venerdì 10 ottobre 2014

La depressione dimenticata del 1920





di Thomas E. Woods, Jr.


[Questo articolo è stato dapprima pubblicato su The Intercollegiate Review nell'autunno del 2009.]


E' un luogo comune pensare che se non studiamo il passato siamo condannati a ripeterlo. E' quasi altrettanto certo, però, che se ci sono lezioni da imparare da un episodio storico, la classe politica ripeterà tutti gli errori — e spesso volutamente.

Avulsi da una visione del passato come potenziale fonte di sapienza e intelligenza, i governi politici hanno l'abitudine di impiegare la storia come un'arma ideologica, distorcendola e manipolandola a servizio delle ambizioni attuali. Questo è ciò che Winston Churchill intendeva quando definì "imprevedibile" la storia dell'Unione Sovietica.

Quindi non dovremmo sorprenderci se i nostri leader politici hanno fatto un uso ideologico del passato dopo che la crisi finanziaria ha investito gli Stati Uniti alla fine del 2007. Secondo la saggezza convenzionale, la Grande Depressione degli anni '30 è stato il risultato del capitalismo selvaggio, e solo gli interventi saggi dei politici progressisti hanno ripristinato la prosperità.

Chi sostiene che i programmi del New Deal non sono riusciti a risollevare il paese dalla depressione, tendono a suggerire che ci sia riuscita l'enorme spesa pubblica durante la seconda guerra mondiale.[1] (Tra cui anche alcuni sedicenti sostenitori del libero mercato, i quali reputano necessario uno stimolo fiscale.)

Il collegamento tra questa versione della storia e gli eventi di oggi è abbastanza ovvia: ancora una volta il capitalismo selvaggio ha creato scompiglio, e l'unica cosa che ci puo' salvare è l'accoppiata stimolo fiscale e stimolo monetario.

Per fare in modo che questa versione degli eventi regga, non viene mai fatta menzione della depressione del 1920-1921. E non c'è da stupirsi — quell'esperienza storica sgonfia le ambizioni di coloro che ci promettono soluzioni politiche agli squilibri reali.

La saggezza convenzionale sostiene che, in assenza di una politica anticiclica del governo, ossia, o uno stimolo fiscale o uno monetaria (o entrambi), non possiamo aspettarci una ripresa economica — almeno non senza un ritardo intollerabile. Eppure durante la depressione del 1920-1921 vennero perseguite politiche opposte, e la ripresa non tardò ad arrivare.

La situazione economica nel 1920 era triste. In quell'anno la disoccupazione era salita dal 4% a quasi il 12%, e il PNL era diminuito del 17%. Non c'è da stupirsi, quindi, se il Segretario del Commercio Herbert Hoover — erroneamente definito come sostenitore del laissez-faire — avesse esortato il presidente Harding a prendere in considerazione una serie di interventi per stimolare l'economia. Hoover venne ignorato.

Invece dello "stimolo fiscale", Harding tagliò il bilancio dello stato di quasi la metà tra il 1920 e il 1922. L'approccio di Harding era orientato al laissez-faire. Le aliquote fiscali vennero tagliate per tutte le fasce di reddito. Il debito nazionale venne ridotto di un terzo.

L'attività della Federal Reserve, inoltre, fu quasi impercettibile. Come lo descrive uno storico dell'economia: "Nonostante la gravità della contrazione, la FED non usò i suoi poteri per intervenire sull'offerta di moneta e combattere la contrazione."[2] Alla fine dell'estate del 1921, i segnali di ripresa erano già visibili. L'anno successivo, la disoccupazione era di nuovo tornata al 6.7% e al 2.4% nel 1923.

E' istruttivo confrontare la risposta americana in questo periodo con quella del Giappone. Nel 1920 il governo giapponese introdusse i fondamenti di un'economia pianificata con l'obiettivo di mantenere i prezzi artificialmente alti. Secondo l'economista Benjamin Anderson:

Si riunirono le grandi banche, le industrie e il governo e distrussero la libertà dei mercati, fermarono il calo dei prezzi delle materie prime e per sette anni mantennero il livello dei prezzi al di sopra di quello mondiale. In quegli anni il Giappone sopportò una stagnazione industriale cronica e alla fine, nel 1927, sperimentò una crisi bancaria di una tale gravità che crollarono molti grandi sistemi bancari, così come molte industrie. Fu una linea politica stupida. Nel tentativo di evitare le perdite sulle scorte della produzione di un anno, il Giappone perse sette anni.[3]

