

Più lo stato si intromette, meno diventa utile. In altre parole, diventa più soggetto alla legge del declino dell'utilità marginale. Uno stato limitato probabilmente è una buona cosa. L'energia messa in un sistema di ordine pubblico, di risoluzione delle controversie e di alcuni servizi pubblici minimi può dare un rendimento positivo sugli investimenti. Ma il punto dei rendimenti decrescenti viene raggiunto rapidamente.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


lunedì 23 febbraio 2015

Una guida introduttiva all'economia Austriaca





di Jason Peirce


«Ognuno di noi porta una parte della società sulle sue spalle; nessuno è esonerato dalla sua parte di responsabilità nei confronti degli altri. E nessuno riuscirà a trovare un modo sicuro per salvarsi se la società si dirigerà verso la distruzione. Pertanto ognuno di noi, nel proprio interesse, deve inserirsi con forza nella battaglia intellettuale. Nessuno può restare in disparte con indifferenza; gli interessi di tutti dipendono dal risultato. Che lo voglia o meno, ogni uomo è scaraventato nella grande lotta storica, la battaglia decisiva in cui ci ha catapultato la nostra epoca.» Ludwig von Mises


Naturalmente Mises si sta riferendo alla necessità che "tutti" comprendano le basi di una teoria economica coerente. Questo è il motivo per cui è incoraggiante vedere un rinnovato interesse per la Scuola Austriaca sin dalla crisi finanziaria del 2008.

Ecco una guida per principianti in cui esamineremo brevemente i principi di base e risponderemo alle domande di base riguardo l'economia Austriaca.

La "Scuola Austriaca" è emersa nel tardo XIX secolo grazie ai lavori di alcuni economisti viennesi come Carl Menger, Eugen von Böhm-Bawerk, Friedrich von Wieser, Ludwig von Mises e Friedrich Hayek. Gli Austriaci si concentrano fortemente sull'analisi dell'azione umana. Questo campo di studio è noto come prasseologia, ovvero, l'analisi delle implicazioni logiche del fatto che gli individui agiscono in modo propositivo, assioma da cui si può dedurre tutta la teoria economica. Gli Austriaci fanno anche notare la correlazione tra una maggiore libertà economica ed una maggiore libertà politica e morale. Questo spiega in parte perché l'economia Austriaca è la base intellettuale per il libertarismo. Gli Austriaci attribuiscono le ripetute implosioni dell'economia keynesiana all'ossessione di quest'ultima per le osservazioni empiriche, i modelli matematici e le analisi statistiche.

E' importante notare che gli Austriaci rappresentano una voce di minoranza nel panorama economico e sono ampiamente emarginati nel mondo accademico e nei media... contrariamente agli economisti keynesiani. Chiedetevi perché. Non è certamente dovuto ad una teoria infondata. Forse a causa del pensiero accademico dominante, dal momento che le cattedre sono in gran parte negate agli Austriaci? O forse perché vi è una mancanza di incentivi finanziari per essere Austriaci, proprio perché gli Austriaci non possono essere comprati da stato, banchieri e lobbisti vari? Cosa ne pensate?




I contributi Austriaci al pensiero economico sono meglio evidenziati quando si confronta l'economia Austriaca con l'economia keynesiana. Di seguito trovate 3 esempi di come gli Austriaci differiscono dai keynesiani.





Esempio 1: Il Ruolo del Risparmio, del Capitale e dei Prezzi

I keynesiani sostengono che i consumatori e la spesa pubblica alimentino la crescita economica e che il PIL determini la forza dell'economia. Considerando il risparmio come il nemico della crescita, i keynesiani sostengono una spesa in deficit, un'inflazione monetaria e tassi di interesse artificialmente bassi in modo da aumentare la "domanda aggregata". Ovviamente l'inflazione, la spesa e il debito distruggono il risparmio, il capitale e i prezzi.

