martedì 5 novembre 2013

Immigrati liberi, capitali liberi e mercati liberi

"Un mondo libertario non dovrebbe fondarsi su confini nazionali, ma su comunità flessibili e volontarie. Ma il mondo così com'è è parecchio diverso. E perchè si voti coi piedi, anche dall'Africa verso Nord, è ovvio prasseologicamente. Anzi, l'emigrazione/immigrazione è prasseologia all'ennesima potenza. Nella nostra realtà, il campanilismo più becero può non esser d'accordo, ed i fattori culturali (convivenza ed integrazione vs settarismo, ghettizzazione ed emarginazione) non vanno affatto trascurati, ma c'è pure l'accoglienza solidale coi meno fortunati. In termini puramente economici i vantaggi sono indubbi. Lo sa anche lo statalismo socialdemocratico che brama sostegno da nuovi sudditi questuanti da incatenare e spolpare un po' alla volta, carne giovane e forte. E, come esiste lo sfruttamento criminale, esiste ed è nota, anche un'aspirazione all'assistenzialismo ed alla sovvenzione da parte di alcuni immigrati che approfittano delle normative ipersolidali orchestrate dallo stato per attrarre manodopera lowcost. Non possiamo dire che ci sia inflazione di raccoglitori di pomodori, ma all'aumentare della disoccupazione autoctona corrisponderà una maggiore competizione per i lavori meno retribuiti, con le conseguenze che possiamo immaginare. E si spiega anche così la forza crescente di formazioni politiche xenofobe. Il cosiddetto "liberismo selvaggio" o "turbocapitalismo", tante volte accusato di produrre le distruzioni che provocano il fenomeno delle migrazioni, è il mondo fiatmoney creato e sorretto dalle banche centrali, è quello dei mercati finanziari scollegati dalla economia reale, ma ben collegati, all over the world, col potere politico-militare centralista (e col potere accademico keynesiano e friedmaniano). Questa è la lettura corretta e completa dello scenario. E, così inteso, sta sulle palle anche a me, che sono un empirista scettico antiautoritario." -- Dna
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di David Howden


All'inizio di quest'anno il governo dell'Arabia Saudita ha deciso di prendere provvedimenti contro i lavoratori stranieri. Sul The Globe and Mail Martin Dokoupil e Marwa Rashad sostengono che questo porterà ad "un'economia più forte e diversificata." In particolare si concentrano sulla pletora di aziende aperte ad oggi — più di quelle che pensano siano necessarie — e sulla conseguente riduzione del lavoro "non necessario" se questi lavoratori stranieri fossero costretti ad andarsene.

Il dibattito sull'immigrazione, sia in Arabia Saudita che negli Stati Uniti o anche in Canada, si riduce in realtà ad una semplice domanda: vogliamo importare i lavoratori o le merci ?

Come il denaro, i lavoratori vanno (quando possibile) nel luogo che li tratta meglio. Spesso questo coincide con salari reali più alti. Reale in questo senso significa "aggiustato ai costi," in modo che un lavoratore con un salario basso in un paese a basso costo (diciamo il Messico) possa effettivamente avere un alto tenore di vita rispetto ad un alvoratore con un posto di lavoro ad alta retribuzione in un paese in cui il costo della vita è alto (forse la Svizzera).

I profitti tendono a parificarsi tra i vari business mentre gli imprenditori si muovono per sfruttare le opportunità. Lo stesso vale per i salari reali. Allo spostarsi dei lavoratori da aree con bassi salari reali verso aree con alti salari reali, si viene a creare la stessa tendenza di equilibrio. La spostamento dell'offerta dal paese con bassi salari, spingerà in alto i salari dei lavoratori che rimangono. L'afflusso di nuovi lavoratori verso un paese con salari più alti opera nella direzione opposta — i salari cominciano a scendere in conseguenza dell'aumento dell'offerta di lavoro relativa.