Gli Stati Uniti, al contrario, permisero alla loro economia di aggiustarsi. "Nel 1920-21," scrive Anderson:

abbiamo avuto le nostre perdite, abbiamo riadattato la nostra struttura finanziaria, abbiamo sopportato la nostra depressione e nell'agosto 1921 siamo ripartiti [...]. Il rally nella produzione delle imprese e nell'occupazione che iniziò nell'agosto 1921, si basò profondamente su una drastica pulizia delle debolezze del credito, una drastica riduzione dei costi di produzione e sulla libera azione dell'impresa privata. Non si basò su una politica governativa pianificata.

Il governo federale non fece quello che gli economisti keynesiani avrebbero invitato a fare: avere bilanci squilibrati e pompare l'economia attraverso l'aumento delle spese. Prevalse piuttosto la visione antiquata che lo stato avrebbe dovuto mantenere una tassazione e una spesa bassi, e avrebbe dovuto ridurre il debito pubblico.[4]

Quelli erano i temi economici della presidenza di Warren Harding. Pochi presidenti sono stati sottoposti al grado di sbeffeggiamento a cui venne sottoposto Warren Harding durante la sua vita e aanche dopo la sua morte. Ma i pregiudizi riguardo Harding sono sbagliati: anche la presunta "corruzione" della sua amministrazione era un fatto minore rispetto alle trasgressioni presidenziali che da allora abbiamo dato per scontato.

Nel suo discorso di accettazione alla nomination presidenziale repubblicana del 1920, Harding dichiarò:

Perseguiremo una deflazione intelligente e coraggiosa, e colpiremo il debito pubblico che rappresenta un male, e attaccheremo i costi elevati dello stato con ogni energia che ci resta. Vi promettiamo conforto, il quale scaturirà dalla fine degli sprechi e della stravaganza, e il rinnovamento dell'economia pubblica, non solo perché sarà alleviata dagli oneri fiscali, ma anche perché sarà un esempio per stimolare il risparmio e la parsimonia nella vita privata.

Facciamo appello a tutte le persone affinché risparmino e siano parsimoniose, affinché facciano qualche sacrificio se necessario, affinché si schierino contro la stravaganza ed il lusso, affinché riscoprano le gioie di una vita semplice, affinché riscoprano le gioie della prudenza che è la salute della repubblica. Non c'è mai stata una ripresa dallo spreco e dalle anomalie della guerra se non attraverso il lavoro e il risparmio, attraverso l'industria, mentre la spesa inutile e la stravaganza incurante hanno segnato ogni decadimento nella storia delle nazioni.

E' il caso di sottolineare che il discorso di Harding — tenuto durante un convegno politico — è l'opposto di quello che i presunti esperti di oggi ci spingono a fare. Inflazione, aumento della spesa pubblica, assalti al risparmio privato in combinazione con richieste di dissolutezza dei consumatori: tale è il programma per la "ripresa" nel XXI secolo.

Non sorprende che molti economisti moderni che hanno studiato la depressione del 1920-1921, non siano stati in grado di spiegare come la ripresa potesse essere così rapida ed efficace sebbene il governo federale e la Federal Reserve evitarono di impiegare uno qualsiasi degli strumenti macroeconomici — spesa per lavori pubblici, deficit pubblici e politica monetaria inflazionistica — che la saggezza convenzionale ora raccomanda come soluzione al rallentamento economico. L'economista keynesiano Robert A. Gordon ha ammesso che "lo stato non intervenne quasi per niente per moderare la depressione e velocizzare la ripresa. Le autorità della Federal Reserve rimasero in gran parte passive [...]. Nonostante l'assenza di una politica di stimolo, non tardò ad arrivare una ripresa."[5]

Un altro storico dell'economia ha ammesso che "l'economia rimbalzò rapidamente dopo la depressione 1920-1921 ed entrò in un periodo di crescita molto vigorosa," ma ha scelto di non commentare ulteriormente questo sviluppo.[6] "Questo accadde nel 1921," scrive il condiscendente Kenneth Weiher, "molto prima che il concetto di politica anticiclica venisse accettato o anche capito."[7] Possono non aver "capito" la politica anticiclica, ma la ripresa è arrivata comunque — e rapidamente.

