giovedì 29 maggio 2014

Delirio keynesiano: i banchieri centrali dichiarano guerra alla stabilità dei prezzi, ovvero, ai risparmiatori

Non è esilarante (in un certo senso) notare come i media mainstream si straccino le vesti per vendere la balla di una ripresa nominale, mentre la popolazione nel suo complesso annaspa pesantemente? La realtà a quanto pare è un optional per coloro che amano sguazzare nel masochismo, le statistiche ed i modelli DSGE sono un fiorire di numeri allegramente rosei e decisamente positivi. In questo panorama economico, distorto fino al midollo, notiamo come alcuni indicatori vengano garbatamente ignorati: come ad esempio, la mole di sofferenze in pancia alle banche commerciali italiane. Restando sempre all'interno dell'acronimo PIIGS, troviamo come una delle banche commerciali del Portogallo navighi in acque agitate, la Francia che continua a stringere il cappio intorno al collo del contribuente francese, ecc. Ma qual è il problema? La presunta "lowflation". Chi se ne frega se gli investimenti improduttivi continuano ad essere un buco nero per risorse materiali ed umane! Anzi, si potrebbe fare come Detroit, no? Scavare buche e poi riempirle. Finirà male.
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di Detlev Schlichter


Apparentemente c'è un nuovo pericolo economico là fuori. Si chiama "inflazione molto bassa" e la zona euro è a grande rischio di soccombere sotto questa minaccia. "Un lungo periodo di bassa inflazione – o deflazione, quando i prezzi scendono con insistenza – allarma i banchieri centrali", spiega il Wall Street Journal, "perché [la bassa inflazione, DS] può paralizzare la crescita e rendere più difficile il ripagamento dei debiti per governi, imprese e consumatori". Le statistiche ufficiali dell'inflazione presso la BCE segnalano uno 0.7%, ancora positive e quindi non c'è alcuna deflazione.

Come la bassa inflazione possa paralizzare la crescita, non mi è chiaro. "Inflazione molto bassa" una volta era conosciuta come "stabilità dei prezzi" e veniva utilizzata per richiamare connotazioni più positive. In precedenza non era considerata come un pericolo per la salute. Perché questo sia improvvisamente cambiato, resta un mistero. Certamente non vi è alcun supporto empirico – di solito altamente considerato dai commentatori di mercato – quando si afferma che la bassa inflazione, o addirittura la deflazione, sia legata a recessioni o depressioni, anche se tale collegamento viene sospinto quasi ogni giorno (implicitamente o esplicitamente) nella stampa finanziaria. Nel XX secolo gli Stati Uniti hanno avuto tanti anni di inflazione molto bassa, e addirittura deflazione, i quali non sono stati segnati da recessioni. Nel XIX secolo, in un mondo in rapida industrializzazione, "l'inflazione molto bassa", o addirittura la deflazione persistente, erano la norma e tale deflazione era spesso accompagnata da tassi di crescita che oggi scatenerebbero l'invidia di qualsiasi paese del G8. A pensarci bene, l'economia capitalista con la sua costante tendenza ad aumentare la produttività dovrebbe creare deflazione persistente. La roba diventerebbe più accessibile. Le cose sarebbero più convenienti.



"Ultime notizie: i consumatori sono scioccati per la bassa inflazione e quindi non consumano!"

Allora qual è il punto in cui la bassa inflazione si trasforma improvvisamente in "inflazione molto bassa", e quindi diventa pericolosa? A giudicare dalla relazione della Banca d'Inghilterra rilasciata da Mark Carney la scorsa settimana e dalla dose di scherno che il settore finanziario scarica sulla BCE – "stupida" è come David Tepper di Appaloosa Management definisce l'istituto di Francoforte, stando a quanto riporta il FT (16 maggio) – la delimitazione deve ritrovarsi da qualche parte tra l'1.6% e lo 0.7% che tanto imbarazza Draghi.

Spesso si ripete che la bassa inflazione o la deflazione inducano la gente a rinviare gli acquisti, a differire il consumo. Secondo questa logica gli europei si aspettano che in un anno una cosa passi da €1,000 a €1,007, un cambiamento che non rappresenta una minaccia per il loro potere di acquisto poiché non li spinge fuori di casa a comprare qualsiasi cosa IN VISTA! Quindi, ecco il motivo per cui l'economia è depressa. Gli inglesi, invece, possono ragionevolmente aspettarsi che una cosa passi da £1,000 a £1,016 in un anno, e questo è un motivo più che convincente, si presume, per consumare nel presente. Gli inglesi sono così desiderosi di battere il 2% negli aumenti dei prezzi che si stanno caricando di ulteriori debiti e di ingenti spese in modo da comprare qui e ora. I "britannici sono in re-leveraging", ci dice Anne Pettifor sul The Guardian, "solo a marzo il credito netto al consumo è aumentato di £1.1 miliardi. Nello stesso mese il debito totale delle carte di credito ammontava a £56.9 miliardi. Il tasso di interesse medio sui prestiti delle carte di credito [si attesta] al 16.86 %." La Gran Bretagna è, come ci ricorda la Pettifor, la nazione più indebitata al mondo.