“Keynes non ci ha insegnato a trasformare le pietre in pane, ma a mangiare i semi del grano.” — Mises

Gli Austriaci, invece, considerano il risparmio e la produzione come quegli elementi che guidano la crescita economica e determinano la forza di un'economia. Inoltre gli Austriaci riconoscono che i prezzi agiscono come segnali nell'economia, e che i tassi di interesse e i prezzi determinano la quantità di risparmio e la produzione nell'economia.

“L'essenza del keynesismo è la sua totale incapacità di concepire il ruolo che svolgono il risparmio e l'accumulo di capitale per il miglioramento delle condizioni economiche.” — Mises



Esempio 2: La Causa delle Recessioni

I keynesiani attribuiscono le recessioni ai cosiddetti "spiriti animali" che guidano la fiducia dei consumatori e ad una diminuzione della spesa, con la comparsa di uno degli acerrimi nemici keynesiani: il risparmio (o "accaparramento"). Secondo i keynesiani il risparmio conduce a "salari viscosi", licenziamenti, meno consumi e meno spesa. I keynesiani sostengono che il rimedio sia una spesa in deficit maggiore e tassi di interesse artificialmente bassi (si pensi allo "stimolo" del 2009 e a quello degli ultimi anni, alle "opere pubbliche" di FDR e ai progetti "shovel-ready" di Obama).

“Quello che (Keynes) fece veramente, fu scrivere una giustificazione per le politiche prevalenti dello stato.” — Mises

Gli Austriaci attribuiscono le recessioni all'interventismo dello stato e della FED, non a cause nebulose o agli "spiriti animali". La Teoria Austriaca del Ciclo Economico (ABCT) descrive accuratamente i boom e i bust dei cicli economici. In breve, ecco come funziona:

  • La FED abbassa artificialmente i tassi di interesse e crea nuovi fondi "a buon mercato" da pompare nell'economia;

  • Il denaro a buon mercato finisce tipicamente in quei settori dell'economia già distorti dall'intervento statale (pensate al settore immobiliare a metà degli anni 2000);

  • Queste distorsioni fanno sembrare alcuni investimenti più redditizi rispetto a quanto lo sarebbero stati in un libero mercato;

  • L'economia va in crisi quando i tassi di interesse salgono poiché diminuiscono risorse e risparmio.

Gli Austriaci hanno ragione quando dicono che la "domanda" artificiale creata dalla FED — che ha causato il boom — deriva dall'inflazione e non dal risparmio reale. Gli Austriaci ritengono che il rimedio sia quello di eliminare l'interventismo e lasciare che i mercati si ripuliscano.

“La causa ultima di quel fenomeno composto da ondate di alti e bassi economici è puramente ideologica. I cicli non scompariranno finché la gente crederà che il tasso di interesse può essere ridotto dalla politica bancaria, e non attraverso l'accumulo di capitale.” — Mises



Esempio 3: Inflazione

I keynesiani hanno cambiato la definizione classica di inflazione. Secondo i keynesiani l'inflazione è un aumento dei prezzi, e per la crescita economica è necessario un tasso costante di inflazione.

“Mediante un processo continuo di inflazione, gli stati possono confiscare, segretamente e inosservati, una parte importante della ricchezza dei loro cittadini.” — J. M. Keynes
“L'inflazione continua porta inevitabilmente ad una catastrofe.” — Mises

Gli Austriaci definiscono l'inflazione come l'espansione artificiale della massa monetaria. L'aumento dei prezzi è solo un sintomo dell'inflazione dell'offerta monetaria e di tassi di interesse artificialmente bassi. Gli Austriaci comprendono che un calo dei prezzi è un fenomeno naturale, poiché migliorano tecnologia e capacità di produzione, e ciò va a beneficio della popolazione in generale (pensate al calo dei prezzi negli Stati Uniti per tutto il XIX secolo). Gli Austriaci riconoscono che l'inflazione alimenta un consumo di capitale, scoraggia il risparmio, agisce come una tassa che distrugge il potere d'acquisto della moneta e falsifica il calcolo economico.