Uno dei trattamenti più perversi dell'argomento arriva per mano di due storici della presidenza Harding, i quali affermano che senza la confisca di gran parte del reddito dei ricchi, l'economia americana non sarà mai stabile:

I tagli fiscali, insieme all'enfasi sul rimborso del debito pubblico ed una riduzione delle spese federali, vanno a vantaggio dei ricchi. Molti economisti concordarono sul fatto che una delle principali cause della Grande Depressione del 1929 fu la distribuzione ineguale della ricchezza, che sembrò accelerare nel corso degli anni '20 e che rappresentò il risultato del ritorno alla normalità. Nel 1929 il 5% della popolazione aveva più del 33% della ricchezza della nazione. Questo gruppo non è riuscito ad usare la sua ricchezza responsabilmente [...]. Invece ha alimentato una speculazione malsana nel mercato azionario, così come una crescita economica irregolare.[8]

Se questa teoria assurda fosse corretta, il mondo sarebbe in un costante stato di depressione. Non c'era nulla di insolito nello schema della ricchezza americana degli anni '20. Sono esistite disparità più gravi in innumerevoli luoghi e tempi senza che siano sfociate nel caos.

In realtà, negli Stati Uniti la Grande Depressione arrivò nel mezzo di un trend che portò all'aumento della quota di reddito nazionale destinata ai salari e agli stipendi — e un trend al ribasso riguardo la quota destinata ad interessi, dividendi e reddito da impresa.[9] Grazie al cielo non abbiamo bisogno dell'espropriazione violenta di ogni americano per raggiungere la prosperità.

Tuttavia non è sufficiente a dimostrare che la prosperità sia una cosneguenza dell'assenza di uno stimolo fiscale o monetario. Dobbiamo capire perché questo risultato è prevedibile — in altre parole, perché il ripristino della prosperità in assenza di rimedi centrali non sia una curiosità irrilevante o il risultato di una mera casualità.

In primo luogo, dobbiamo considerare il motivo per cui l'economia di mercato è afflitta dal ciclo boom-bust. L'economista britannico Lionel Robbins se lo chiese nel suo libro del 1934 La Grande Depressione: perché gli imprenditori cadrebbero in una "serie improvvisa di errori"?

Dato che il mercato, attraverso il sistema profitti/perdite, scarta gli imprenditori meno competenti, perché quelli relativamente più qualificati che il mercato ha premiato con i profitti e il controllo sulle risorse aggiuntive dovrebbero improvvisamente commettere gravi errori — e tutti nella stessa direzione? Questo fenomeno potrebbe essere spiegato da qualcosa al di fuori dell'economia di mercato piuttosto che al suo interno?

Ludwig von Mises e Friedrich A. von Hayek puntarono il dito contro l'espansione artificiale del credito, normalmente nelle mani di una banca centrale autorizzata dallo stato. (Hayek vinse il premio Nobel nel 1974 per il suo lavoro sulla cosiddetta teoria austriaca del ciclo economico.) Quando la banca centrale espande l'offerta di moneta — per esempio, quando acquista titoli di stato — crea denaro dal nulla.

Questo denaro o finisce direttamente nelle banche commerciali o, se i titoli sono stati acquistati da una banca d'investimento, ci finisce indirettamente quando le banche d'investimento depositano gli assegni della FED presso le banche commerciali. Allo stesso modo in cui il prezzo di qualsiasi bene tende a diminuire con l'aumento dell'offerta, l'afflusso di nuovi capitali porta ad una diminuzione dei tassi di interesse, dal momento che le banche sperimentano un aumento dei fondi mutuabili.

Tassi di interesse più bassi stimolano gli investimenti in progetti a lungo termine, i quali sono molto più sensibili al cambiemnto nei tassi di interesse rispetto a quelli a più breve termine. (Confrontate l'interesse mensile pagato su un mutuo trentennale con l'interesse pagato su un mutuo a due anni — un piccolo calo dei tassi di interesse avrà un impatto sostanziale sul primo, ma un impatto trascurabile sul secondo.) Investimenti supplementari, per esempio, nel settore della ricerca e sviluppo (R&S), che possono richiedere molti anni per vederne i frutti, sembrano improvvisamente redditizi (cosa impossibile senza costi di finanziamento più bassi causati da tassi di interesse più bassi).