Per un attimo lascio da parte la questione se questi sviluppi dovrebbero costituire un motivo di maggiore "allarme per i banchieri centrali" rispetto "all'inflazione molto bassa". Di certo non hanno allarmato Carney ed i suoi colleghi, i quali hanno allegramente lasciato i tassi ai minimi e nessuno ha definito "stupida" la Banca d'Inghilterra. Di certo non sembrano allarmare la Pettifor. Vuole che la Banca d'Inghilterra mantenga i tassi bassi per aiutare tutti quei cittadini britannici gravati da debiti – e probabilmente ancora più britannici contrarranno debiti.

La Pettifor ha una visione altamente politicizzata della moneta e della politica monetaria. Per lei tutto questo è una gigante lotta di classe tra la classe dei risparmiatori/creditori e la classe degli spendaccioni/debitori, e la sua fedeltà è per quest'ultimi. Quei commentatori che invece richiedono un aumento dei tassi rappresentano "certi interessi", cioè i risparmiatori avari ed i creditori avidi. Che la politica possa far ripiombare l'economia in un'altra crisi, non sembra turbarla.

Alla Pettifor fà eco Martin Wolf, il quale ha categoricamente affermato sul FT che il "risparmiatore in cerca di un rischio basso" non è più una figura utile all'economia globale, e ha citato con approvazione John Maynard Keynes auspicando "l'eutanasia del rentier". "Oggi gli interessi non premiano alcun sacrificio," scrisse Keynes allora, sbagliando ovviamente: chiedetelo ai britannici di oggi se non spendere i loro soldi ora, ma risparmiarli per i giorni di magra, non comporti un vero e proprio sacrificio. I rentier di oggi non ottengono nemmeno l'interesse per i loro sacrifici, grazie a tutta questa politica di "stimolo". E ora si richiede a gran voce la fine della stabilità dei prezzi, per combinare una maggiore inflazione con tassi a zero. Non è molto divertente essere un risparmiatore in questi giorni – e dubito che queste politiche possano far felice qualcuno nel lungo periodo.



L'eutanasia del rentier giapponese

Quello che si intende con "eutanasia del rentier" lo possiamo vedere in Giappone, dato che nel paese la popolazione dei risparmiatori è in rapido invecchiamento e dovrà affidamento sui propri risparmi nella vecchiaia. Si presume che la nuova politica dell'Abenomics debba rinvigorire l'economia attraverso la svalutazione monetaria. "L'Abenomics era destinata a generare una forte crescita nominale," ha scritto Trevor Greetham (Fidelity Worldwide Investment) sul Financial Times la scorsa settimana (FT, 15 maggio 2014, pagina 28). "Il Giappone è in deflazione del debito da oltre 20 anni."

Davvero? – A marzo 2013, quando Abe scelse Haruhiko Kuroda come governatore della Banca del Giappone e venne inaugurata l'Abenomics, l'indice dei prezzi al consumo del Giappone era a 99.4. 20 anni prima, a marzo 1994, era pari a 99.9 e 10 anni fa, a marzo 2004, a 100.5. In 20 anni i prezzi al consumo del Giappone sono scesi dello 0.5%. Certo, ci sono stati periodi di calo dei prezzi e periodi di aumento dei prezzi nel mezzo, ma è necessario un microscopio per rilevare eventuali variazioni dei prezzi nel paniere giapponese dei consumi. Il consumatore giapponese non ha sofferto per la deflazione, ma ha goduto di una stabilità dei prezzi per 20 anni.

"Il problema principale dell'economia giapponese non è la deflazione, è la demografia," ha dichiarato Masaaki Shirakawa in un discorso al Dartmouth College due settimane fa (come riportato dal Wall Street Journal Europe il 15 maggio). Shirakawa è l'ex-governatore della Banca del Giappone il quale nel 2013 è stato estromesso senza tanti complimenti da Abe, quindi si può dire che sia prevenuto. Non importa, le sue argomentazioni hanno senso secondo me. "Shirakawa," riporta il Journal, "la chiama 'una deflazione molto mite' [e io invece la chiamo stabilità dei prezzi, DS] la quale ha avuto il vantaggio di aiutare il Giappone a mantenere basso il tasso di disoccupazione." Il tasso di disoccupazione ufficiale in Giappone si attesta ad uno strabiliante 3.60%. Forse i giapponesi non se la sono cavata così male con la stabilità dei prezzi.