“I sostenitori di un controllo statale non possono fare a meno dell'inflazione. Ne hanno bisogno per finanziare la politica di spesa sconsiderata e per sovvenzionare o corrompere gli elettori... L'inflazione è il complemento fiscale dello statalismo e del governo arbitrario. Si tratta di un ingranaggio nelle complesse trame della politica che porta gradualmente verso il totalitarismo.” — Mises

Altri contributi Austriaci importanti al pensiero economico comprendono il "problema del calcolo economico", la teoria del capitale e degli interessi, e la teoria della moneta e del credito:

Il problema del calcolo economico si riferisce al problema del socialismo. In breve, il problema del socialismo è il problema dei prezzi distorti. In un'economia socialista o pianificata centralmente, l'interventismo distorce i prezzi e alloca malamente le risorse al punto che per gli individui diventa impossibile prendere decisioni economiche razionali ed efficienti. Hayek affrontò questo problema in The Road to Serfdom, e Mises in Economic Calculation in the Socialist Commonwealth. Applicate questa lezione all'assistenza sanitaria negli Stati Uniti di oggi, o pensate alla bolla immobiliare a metà degli anni 2000.

Eugen von Böhm-Bawerk sviluppò per primo la teoria del capitale e degli interessi, distruggendo la teoria del valore del lavoro di Marx e la teoria dello sfruttamento. Disse che i tassi di interesse e il profitto sono determinati dalla domanda, dall'offerta e dalla preferenza temporale. Quest'ultima si riferisce a quelle persone che imputano un valore maggiore al consumo attuale rispetto a quello futuro. L'enfasi sul ruolo del tempo per spiegare l'azione umana è una caratteristica distintiva dell'economia Austriaca.

Se si vuole comprendere appieno l'economia Austriaca bisogna comprendere anche la teoria della moneta e del credito. Mises nel 1912 vi scrisse un libro intitolato, The Theory of Money and Credit.

“L'economia non deve essere lasciata a circoli esoterici. Incarna la filosofia della vita e dell'azione umana, e riguarda tutto e tutti. Incarna il midollo della civiltà e dell'esistenza umana. Non vi è alcun mezzo attraverso il quale si può eludere la responsabilità personale. Chi trascura di esaminare al meglio delle sue capacità tutti i problemi che si trova davanti, si arrende volontariamente ad un'élite auto-nominata di superuomini. In questioni vitali la fiducia cieca negli "esperti" e l'accettazione acritica di slogan e pregiudizi popolari, equivale ad abbandonare l'auto-determinazione e a subordinarsi alla dominazione di altre persone. Da come stanno le cose oggi, per ogni uomo intelligente nulla può essere più importante dell'economia. C'è in gioco il suo destino e quello della sua progenie. Pochi sono capaci a contribuire allo sviluppo del pensiero economico. Ma tutti gli uomini dotati di ragione sono chiamati a familiarizzare con gli insegnamenti dell'economia. Nella nostra epoca, questo è il nostro dovere civico primario. Che ci piaccia o no, è un fatto che l'economia non possa diventare un ramo esoterico del sapere accessibile solo a piccoli gruppi di studiosi e specialisti. L'economia si occupa dei problemi fondamentali della società; riguarda tutti e appartiene a tutti. E' lo studio principale e appropriato per ogni cittadino.” – Ludwig von Mises

E questa è una breve introduzione all'economia Austriaca. Ora capite l'importanza dell'economia Austriaca?

Forse un buon modo per rispondere a questa domanda sarebbe quello di porsene un'altra: Se la maggior parte degli americani avesse posseduto una comprensione di base dell'economia Austriaca, sarebbe accaduta lo stesso la crisi finanziaria del 2008?


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


venerdì 20 febbraio 2015

Perché la Grecia deve ripudiare i suoi debiti e uscire dall'euro





di David Stockman


Di tanto in tanto la storia raggiunge un punto di svolta. Statisti e semplici politici si ritrovano a doversi confrontare con situazioni spinose e scelte difficili. Febbraio 2015 è uno di questi momenti.