Fino a quando non vi è una distinzione significativa tra gli standard di vita dei due paesi, vedremo una tendenza che porterà il lavoro a spostarsi dove viene trattato meglio. Possiamo costruire muri ed inasprire i requisiti in materia di immigrazione, ma tutto questo non fa altro che rendere un po' più costoso lo spostamento. I recinti e le normative non servono a niente per rimuovere la disparità dello standard di vita, l'incentivo originale per cui gli immigrati vanno in cerca di una vita migliore.

Gli immigrati sono in evidente svantaggio rispetto ai nativi. Non parlano la lingua, o non hanno una rete di contatti per posti di lavoro o per il sostegno sociale. Il loro unico "vantaggio" è la capacità e la volontà di lavorare per salari più bassi rispetto ai loro omologhi autoctoni. Parte di questa volontà di lavorare per salari più bassi è dovuta al loro set di abilità, il quale è meno sviluppato (la mancanza di competenze linguistiche, in particolare, può essere un fattore importante). Un altro fattore è che anche un salario basso nel loro nuovo paese è migliore rispetto a quello che percepivano nel paese precedente. Forse sono disposti ad accettare salari più bassi in cambio di opportunità future per i loro figli: istruzione, occupazione, o altro.

Discutere su cosa spinga gli immigrati a spostarsi, è in gran parte fuori luogo in questo articolo. Tutto quello che dobbiamo capire è che questi lavoratori vogliono venire qui, e che ad un certo salario sono competitivi.

Quali sono i vantaggi di un paese che accoglie gli immigrati? Salari più economici sono una risposta ovvia, sebbene anche questo sia in gran parte fuori luogo. I veri vantaggi sono le maggiori opportunità che ottengono i cittadini nazionali. Con i lavori meno qualificati svolti da questi nuovi lavoratori, i cittadini nativi possono mettere gli occhi su opportunità più redditizie rese possibili da beni e servizi meno costosi e da un bacino di lavoro più diversificato a disposizione degli imprenditori e dei loro dipendenti.

In economia si dice che il costo di qualcosa sia rappresentato dall'occasione persa. Un'azione proibita rappresenta il costo reale di una scelta. Per impiegare me in un posto di lavoro poco qualificato, il mio datore di lavoro dovrebbe pagarmi un alto salario di compensazione. Le mie opportunità pralano per me! Se non dovessi essere impiegato in un lavoro poco qualificato, rimarrei al mio attuale lavoro come professore universitario. Questo è un esempio estremo, anche se il ragionamento di base vale per tutti i lavoratori.

Ha senso assumere lavoratori meno costosi nati all'estero poiché il costo di opportunità è generalmente inferiore. Ora consideriamo il divieto all'immigrazione.

Ci sono posti di lavoro in ogni paese che saranno ricoperti solo se il prezzo è giusto. L'impiego di un lavoratore al salario giusto è un compito difficile, sebbene verrebbe semplificato dall'aumento del bacino dei lavoratori grazie agli immigrati. Spesso ci lamentiamo che i nostri cittadini non vogliono fare alcuni lavori perché "sono troppo degradanti per loro." Quello che intendiamo veramente è che per quel salario le nostre opportunità sono migliori, ed è poco attraente per i nostri lavoratori fare quei lavori. A volte questo accade perché non vogliamo fare un lavoro a basso salario e rischiamo di perdere un'opportunità migliore (ad esempio i neolaureati disoccupati che vivono a casa con mamma e papà mentre rifiutano lavori poco qualificati ed a bassi salari). Altre volte perché alcuni lavori hanno un così basso valore aggiunto che i datori di lavoro non possono aumentare i salari per attirare i lavoratori domestici (i posti di lavoro nei cost centers).

Se vietiamo agli immigrati di entrare nel paese, stiamo impedendo che vengano svolti questi lavori. Dovremmo anche importare i frutti di questi posti di lavoro, se non importiamo la manodopera a basso costo per svolgerli. Ci sono prove negli Stati Uniti: il rafforzamento delle leggi sull'immigrazione americane hanno portato all'esportazione di posti di lavoro agricoli in Messico. Se i lavoratori non possono venire qui, invieremo il lavoro lì.