Il settore R&S appartiene ad uno stadio della produzione "superiore" rispetto a quello della vendita al dettaglio, dato che i beni di quest'ultima sono immediatamente disponibili consumatore, mentre i risultati commercial della R&S saranno disponibili dopo un periodo di tempo relativamente lungo. Quanto più una fase della produzione è vicina al bene di consumo finito, più basso è lo stadio che occupa.

In un libero mercato i tassi di interesse coordinano la produzione nel tempo. Assicurano che la struttura della produzione sia configurata in modo conforme alle preferenze dei consumatori. Se i consumatori vogliono più beni esistenti, si espandono le fasi della produzione di ordine inferiore. Se, invece, sono disposti a rinviare il consumo nel presente, i tassi d'interesse incoraggiano gli imprenditori ad utilizzare questa opportunità per dedicare i fattori di produzione a progetti non orientati verso la soddisfazione immediata dei consumatori, ma che, una volta terminati, produrranno una maggiore offerta di beni di consumo.

Se nel nostro esempio i tassi di interesse più bassi fossero stati il risultato di un risparmio volontario da parte della popolazione (invece che di un intervento della banca centrale), la relativa diminuzione della spesa per consumi avrebbe liberato risorse da poter utilizzare nelle fasi della produzione di ordine superiore. In altre parole, in caso di risparmio genuino la domanda di beni di consumo subisce una diminuzione relativa; le persone risparmiano di più e spendono di meno rispetto al passato.

Le industrie produttrici di beni di consumo, a loro volta, subiscono una contrazione in risposta alla diminuzione della loro domanda. I fattori di produzione usati da queste industrie — servizi di autotrasporto, per esempio — vengono rilasciati affinché possano essere usati nelle fasi superiori della struttura della produzione. Stesso discorso per manodopera, acciaio e altri input non specifici.

Quando viene manomessa la struttura dei tassi di interesse, questa funzione di coordinamento viene interrotta. L'aumento degli investimenti nelle fasi della produzione di ordine superiore avviene in un momento in cui la domanda di beni di consumo non è rallentata. La struttura temporale della produzione è distorta a tal punto che non coincide più con le modalità temporali relative alla domanda dei consumatori. I consumatori chiedono prodotti nel presente in un momento in cui vengono intrapresi investimenti nella produzione futura.

Quando tassi di interesse più bassi sono il risultato della politica della banca centrale piuttosto che di un vero e proprio risparmio, la domanda dei consumatori non cambia. (Se non altro, tassi più bassi rendono le persone ancora più propense a spendere rispetto a prima.) In questo caso, le risorse non vengono rilasciate affinché possano essere utilizzate nelle fasi di ordine superiore. L'economia, invece, si trova in un braccio di ferro tra le tappe superiori ed inferiori della produzione.

Data la scarsità delle risorse, il conseguente aumento dei costi minaccia la redditività dei progetti di ordine superiore. La banca centrale può espandere ulteriormente il credito, al fine di rafforzare la posizione delle fasi di ordine superiore in questo braccio di ferro, ma si limiterebbe solamente a rinviare l'inevitabile.

Se la volontà espressa dalla popolazione attraverso il risparmio e il consumo non sosterrà la deviazione di risorse verso le fasi di ordine superiore, ma spingerà le risorse verso quelle aziende che si occupano direttamente dei beni di consumo finiti, allora la banca centrale finirà in guerra contro la realtà. E alla fine dovrà decidere se è pronta ad espandere il credito ad un ritmo maggiore (in modo da sostenere artificialmente la produzione di ordine superiore) e rischiare di distruggere del tutto la moneta, o se invece dovrà rallentare o abbandonare la sua espansione e lasciare che l'economia si aggiusti alle condizioni reali.

È importante notare che il problema non è una carenza di spesa al consumo, come recita la credenza popolare; semmai il problema viene da una spesa eccessiva per i consumi, e di conseguenza troppo poca canalizzazione dei fondi verso altri tipi di spesa — vale a dire, l'espansione delle fasi della produzione di ordine superiore non poò essere completata con profitto perché le risorse necessarie vengono sottratte proprio dalla forte (ed inaspettata) domanda di beni di consumo. Stimolare la spesa al consumo può solo peggiorare le cose, intensificando la pressione sulla redditività già traballante degli investimenti nelle fasi della produzione di ordine superiore.

