giovedì 30 ottobre 2014

“Piena fiducia e credito” e altre illusioni





di Gary North


Circa la metà di tutti gli americani riceve sussidi governativi di un tipo o di un altro.

Secondo alcuni conservatori ciò rappresenterà la fine della Repubblica americana, la campana a morto della resistenza al welfare state. Non sarà così. E' esattamente il contrario: il segno dell'alta marea del welfare state americano. Perché? Perché gli elettori americani tempo fa hanno tracciato una linea nella sabbia su quanta tassazione sono disposti a tollerare. L'unico modo in cui il governo federale può mantenere il suo attuale livello di spesa, è attraverso l'indebitamento. Quando i finanziatori finalmente chiuderanno i loro portafogli per la vecchia bacucca più spendacciona al mondo -- il governo degli Stati Uniti -- l'esperimento della massiccia redistribuzione della ricchezza attraverso il governo si concluderà in un Grande Default.



PIENA FIDUCIA E CREDITO

La vecchia bacucca ha una frase preferita: "La piena fiducia e credito degli Stati Uniti." Questo significa una cosa precisa: la capacità del governo di estrarre ricchezza con la forza dai residenti negli Stati Uniti. Perché milioni di persone credono in questa frase e aprono i loro portafogli a questo debitore chiaramente fuori controllo? Perché i suoi difensori -- keynesiani, monetaristi, supply-siders -- affermano che non potrà mai ripagare i suoi debiti, né sarà mai forzata a farlo?

A parte gli economisti della Scuola Austriaca, quale scuola accademica ha chiesto un ritorno al 1836 -- il primo e l'ultimo anno in cui il governo degli Stati Uniti non doveva niente a nessuno?

Il governo degli Stati Uniti non può estrarre molta ricchezza supplementare dagli americani. Solo se diventano più ricchi, Washington può diventare più dissoluto. Ecco la grande ironia: è sempre andata così. Il presupposto che Washington possa estrarre ricchezza secondo la propria volontà, è una delle tante illusioni di economisti accademici e membri del Congresso. Questa ipotesi è stata da tempo confutata da varie prove storiche. La politica del debito federale punta ad un tetto permanente su quanto gli elettori sono disposti sborsare in tasse aggiuntive. Gli elettori sono indifferenti a quanto spende Washington. Si rifiutano semplicemente di pagare al posto suo.

Ormai dovrebbe essere chiaro che gli americani non tollereranno tasse federali superiori al 20% circa del PIL. Questo è stato vero fin dalla fine della seconda guerra mondiale. Anche con il livello di tassazione più elevato, nel 1944, il tasso non superò il 21%.


http://www.usgovernmentrevenue.com/revenue_history


Mettiamola in un altro modo: il governo non può avere accesso all'80% del PIL attraverso la tassazione diretta. Questa è la cosa più vicina ad una legge politica infrangibile.

Lo stato e la fiscalità locale non possono estrarre più del 13% della ricchezza dagli americani.


http://taxfoundation.org/article/short-history-government-taxing-and-spending-united-states


Conclusione: gli americani tratterranno i due terzi del PIL nei loro redditi. E' una cosa andata avanti per così tanto tempo che potremmo anche considerarla come una legge della politica.

Ora guardiamo le categorie di spesa del governo federale. Sono quasi tutte non discrezionali. In altre parole, sono bloccate.




La sorpresa nel breve periodo saranno i tassi di interesse. Il governo federale ha venduto un sacco di debito, e quando i tassi saliranno, perché saliranno quasi senza preavviso, il bilancio federale verrà seriamente intaccato. Non importa il debito che è dovuto direttamente al Federal Reserve System, perché ogni anno a gennaio la Federal Reserve restituisce retroattivamente la maggior parte del denaro al Tesoro. L'elefante nella stanza è il debito detenuto dal pubblico, il che significa dalle banche centrali estere; un rendimento del tasso di interesse al 6% creerebbe immediatamente una crisi di bilancio. Questa è spesa non discrezionale, ma può cambiare senza preavviso in un brevissimo periodo di tempo.

Le altre spese sono praticamente fissate in una percentuale del bilancio federale. Possono essere giostrate, ma non cambiano molto nel breve periodo.

Circa il 17% del deficit federale è soggetto a macchinazioni politiche: spesa discrezionale. Non è una grande percentuale. I politici passano tutto il loro tempo urlando, gridando e cercando di ottenere i voti per approvare nuovi programmi che dovranno essere finanziati da quel 17%.

L'era dei grandi programmi federali è finita.

L'unico modo in cui il governo federale può aumentare in modo significativo la sua spesa è attraverso ulteriore debito. Questo è quello che sta facendo. La popolazione non lo ostacola. La popolazione sa che non dovrà mai ripagare il debito, quindi perché gli elettori dovrebbero preoccuparsi di ostacolarlo? La popolazione, metà della quale ha il sussidio di disoccupazione, vuole mettere le mani sui soldi adesso, perché sono disponibili adesso. Potrebbero non essere disponibili domani. "Finché ci sono meglio prenderli" è l'atteggiamento della popolazione.