Invece di lamentarsi degli immigrati dovremmo accoglierli, soprattutto quelli poco qualificati. L'alternativa è peggiore.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


9 commenti:

  1. Articolo contro tanti luoghi comuni su argomenti complicati.
    D'altronde, un mondo libertario non dovrebbe fondarsi su confini nazionali, ma su comunità flessibili e volontarie. Ma il mondo così com'è è parecchio diverso. E perchè si voti coi piedi, anche dall'Africa verso Nord, è ovvio prasseologicamente. Anzi, l'emigrazione/immigrazione è prasseologia all'ennesima potenza.

    Nella nostra realtà, il campanilismo più becero può non esser d'accordo, ed i fattori culturali (convivenza ed integrazione vs settarismo, ghettizzazione ed emarginazione) non vanno affatto trascurati, ma c'è pure l'accoglienza solidale coi meno fortunati.
    In termini puramente economici i vantaggi sono indubbi. Lo sa anche lo statalismo socialdemocratico che brama sostegno da nuovi sudditi questuanti da incatenare e spolpare un po' alla volta, carne giovane e forte.
    E, come esiste lo sfruttamento criminale, esiste ed è nota, anche un'aspirazione all'assistenzialismo ed alla sovvenzione da parte di alcuni immigrati che approfittano delle normative ipersolidali orchestrate dallo stato per attrarre manodopera lowcost.

    Non possiamo dire che ci sia inflazione di raccoglitori di pomodori, ma all'aumentare della disoccupazione autoctona corrisponderà una maggiore competizione per i lavori meno retribuiti, con le conseguenze che possiamo immaginare. E si spiega anche così la forza crescente di formazioni politiche xenofobe.

    Il cosiddetto "liberismo selvaggio" o "turbocapitalismo", tante volte accusato di produrre le distruzioni che provocano il fenomeno delle migrazioni, è il mondo fiatmoney creato e sorretto dalle banche centrali, è quello dei mercati finanziari scollegati dalla economia reale, ma ben collegati, all over the world, col potere politico-militare centralista (e col potere accademico keynesiano e friedmaniano).
    Questa è la lettura corretta e completa dello scenario.
    E, così inteso, sta sulle palle anche a me, che sono un empirista scettico antiautoritario.

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  2. Aggiungo che, se il mercato non è libero, visto che esiste la banca centrale delle manipolazioni, e che i capitali del ceto medio rischiano sempre più di essere ancorati rigidamente ai titanic statali, allora è ovvio, in questo mondo non libero, che anche le migrazioni vengano abbondantemente ostacolate/regolate. Cosa accadrebbe se, in poco tempo, 100 milioni di immigrati raggiungessero l'Italia e l'Europa nelle condizioni attuali di perdurante recessione e stagnazione economica?

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  3. Ciao Dna.

    Ho aggiunto il primo commento come "incipit" dell'articolo, credo che completi a dovere l'articolo di Howden. Io vorrei solamente aggiungere il link ad un articolo del passato in cui spiegavo brevemente come l'Africa viene distrutta dalle politiche stataliste europee, costringendo di conseguenza flotte di immigrati ad abbandonare i loro paesi.

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  4. Grazie! Ne sono onorato e felice. :)

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  5. un grande dna :)

    ovvio che quelli, che delle banche centrali capiscono poco ma tutti hanno capacita intuitive, chiedono sussidi, tra adeguamento al gioco e revanscismo anticolonialista

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  6. Suggerito da LewRockwell: http://www.artofmanliness.com/2013/10/24/what-men-like-in-men-an-argument-from-1902/

    Cultura occidentale di fine XIX secolo.
    Pochi mesi dopo due geniali intraprendenti fratelli americani fecero spiccare il volo al più pesante dell'aria e, dieci anni dopo, altri personaggi, molto più prosaici e potenti, pianificarono la nascita della Federal Reserve.

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  7. attenti a questo, in nomen omen

    http://www.etimo.it/?term=saccomanno

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  8. Bel colpo gdb. :)

    Io ancora rido di gusto quando parlano di "deficit al 3%," per la serie "vi prendiemo per il culo e lo sappiamo."

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