Si noti inoltre che il fattore scatenante del ciclo economico non è un fenomeno intrinseco al libero mercato. E' un intervento sul mercato che genera il ciclo di crescita insostenibile e di inevitabile bust.[10] Come dice il teorico del ciclo economico Roger Garrison: "Il risparmio ci porta una crescita genuina; l'espansione del credito ci porta il boom e il bust."[11]

Questo fenomeno ha preceduto tutti i boom/bust della storia americana, tra cui il bust del 2007 e la contrazione del 1920-1921. Gli anni precedenti al 1920 furono caratterizzati da un massiccio aumento dell'offerta di moneta attraverso il sistema bancario, con gli obblighi di riserva che furono dimezzati dal Federal Reserve Act del 1913 e poi con una notevole espansione del credito da parte delle banche stesse.

I depositi bancari totali raddoppiarono tra il gennaio 1914, quando la FED aprì i battenti, ed il gennaio 1920. Tale creazione artificiale del credito mise in moto il ciclo boom/bust. Inoltre la FED mantenne basso il tasso di sconto (il tasso a cui presta direttamente alle banche) durante tutta la Prima Guerra Mondiale (1914-1918) e per un breve periodo in seguito. La FED cominciò a restringere la sua posizione alla fine del 1919.

L'economista Gene Smiley, autore di The American Economy in the Twentieth Century, osserva che "la visione più comune è che la politica monetaria della FED sia stata la principale causa della fine dell'espansione, dell'inflazione, dell'inizio della successiva contrazione e della grave deflazione."[12] Una volta che il credito iniziò a contrarsi, gli attori del mercato cominciarono improvvisamente a rendersi conto che la struttura di produzione doveva essere riorganizzata e che le linee di produzione dipendenti dal credito facile erano state un errore e dovevano essere liquidate.

Siamo ora in grado di valutare quelle proposte perennemente alla moda come lo "stimolo fiscale" e le sue varianti. Pensate alla condizione dell'economia a seguito di un boom artificiale. E' gravata da squilibri. Troppe risorse sono state impiegate nelle fasi della produzione di ordine superiore e troppo poche negli stadi di ordine inferiore.

Questi squilibri devono essere corretti da imprenditori che, allettati da alti tassi di profitto nelle fasi di ordine inferiore, facciano offerte per quelle risorse negli stadi che si sono espansi troppo e le allochino in quegli stadi di ordine inferiore dove sono più richieste. La libertà assoluta di oscillamento di prezzi e salari è indispensabile per l'adempimento di questo compito, dal momento che rappresentano ingredienti indispensabili per la valutazione imprenditoriale.

Alla luce di questa descrizione dell'economia post-boom, possiamo vedere come siano inutili, addirittura irrilevanti, i tentativi di stimolo fiscale. Il mero atto dello stato di spendere soldi su progetti scelti arbitrariamente, non fa nulla per correggere gli squilibri che hanno portato alla crisi.

Non è un calo della "spesa" di per sé che ha causato il problema. È la mancata corrispondenza tra il tipo di produzione da un lato e il modello di domanda dei consumatori dall'altro.

E non è ingiusto far riferimento ai destinatari dello stimolo fiscale come progetti arbitrari. Dal momento che lo stato deficita di un meccanismo di profitti/perdite e può acquisire risorse supplementari tramite l'esproprio, non ha modo di sapere se sta effettivamente soddisfacendo la domanda dei consumatori (se davvero dovesse preoccuparsene) o se sta sprecando risorse. Nonostante la retorica popolare, lo stato non può essere gestito come un'azienda.[13]

Nemmeno lo stimolo monetario è di qualche aiuto. Al contrario, intensifica solamente il problema. Nell'Azione Umana, Mises ha confrontato un'economia sotto l'influenza dell'espansione artificiale del credito ed un capomastro incaricato di costruire una casa che (a sua insaputa) manca di mattoni sufficienti per essere completata. Prima scoprirà il suo errore, meglio sarà. Più a lungo persisterà in questo progetto insostenibile, più risorse, tempo e lavoro sperpererà irrimediabilmente.