Da parte sua, la Grecia si trova ad un bivio. Syriza può muoversi per recuperare la sovranità democratica della Grecia, o può aggrapparsi disperatamente ad un euro vacillante e ai macchinari finanziari della zona Euro. Non può fare entrambe le cose.

Così quando l'attuale accordo di salvataggio scadrà a fine mese, la Grecia deve ripudiarlo e allontanarsi dalla rampa dell'euro. In caso contrario, non avrà alcuna speranza di vedere una ripresa economica o di ripristinare un governo proprio, e Syriza avrà tradito il suo mandato.

Inoltre la posta in gioco va al di là dei suoi confini nazionali. Se i greci non prendono posizione per la propria dignità e indipendenza di fronte a quella che equivale ad una Termopili finanziaria, neppure il resto d'Europa potrà mai sfuggire al superstato disfunzionale, autocratico e impoverente che si è metastatizzato a Bruxelles e a Francoforte sotto la copertura di "progetto europeo".

In effetti, la corruzione del capitalismo clientelare delle banche e dei mercati finanziari sta inesorabilmente distruggendo l'UE e la moneta unica. Lasciando l'euro e la BCE in tutta fretta, quindi, i greci avranno la possibilità di staccarsi dal più grande disastro monetario mai avvenuto nella storia.

Il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, ha il peso della storia sulle sue spalle mentre questa settimana fa il giro delle capitali europee. Il suo compito non è solo quello di rinunciare alla presunta "austerità" dettata dalla Troika. A quanto pare anche i francesi sono pronti a riconoscere che debba essere alleviata l'orrenda sofferenza imposta ai cittadini meno fortunati della Grecia. Eppure suddetta sofferenza è solo un sintomo di ciò che non va e ciò che potrebbe essere una vera e propria soluzione.

Il vero male è iniziato con i salvataggi stessi, il danneggiamento del price discovery nei mercati finanziari e la disintegrazione delle prerogative democratiche. Di conseguenza i termini dell'attuale servitù della Grecia non possono essere modificati, "ristrutturati" e "scambiati" nell'ambito del piano di salvataggio di Bruxelles.

Invece Varoufakis deve ribadire fermamente ai suoi interlocutori qual è la vera condizione che hanno davanti. Vale a dire, lo stato greco era effettivamente fallito ancor prima del piano di salvataggio del 2010, e le enormi quantità di debito accumulate successivamente non rappresentano altro che un palliativo fraudolento dell'UE.

Di conseguenza il debito legittimo della Grecia è forse $175 miliardi in base al debito pre-crisi, ai tassi di cambio di oggi e all'haircut che si sarebbe verificato in caso di fallimento. Il nuovo governo della Grecia ha tutto il diritto di ripudiare la grande mole di debiti che la soverchiano, perché non nasce dalle azioni del popolo greco, ma dal tradimento dei politici europei e dei burocrati della Troika — insieme ai burattini europei nel parlamento greco e ai ministri che hanno eseguito i loro comandi fraudolenti.

Infatti lo scopo dei prestiti dell'UE, della BCE e del FMI alla Grecia era semplicemente ignobile. Il superstato europeo ha schierato i suoi vasti poteri fiscali e monetari affinché le banche tedesche, francesi, italiane e altre istituzioni finanziarie si ingozzassero del debito sovrano della Grecia. Per più di un decennio giocatori d'azzardo incuranti, money manager e banchieri si sono caricati di debito greco che rendeva un certo premio rispetto ai bond tedeschi e statunitensi, ma che in realtà non compensava nemmeno lontanamente il rischio di credito incorporato nella dissolutezza fiscale della Grecia.

Tutto questo era alla luce del sole. Negli anni prima della crisi, e in particolare sotto il governo Karamanlis, la spesa in rapporto al PIL della Grecia è salita. Ma Atene non si è preoccupata di imporre le tasse necessarie per ripagare i suoi spettacoli pubblici, come le Olimpiadi del 2004, la sua vasta espansione della burocrazia statale, il suo spreco di denaro in equipaggiamenti militari tedeschi, o le sovvenzioni sempre crescenti a gruppi con interessi speciali.