Sia come sia, dopo un anno di Abenomics si scopre che un aumento dell'inflazione non era proprio quel veicolo di prosperità che ci si aspettava. Ecco di nuovo Greetham: "Le cose non sono così semplici come erano... L'aumento dell'imposta sulle vendite ha spinto l'inflazione di Tokyo ad un picco ventennale del 2.9% ad aprile, andando a diluire il potere d'acquisto reale ed a peggiorare il tenore di vita di molti consumatori più anziani a reddito fisso."

I "consumatori più anziani" di Greetham sono probabilmente i "rentier" di Wolf, ma in ogni caso queste persone non stanno passando un bel periodo. I sostenitori di "politiche moentarie allentate" ci dicono che una valuta più debole rappresenta una spinta per le esportazioni, ma nel caso del Giappone uno yen più debole aumenterà i prezzi dell'energia poiché il paese è fortemente dipendente dalle importazioni di energia.

Prima si pensava che i giapponesi non consumassero abbastanza perché i prezzi non stavano aumentando abbastanza velocemente, ora non possono consumare abbastanza perché i prezzi stanno aumentando. Il problema con l'inseguire la "crescita nominale" è che il "potere d'acquisto reale" può prendere una batosta.

Se tutto questo è fonte di confusione, Greetham ci offre una speranza. Abbiamo solo bisogno di una barca più grande. Altro stimolo. Vedete, questo è il problema con lo stimolo keynesiano: è necessario implementarne sempre di più e renderlo sempre più grande, nel tentativo di sfuggire alle conseguenze non intenzionali.

Se Greetham ha ragione o no sul mercato azionario, non lo so. Ma una cosa sembra abbastanza ovvia secondo me: se si potesse migliorare la propria economia attraverso l'allentamento monetario e la svalutazione monetaria, oggi l'Argentina sarebbe uno dei paesi più ricchi del mondo, come in effetti lo era all'inizio del XX secolo prima che iniziassero le varie svalutazioni dei suoi molti governi incompetenti.

Nessun paese è mai diventato più prospero mediante la svalutazione della sua moneta e la rapina dei suoi risparmiatori.

Finirà male – anche se probabilmente non subito.



Pensieri finali

Cosa significa tutto questo? – Non lo so (e, ovviamente, potrei aver torto), ma credo quanto segue:

La BCE taglierà i tassi a giugno, ma questa è la politica più pubblicizzata e attesa da lungo tempo. Alla fine i ribassisti sull'euro rimarranno delusi. La BCE non andrà "all in", e non c'è motivo per farlo. La mia impressione è che un indebolimento pronunciato dell'euro rimane improbabile.

A mio modesto parere, e contrariamente al consenso del mercato, la BCE ha perseguito una strategia "meno brutta" rispetto a tutte le principali banche centrali. Niente QE; lo stato patrimoniale si sta ancora restringendo; inattività su larga scala. Che cos'è che non va?

Pettifor ed i suoi compari odiatori dei risparmiatori possono star sicuri che un qualsiasi restringimento del bilancio delle banche centrali è lontano, specialmente nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Le banche centrali considerano fondamentale il loro ruolo, soprattutto nel sostenere i mercati degli asset, l'economia, le banche e lo stato. Sono pietrificate all'idea di poter far deragliare qualsiasi cosa se adotteranno una politica più restrittiva. Un'inflazione più alta rappresenterà il fine partita, ma quando arriverà è ancora una congettura. La crescita, di per sé, non porterà ad una risposta significativa da parte dei banchieri centrali.

L'Abenomics andrà avanti, ma fallirà. La domanda è se verrà attuata su una tale scala da provocare disastri, o se riceverà la propria "eutanasia".


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


4 commenti:

  1. mi devo ripetere? beh, mi dilunghero domani, così rispondo un po anche a dna

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  2. Lo vuole la ggggente!!!

    E cosi' sia...

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  3. Un bel riassunto:

    http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:http://www.silverdoctors.com/billionaire-hugo-salinas-price-gold-is-the-feds-enemy/&strip=1

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  4. Le basi di un futuro. Non tanto remoto.

    http://www.24hgold.com/english/news-gold-silver-china-launching-global-gold-exchange-in-shanghai.aspx?article=5501820118H11690&redirect=false&contributor=Mark+O%27Byrne

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