IL DEBITO FEDERALE DA' ASSUEFAZIONE

Il problema, naturalmente, è che il debito federale dà assuefazione. Il governo non può smettere di avere deficit giganteschi. Dal punto di vista politico, George W. Bush ha di recente impostato il modello, anche se il vero responsabile fu Ronald Reagan. Non importa chi l'ha fatto, la realtà è questa: il governo federale è dipendente dai deficit di bilancio. E' politicamente impossibile arrestare questo processo. L'abbiamo già testato. Siamo ben oltre il punto di non ritorno per azzerare il deficit federale, figuriamoci finire in eccedenza, cosa che sarebbe necessaria per estinguere il debito.

Praticamente tutti gli economisti e praticamente tutti i politici sono d'accordo su questo punto: non ci sarà mai un rimborso del debito federale. Non vi è alcun tentativo, e nessuna ideologia a sostegno, di ridurre il debito federale a zero in modo ordinato. In altre parole, dal punto di vista ideologico e da un punto di vista morale, abbiamo perso questa guerra molto tempo fa. Praticamente l'abbiamo persa nel 1837. Dal 1836 non abbiamo più avuto un governo federale senza debiti.

Se non siamo riusciti a vincere questa guerra sotto Martin Van Buren, che ha condiviso con Grover Cleveland il titolo di "presidente di un governo limitato", non ci riusciremo oggi.

Eppure sarà vinta. Non c'è ideologia a sostegno di una riduzione ordinata del debito federale. Questo garantisce una riduzione disordinata.



IL GRANDE DEFAULT

Il fatto che la metà della popolazione americana abbia il sussidio di disoccupazione è semplicemente una garanzia che ci sarà un Grande Default. I politici non possono scongiurare una cosa del genere. E' politicamente inarrestabile. Le passività fuori bilancio, cioè le passività non finanziate, non possono essere coperte. Sono nella gamma dei $200 bilioni. Pertanto, ci sarà un default. Ma questo non sarà la fine della Repubblica americana; sarà il suo restauro.

La bancarotta a livello federale non sarà la fine della Repubblica americana. Non vedo il motivo per cui sia difficile da comprendere. Sarà la base per un rinnovato decentramento, e quindi un ritorno a qualcosa di simile al mondo prima del New Deal. Se saremo in grado di convincere la popolazione a conoscere il Federal Reserve Act, ritorneremo allo stato della repubblica prima del 1913. Sarà il giorno della liberazione.

Le vittime ingenue che dipendono dai sussidi del governo federale soffriranno enormemente. Affronteranno una resa dei conti. La realtà fiscale cadrà su di loro come un macigno. Ma questa non sarà la fine della Repubblica americana. Sarà un annuncio sul conto bancario dell'impero americano: "Fondi insufficienti". Invece per coloro che hanno il sussidio di disoccupazione sarà: "Scusa tanto, Charlie."

Il governo federale non può approvare alcun nuovo piano di spesa importante. Non ha più un soldo, può solo prendere in prestito. Quando i tassi di interesse finalmente si invertiranno e risaliranno, i soldi in più che avrà il governo, presi in prestito dalla Federal Reserve, dovranno essere utilizzati per pagare gli interessi ai detentori di debito federale (a parte quello posseduto dalla Federal Reserve). Se ci sarà denaro extra nelle casse federali, non finirà in nuovi programmi federali. Andrà a persone che hanno prestato i soldi al governo. L'alternativa è un default palese. Ma questo poi porrà fine al grande inganno. Porrà fine alla diffusa fiducia nella frase ridicola e inverosimile "La piena fiducia e credito del governo degli Stati Uniti."



CONCLUSIONE

Ora siamo nella fase finale dell'illusione keynesiana. Stiamo spendendo come se non ci fosse un domani, ma questo ci condurrà alla bancarotta e non alla prosperità. Stiamo prendendo in prestito per ripagare il debito.

A livello nazionale, il governo federale ha firmato un mutuo "backward-walking". Rappresenta un mutuo in cui il proprietario della casa non riesce a pagare abbastanza al mese per ridurlo. Non riesce a stare al passo col capitale e con gli interessi. Quello che non riesce a pagare ogni mese viene aggiunto al capitale. Allo stesso modo il governo non sta ripagando il debito sulle sue passività non finanziate. Invece le sta ingigantendo, omettendo di ripagare l'importo dovuto: il capitale. Ad un certo punto chi ha sottoscritto un mutuo "backward-walking" verrà pignorato. Si scaverà una fossa da cui non avrà scampo. Ma dal momento che i creditori non possono pignorare il governo federale, resteranno con una pila di IOU in mano: "Piena fiducia e credito, scemi!"