All'epoca era evidente che la sua economia stava finendo velocemente in crisi, come mostrato dall'impennata del deficit delle partite correnti. Infatti le banche del nord Europa la stavano inondando di debito mispriced, causando un'orgia di indebitamento e spesa insostenibili.




Infatti, dieci anni prima della crisi, i prestiti alle famiglie e alle imprese sono saliti del 5X. Ma a differenza del credo keynesiano standard, la spesa per investimenti e consumi finanziata da questa eruzione di debiti non è reale o sostenibile. Certo, ha fatto sembrare fantastici i numeri del PIL, ma il peso effettivo del debito pubblico della Grecia è diventato ancor più oneroso — soprattutto dopo che Goldman e altre banche hanno profumato il cadavere greco con schemi contabili illeciti e derivati predatori.




L'impatto spiacevole di tutta questa ingegneria finanziaria si evince dai due grafici qui sotto. Mostrano quello che stava veramente accadendo al debito pubblico della Grecia — soprattutto grazie alla possibilità dei suoi politici dissoluti di accedere ai mercati internazionali del debito a tassi super convenienti.

In realtà la Grecia si era incamminata sul sentiero verso la bancarotta 25 anni prima, ma grazie al boom monetario europeo dopo la fine del secolo scorso e ai falsi rendimenti del suo debito denominato in euro, il debito pubblico della nazione in rapporto al PIL ha potuto prolungare la sua vita. L'entrata nell'euro ha solo rimandato nel tempo l'inevitabile bancarotta della Grecia, mascherando questo periodo di pseudo-stabilità sotto le spoglie di una falsa prosperità economica.





Ma quando è arrivata la crisi, si trattava solo di salvare il sistema marcio che aveva permesso assunzioni di rischi imprudenti e il mispricing del debito sovrano in tutto il sistema finanziario europeo. I burocrati europei non si sono mai curati della situazione del popolo greco. Le loro macchinazioni disperate erano intese a placare gli speculatori nel mercato finanziario che altrimenti avrebbero provocato un aumento del servizio del debito in tutta l'Unione Europea, generando così una crisi che avrebbe fatto crollare la macchina dell'euro e i governanti del superstato dell'UE a Bruxelles.

Quindi devono essere rettificati cinque anni di falso storico. La dura verità è che oggi ad Atene vedove e bambini, tra gli altri, stanno morendo di fame affinché gli speculatori finanziari non abbiano un attacco isterico e i burocrati dell'UE possano restare al potere.

Varoufakis stesso l'ha detto di recente in modo cristallino:

L'Europa nella sua infinita saggezza ha deciso di affrontare questo fallimento caricando il più grande prestito nella storia umana sulle deboli spalle del contribuente greco. Quello che abbiamo sperimentato sin da allora è stato una sorta di waterboarding fiscale che ha trasformato questa nazione in una colonia piena di debiti.

Il vero assalto alla Grecia e alla gente comune di ogni altro paese europeo, viene dalla corruzione della banca centrale e da quella nel mercato del debito sovrano; e dal capitalismo clientelare associato ai salvataggi bancari. Eliminando il rischio di credito e abbassando artificialmente il rendimento sul debito pubblico, il superstato europeo ha soppiantato il vecchio price discovery, la responsabilità e l'onestà in tutto il mercato del debito sovrano europeo.

Di conseguenza, e come esemplificato dai rendimenti dei decennali di oggi a 160 bps (Italia), 54 bps (Francia) e 26 bps (Germania), il mercato del debito pubblico europeo è diventato un fenomeno da baraccone finanziario. Questi prezzi folli non hanno nulla a che fare con la "deflazione"; sono doni elargiti dal front-running degli speculatori, che, dopo cinque anni di salvataggi e ZIRP, hanno tutte le ragioni per credere che i pazzi nel superstato europeo non consentiranno mai che abbiano nemmeno un centesimo di perdite.