Lo stimolo monetario si limita a sollecitare gli imprenditori affinché persistano lungo le loro traiettorie di produzione non sostenibile; è come se invece di allertare il capomastro per il suo errore, ci si limitasse ad incitare il suo lavoro impedendogli di scoprire la verità. Ma tali misure non rendono il bust meno inevitabile — solo più doloroso.

Se il punto di vista vista austriaco è corretto — e credo che l'evidenza teorica ed empirica indichi fortemente che lo sia — allora l'approccio migliore per spronare una ripresa sarebbe quello di agire facendo l'opposto di queste strategie keynesiane. Il bilancio dello stato deve essere tagliato, non aumentato, liberando in tal modo risorse che gli attori privati ​​possano utilizzare per riallineare la struttura del capitale .

L'offerta di moneta non deve essere aumentata. I salvataggi congelano semplicemente gli errori imprenditoriali, invece di consentire la ridistribuzione delle risorse nelle mani di quelle parti capaci di prevedere le esigenze dei consumatori alla luce delle condizioni reali. I prestiti di emergenza alle imprese in difficoltà perpetuano la cattiva allocazione delle risorse e rappresentano un privilegio per quelle imprese impegnate in attività non sostenibili (a scapito delle imprese sane pronte ad usare tali risorse in maniera più appropriata).

Questa ricetta di austerità è precisamente ciò che Harding chiese nel suo discorso inaugurale del 1921:

Dobbiamo affrontare questa cupa necessità, sapendo che dobbiamo adempiere ai nostri compiti e che nessuno statuto promulgato dall'uomo può abrogare le leggi inesorabili della natura. La nostra tendenza più pericolosa è quella di aspettarci un intervento dello stato, una grande interferenza che farebbe ben poco. Contempliamo il compito immediato di sistemare la nostra casa pubblica. Abbiamo bisogno di un'economia solida e in salute, in combinazione con una giustizia fiscale ed una prudenza individuale, assistite entrambe dalla parsimonia; questi sono elementi essenziali per affrontare il futuro in modo sereno [...].

Il meccanismo economico è complicato e le sue parti sono interdipendenti, e ha sofferto la crisi e lo scombussolamento scaturito da una domanda anomala, insufflazioni di credito e sconvolgimenti di prezzo. I saldi, una volta normali, ora sono compromessi; i canali di distribuzione sono intasati; i rapporti tra lavoro e la sua gestione sono tesi. Dobbiamo cercare il riaggiustamento con cura e coraggio [...]. Tutte le sanzioni di questo mondo non rappresenteranno una soluzione, né potranno essere distribuite uniformemente. Non c'è modo che possano esserlo. Non vi è alcun passaggio immediato dal disordine all'ordine. Dobbiamo affrontare la triste realtà, accettare le nostre perdite e ricominciare da capo. E' la più antica lezione della civiltà. Vorrei che lo stato potesse fare tutto il possibile per mitigare questa situazione; poi, con la comprensione, con la reciprocità degli interessi, con la sollecitudine per il bene comune, i nostri compiti verranno risolti. Nessun sistema alterato funzionerà per miracolo. Ogni esperimento aggiungerà solo confusione. La nostra migliore garanzia risiede nella gestione efficiente del nostro sistema.

Fra i presidenti americani del XX secolo è davvero raro che qualcuno abbia compreso, come fece Harding, quello che stava accadendo e perché i piani interventisti avrebbero ritardato solamente la ripresa. Che sia stato oggetto di uno scherno incessante da parte degli storici, al punto che nessuno ha speso una parola in suo favore per paura di essere buttato fuori dal mondo accademico, la dice lunga sulle loro capacità.

L'esperienza del 1920-1921 rafforza la tesi dei veri economisti di libero mercato, secondo i quali l'intervento dello stato è un ostacolo alla ripresa economica. La depressione 1920-1921 venne scongiurata rapidamente grazie all'assenza di stimoli fiscali e monetari. La prossima volta che verremo solennemente avvertiti di ricordare le lezioni della storia affinché la nostra economia non peggiori, dovremo fare riferimento a questo episodio — osservando con quanta velocità i nostri detrattori cercheranno di cambiare argomento.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note


[1] Sulla fallacia della "prosperità in tempo di guerra" durante la seconda guerra mondiale, vedi Robert Higgs, Depression, War, and Cold War (New York: Oxford University Press, 2006).

[2] Kenneth E. Weiher, America's Search for Economic Stability: Monetary and Fiscal Policy Since 1913 (New York: Twayne, 1992), p. 35.