Nessun gruppo ha creduto alla "piena fiducia e credito" con più impegno e adulazione degli economisti accademici. Hanno messo in gioco la loro reputazione e la loro influenza in base a questa frase. Individualmente e collettivamente, hanno scommesso la fattoria sui mutui "backward-walking" dell'Occidente, nazione dopo nazione. Hanno creduto in un mondo senza pignoramenti. C'hanno creduto anche i politici. C'hanno creduto anche gli elettori. Oltre alla "piena fiducia e credito", hanno adottato il suo inevitabile corollario politico: "Calciare il barattolo".

Keynes respinse le preoccupazioni circa l'inevitabile risultato statistico di un tale mutuo: il default. Ci scherzò su: "Nel lungo periodo siamo tutti morti." In un epitaffio davvero ingenuo, difese l'espressione "calciare il barattolo" trasformandola in "calciare il secchio".

Keynes aveva torto. Nel lungo periodo non siamo tutti morti, il keynesismo lo sarà invece. "Fondi insufficienti".


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


10 commenti:

  1. Ciao Francesco

    negli States forse andra' così: decentramento e ritorno ad un governo limitatissimo.
    Da noi tutto cio' mi pare improbabile. Nella nostra storia futura immagino forse prove di secessione nel nord, ma piu' probabili occupazioni finanziarie straniere con relative nuove sudditanze.
    Insomma, come nella vecchia barzelletta dell'emigrato che torna a Napoli nel 2030 e trova che tutto funziona alla perfezione e dopo lo stupore scopre di pagare il caffe' in marchi...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Dna.

      A livello europeo sono convinto che ci sarà decentramento, il piano sognato da Monnet nei primi anni del secolo scorso finirà in frantumi. Sta già finendo in frantumi. Proveranno ad unire fiscalmente tutti i Paesi dell'UE. E' il destino di qualsiasi opera pianificata centralmente. Ma non sopravviverà, non riuscirà a passare la prova del lungo termine. Da questo punto di vista i tedeschi saranno come gli Stati Uniti: "Fin qui e non oltre." Nonostante quello che possano pensare i burocrati tedeschi, la popolazione teutonica non ci starà a farsi spennare per bene da una manica di spendaccioni del Sud. Questo significa che ad un certo punto ognuno andrà per sé, ritornando ai vecchi confini pre-1999.

      Ma una cosa è certa: sia Europa sia Stati Uniti hanno sottoscritto un default disordinato.

      Elimina
    2. Verissimo.
      Solo una guerra potrebbe forzare gli eventi diversamente.
      Il massimo della manipolazione: la violenza.

      Cmq, se qualcuno volesse tornare alla lira, io non mi opporrei, a patto che fosse diritto umano e sociale riconosciuto a tutti quello di poter utilizzare la moneta che preferisce. Senza imposizioni tiranniche.
      ;)

      Elimina
  2. bah, io vedo male gli states ma male anche l europa. non i sa più dove rifugiarsi :)

    RispondiElimina
  3. tira brutta aria, non sai più dove delocalizzrati.

    RispondiElimina
  4. Apparentemente off topic vorrei che leggeste questo post molto interessante per commentarlo insieme
    http://www.keinpfusch.net/2014/10/come-beccarsi-uno-stato-peggiore-dello.html
    Il tema mi ha colpito ma non mi convince un punto: se i soldi pagati dai ricchi per i servizi di scala siano davvero così tanti rispetto a qualunque "tassazione eccessiva" (locuzione volutamente vaga) da fare rimpiangere la tassazione classica; tanto più che non si parla di inflazione.

    Riccardo Giuliani

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Riccardo.
      Chi ha scritto quel pezzo e' un paraculo che mischia le carte.
      I prezzi diminuiscono se erano in bolla. Gonfiati. L'offerta giusta crea la domanda. Il prezzo e' una scoperta che incontra offerta e domanda. Pasti gratis non ce ne sono mai. E' il progresso tecnologico che abbassa i costi di produzione. Efficienza. L'inflazione monetaria alza i prezzi gradualmente ma non uniformemente. Qualcosa aumenta. Altre cose meno o per niente.
      Lo stato fa pagare di piu gli stessi servizi dei privati perche' inefficiente. Non conosce il calcolo economico.

      Elimina
    2. Ciao Riccardo.

      Uriel lo leggo quando parla di politica. Lì dà il meglio di sé. Quando invece inizia ad incartarsi sull'economia tira fuori dei mischioni confusionari che travisano alcuni concetti. Un esempio concreto di quello di cui parlo l'ho fornito tempo addietro qui: http://johnnycloaca.blogspot.com/2011/07/i-nuovi-pasticci-di-uriel.html

      Elimina
    3. Grazie ad entrambi, leggerò i post linkati appena potrò.
      Mi serviva un confronto veloce perché qualcosa non mi quadrava: ho sentito puzza di "non sequitur" ma non riesco ancora ad inquadrare tutto per bene.

      Riccardo Giuliani

      Elimina