Inutile dire che esentare i banchieri e gli investitori dalle conseguenze della loro follia e avidità, è nemico di un governo democratico. Come è ormai evidente dal torpore economico europeo e dalle varie fratture politiche, questa situazione porta inesorabilmente ad un controllo centralizzato sulla vita fiscale e su quella dei mercati finanziari; è la ragione per cui il popolo greco è stato spogliato della sua sovranità e trasformato in schiavo del debito dai burocrati europei.

Quindi deve essere ripristinato lo status quo, e non è difficile immaginare come potrebbe succedere. Se ai partiti responsabili della dissolutezza fiscale greca fosse stato permesso di fare un passo avanti e assumersi le spiacevoli responsabilità delle loro precedenti azioni, il risultato sarebbe stato una bancarotta — pur sempre dolorosa, ma avrebbe punito i veri colpevoli e avrebbe aperto la strada ad una ripresa costruttiva.

In primo luogo le sciocche banche europee e gli speculatori obbligazionari che ignoravano i rischi delle finanze della Grecia, avrebbero subito profondi haircut (necessari per rimettere su una carreggiata sostenibile il debito della Grecia). Non ci sarebbe stato nessun nuovo debito per salvare quegli operatori finanziari che avevano attirato il governo della Grecia verso prestiti insostenibili ad interessi artificialmente bassi; e le perdite non sarebbero state trasferite in modo fraudolento da queste istituzioni finanziarie a Main Street. Piuttosto che impennarsi al suo livello attuale di $350 miliardi, il debito della Grecia sarebbe stato rinegoziato ai $230 miliardi a cui si avvicinava nel 2010.

Inoltre, se fosse stato permesso alla crisi di fare il porprio corso, le conseguenti perdite per banche e speculatori avrebbero trasmesso due messaggi fondamentali — senza i quali né la democrazia politica, né mercati finanziari onesti possono sopravvivere.

Il primo messaggio avrebbe ricordato di come siano estremamente importanti la situazione finanziaria e le politiche fiscali di ogni singolo stato dell'UE; non ci sarebbe mai stata alcuna mutualizzazione del debito nei documenti e nei trattati dell'UE, e nessun motivo di credere che i mercati l'avrebbero richiesta qualora fosse diventata conveniente.

Il secondo messaggio, il più importante, avrebbe ricordato che c'è un grande fattore di rischio insito nel debito sovrano denominato in euro, perché a meno che l'esercito tedesco non occupi l'Europa, non vi è la possibilità di costringere un qualsiasi Paese membro a rispettare i limiti fiscali dei trattati o anche a rimanere nell'UE.

Se fosse accaduto tutto ciò, gli scommettitori a Londra e a Zurigo e i banchieri a Monaco di Baviera e a Parigi si sarebbero ritrovati per le mani titoli denominati in dracme da 20 centesimi l'uno. Il capitalismo clientelare che anima queste istituzioni sarebbe stato costretto a trovare nuove linee di approviggionamento.

E non usiamo mezzi termini. Gli stati saranno sempre tentati di emettere debito oltre le loro capacità. L'unico modo per impedirglielo è quello di lasciare che i banchieri e gli investitori che acquistano questo pattume obbligazionario affrontino il rischio di perdite — sia nei loro bilanci, sia nelle loro prospettive di carriera.

Lasciate che vi dica un'altra cosa. Se la Grecia fosse andata in bancarotta nel 2010, allora il "price discovery" nei mercati del debito sovrano europeo si sarebbe riappropriato del suo ruolo. Avremmo quindi assistito ad una terapia bidirezionale. I banchieri e gli investitori che avevano acquistato spazzatura obbligazionaria greca sarebbero falliti, e i politici greci avrebbero dovuto affrontare il loro giorno della resa dei conti.