[3] Sul Giappone, vedi Benjamin M. Anderson, Economics and the Public Welfare: A Financial and Economic History of the United States, 1914–1946 (Indianapolis: Liberty Press, 1979 [1949]), pp. 88–89, 90.

[4] Ibid., p. 92.

[5] Robert Aaron Gordon, Economic Instability and Growth: The American Record (New York: Harper and Row, 1974), pp. 21–22, citato in Joseph T. Salerno, "An Austrian Taxonomy of Deflation — With Applications to the U.S.," Quarterly Journal of Austrian Economics 6 (Inverno 2003): 89.

[6] Robert A. Degen, The American Monetary System: A Concise Survey of Its Evolution Since 1896 (Lexington, MA: D. C. Heath, 1987), p. 41.

[7] Weiher, America's Search for Economic Stability, p. 36.

[8] Eugene P. Trani e David L. Wilson, The Presidency of Warren G. Harding (Lawrence, KS: University Press of Kansas, 1977), p. 72.

[9] C. A. Phillips, T. F. McManus, e R. W. Nelson, Banking and the Business Cycle: A Study of the Great Depression in the United States (New York: Macmillan, 1937), p. 76.

[10] La teoria austriaca si applica anche a quei casi in cui non esiste una banca centrale e l'espansione artificiale del credito prende vita attraverso altri modi. L'intervento statale è altrettanto distorsivo anche in questi casi. Vedi Jesús Huerta de Soto, Money, Bank Credit, and Economic Cycles, trad. Melinda A. Stroup (Auburn, AL: Ludwig von Mises Institute, 2006).

[11] Roger W. Garrison, "The Austrian Theory: A Summary," in The Austrian Theory of the Trade Cycle and Other Essays, comp. Richard M. Ebeling (Auburn, AL: Ludwig von Mises Institute, 1996), p. 99.

[12] Gene Smiley, "The U.S. Economy in the 1920s," EH.Net Encyclopedia, ed. Robert Whaples, 26 marzo 2008.

[13] Ludwig von Mises, Bureaucracy (New Haven, CT: Yale University Press, 1944).

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2 commenti:

  1. Ciao Francesco,

    Non sapevo nulla di Harding, ma sono rimasto affascinato dal buon senso dei suoi propositi.
    Sapevo, invece, della crisi lampo del 1920/21. La distruzione creativa all'opera.
    Alle persone e' stato letteralmente fatto il lavaggio del cervello deresponsabilizzandole per imprigionarle nel mantra che lo stato risolve e salva. E lo stato autorizza la banca centrale a fornirgli i mezzi per raggiungere i suoi fini.
    Lo stato e la sua religione, lo statalismo, hanno gradualmente distrutto la civilizzazione e la civiltà. Civiltà nata e sviluppatasi prima ed indipendentemente dalla esistenza delle amministrazioni burocratiche pubbliche.
    Ma vallo a spiegare ad una popolazione in via di invecchiamento e sclerosi ideologica, quando anche i più giovani difendono con intransigentza ideologica le stesse convinzioni.
    Forse, è davvero preferibile che queste persone e queste idee vengano spazzate via dagli eventi.
    Forse, dovremmo accettare un lasseiz faire storico che consenta il crollo di ciò che è insostenibile culturalmente e socialmente. Come dire, lasciare che avvenga un default culturale/ideologico di tutte le convinzioni stataliste con tutte le conseguenze sociali del caso, ed aspettare che le idee migliori recuperino il posto che spetta loro e conducano ciò che resta verso una ripresa culturale del buon senso andato. Aspettiamo che il socialismo in versione democratica tiri le cuoia. Prepariamoci, in pochi come siamo, per la rinascita della libertà. Nell'Est europeo, almeno laddove c'erano alternative culturali al socialismo, hanno prevalso idee più liberali. Poi, purtroppo, l'illusione europeista ha fatto proseliti e sono risorti socialismi e nazionalsocialismi. Ultimo esempio l'Ucraina, con l'appoggio occidentale ai nazisti locali strumentalizzati contro la Russia di Putin, ovverosia, per bloccare una globalizzazione bidirezionale e per non indebolire il fiatmoney americano.

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  2. Due segnalazioni.

    http://scenarieconomici.it/mito-domanda/

    https://freestateproject.org/

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