Infatti, a seguito di una bancarotta, sarebbe stato il popolo greco e il governo scelto da loro — non i burocrati zelanti della Troika — che avrebbero formulato e applicato le misure necessarie di austerità. Inutile dire che cinque fanni fa la calamità e l'imbarazzo di una bancarotta nazionale avrebbe incentivato l'elettorato greco a prendere a calci i politici corrotti e i capitalisti clientelari che avevano portato la nazione alla rovina.

E nonostante le scelte difficili post-bancarotta che avrebbe affrontato il nuovo governo, il periodo di austerità e auto-disciplina fiscale risultante avrebbe avuto uno scopo terapeutico. Cioè, avrebbe consentito allo stato greco di funzionare senza nuovi finanziamenti e di ripristinare finalmente il suo credito nei mercati internazionali dei capitali.

Se la Grecia fosse stata costretta alla bancarotta, sarebbe stato necessario un brutale regime di "austerità" (riducendo il deficit primario a zero); e non avrebbe avuto la possibilità di ricorrere alla stampante monetaria e monetizzare il suo debito fiscale. Ciò avrebbe causato un calo del tasso di cambio e una massiccia fuga di capitali e di risparmi.

Detto in altro modo, la democrazia greca sarebbe stata costretta a fare scelte difficili, tra cui profondi tagli alle pensioni, riduzione dei sussidi alle industrie nazionali e ai gruppi clientelari, abbattimento delle sue mastodontiche burocrazie pubbliche e dolorosi aumenti delle tasse per milioni di cittadini. Ma questo piano di austerità non sarebbe stato scritto a Bruxelles e consegnato da burocrati zelanti che parlano in francese, tedesco e inglese.

Invece i sacrifici e il dolore economico sarebbero stati approvati nelle aule del parlamento greco. Se i politici e i funzionari statali avessero tentato di imbrogliare, calciando il barattolo o indugiando nella spesa in deficit, sarebbero rimasti rapidamente a corto di denaro.

Allo stesso modo, ogni tentativo di far quadrare i conti monetizzando il debito avrebbe causato immediatamente dolore alla cittadinanza greca: crollo della dracma e impennata dei costi delle importazioni. In breve, l'ira della popolazione sarebbe stata incanalata lungo la giusta direzione — nei confronti dei politici di Atene, e non nei confronti di Frau Merkel e dei burocrati senza volto inviati in Grecia per consegnare i suoi dettami.

Quindi se il compito è quello di riportare indietro le lancette dell'orologio al 2009, quali sono i calcoli da fare per ripudiare e alienare in frode ai creditori dell'UE $175 miliardi e come può farlo il nuovo governo greco?

La prima parte è semplice. Sulla base dei numeri ampiamente diffusi da Bruegel, la Grecia deve al FMI $35 miliardi. Deve ripudiare tutto il suo debito nei confronti del FMI, perché nessun governo greco dovrebbe più andare mano nella mano con tale istituzione. Il FMI è un istituto ripugnante — una gigantesca fonte di azzardo morale per i banchieri di tutto il mondo. Nel corso degli ultimi quattro decenni non ha fatto altro che salvare le scommesse andate male dei banchieri e dei gestori obbligazionari, e imporre terapie d'urto distruttive su nazioni fiscalmente fallite spogliandole, quindi, dell'obbligo di rettificare i propri eccessi e formulare i propri piani d'austerità e di recupero.

Infatti i greci avrebbero potuto fare un immenso favore al mondo, oltre ad andare in default per i debiti fraudolentemente veicolati dal FMI: avrebbero anche potuto minacciare di arrestare qualsiasi burocrate del FMI che avrebbe osato attraversare i loro confini. Saltimbanchi come la signora Lagarde devono capire che non stanno facendo il volere degli dei; e i legislatori a Washington, Londra e Tokyo che continuano a inviare assegni multi-miliardari al Fondo Monetario Internazionale, devono spiegare ai propri elettori perché le loro tasse vengono sprecate per salvare scommesse andate male dei banchieri internazionali.

Allo stesso modo, se un haircut del 50% è stato sufficiente per la Germania del 1953, dovrebbe essere altrettanto sufficiente per gestire gli impegni della Grecia nei confronti delle istituzioni europee. Secondo le stime di Bruegel, l'importo complessivo dovuto ai paesi della zona Euro e alla BCE è di circa $230 miliardi, il che significa che potrebbero essere essere condonati $115 miliardi.

Infine, dovrebbero essere ripudiati $25 dei $70 miliardi complessivi dovuti a banche private e a investitori obbligazionari al di fuori della Grecia. In pratica, quest'ultima operazione non equivarrebbe affatto ad un haircut rispetto al valore di mercato corrente di tali obblighi. Infatti gli hedge fund e gli altri scommettitori che hanno incamerato questa cartataccia obbligazionaria durante la ripresa illusoria dello scorso anno, sarebbero più che fortunati a recuperare 67 centesimi a dollaro.

Quindi il problema non sono i calcoli — è come realizzare questo progetto. La risposta è che deve essere fatto attraverso un annuncio, e non attraverso trattative. Il debito in questione non è legittimo; si tratta di un trasferimento fraudolento imposto al popolo greco da parte di burocrati e politici del superstato europeo.

Se annunciasse la sua uscita dalla zona Euro, la Grecia dovrebbe solo dire quanto e quando intenderebbe pagare a BCE/UE. Circa un secolo fa i francesi vendicativi erano disposti a concedere ad una Germania povera 50 anni per adempiere alle proprie riparazioni. Oggi i burocrati di una Berlino prospera dovrebbero essere felici di ricevere lo stesso trattamento.

Quindi la storia è arrivata ad un punto di svolta. Speriamo che la coalizione di politici di sinistra e ribelli anti-establishment a cui si è rivolto per disperazione il popolo greco, non venga ingannata dall'attuale coro di apologeti keynesiani nell'UE.

La Grecia non ha bisogno di accendere ulteriori prestiti, e annunciando pubblicamente il proprio rifiuto di pagare la prossima rata del piano di salvataggio, avrà già abbracciato questo principio cardine. Inoltre, dopo una sospensione necessaria del servizio del debito per 2-3 anni (in modo da poter stabilizzare la sua economia e le finanze pubbliche), potrà vivere con un modesto avanzo primario al fine di dedicare il 4% del PIL per ripagare i $175 miliardi di debito estero legittimo. Questa volta, quindi, gli avanzi di bilancio verrebbero utilizzati per il Paese stesso in cui è nata l'idea di governo del popolo.

La Grecia può ristabilire la propria banca centrale, la propria moneta e il proprio credito internazionale se è disposta a rispettare una seconda regola fondamentale. Vale a dire, alla sua banca centrale ricostituita deve essere costituzionalmente vietata la monetizzazione del debito dello stato greco o ricevere sussidi governativi dopo la sua capitalizzazione iniziale per creare un sistema monetario basato sulla dracma.

Lasciate che la sua banca centrale possegga RMB, USD e oro. Ai sensi di tale disposizione, i tassi di interesse interni verrebbero determinati dalle forze di mercato. La stampa sconsiderata di dracme per comprare uno di questi asset globali sarebbe chiaramente inutile — anche per i banchieri centrali. E un sistema finanziario e una valuta che limitano rigorosamente i banchieri centrali, in poco tempo diventerebbero il rifugio dei risparmiatori e attirerebbero afflussi di capitale esteri.

Infine, se il nuovo governo della Grecia ritiene di poter ripristinare la crescita economica e la prosperità attraverso gli investimenti pubblici — una convinzione che non regge affatto — è sufficiente che segua una terza regola. Cioè, trovare un modo efficace, equo e politicamente sostenibile per raccogliere il denaro attraverso la tassazione attuale.

E' ormai troppo tempo che la Grecia cerca di scappare dal suo inevitabile destino accendendo un prestito dopo l'altro.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/