venerdì 7 giugno 2013

Nisbet sulla Guerra Messianica





di Gary North


"Il potere della guerra di creare un senso di giustificazione morale è uno degli aspetti più spaventosi del ventesimo secolo." – Robert A. Nisbet (1953).

Dal suo primo libro nel 1953 fino al suo ultimo libro sulla teoria sociale nel 1988, il sociologo conservatore Robert Nisbet ha messo in guardia contro la guerra come distruttrice della stabilità sociale e della libertà. Egli considerava la guerra come la forza sociale che può portare, ed ha portato, alla centralizzazione dello Stato, cosa che ha reso possibile la politica di massa. Indebolisce la fede degli uomini nelle associazioni locali, cosa che indebolisce quindi il pluralismo culturale ed il localismo, i quali ritardano la centralizzazione e la burocratizzazione.

L'Oxford University Press ha pubblicato nel 1953 The Quest for Community. Il sottotitolo era Uno Studio sul'Etica dell'Ordine e della Libertà. Il libro era stato pubblicato all'inizio della Guerra Fredda. Finì il manoscritto nel 1952. Nello stesso anno gli Stati Uniti fecero esplodere la prima bomba ad idrogeno. Nello stesso anno la tregua che nel 1953 avrebbe posto fine alla Guerra di Corea non era ancora stata firmata. Josef Stalin era ancora vivo quando la scrisse; morì nel 1953. Joseph McCarthy stava guadagnando influenza. Il movimento conservatore era, più che altro, l'estensione del movimento anti-comunista. La nazione aveva appena eletto un generale come presidente.

C'era una parte nel movimento conservatore che sosteneva il libero mercato. The Road to Serfodm di F. A. Hayek apparve nel 1944. Fu condensato in Reader's Digest del 1945. Economia in Una Lezione di Henry Hazlitt apparve nel 1946. L'Azione Umana di Ludwig von Mises apparve nel 1949. Ma non fu questo flusso intellettuale che catturò l'attenzione ed il sostegno dei conservatori nel 1953. Lo fu invece la crociata anti-comunista.

Questo è il motivo per cui il libro di Nisbet pareva avere scarse probabilità di diventare una pietra miliare nello sviluppo del movimento conservatore intellettuale in America. Apparve nello stesso anno in cui apparve Conservative Mind di Russel Kirk. Prima del 1953, non esisteva un movimento conservatore intellettuale negli Stati Uniti. Nisbet nel 1952 non aveva mai sentito parlare di Kirk. Quasi nessuno aveva sentito parlare di Nisbet.

Il libro di Nisbet rimane in stampa, sei decenni dopo, pubblicato sin dal 2010 dall'Intercollegiate Studies Institute, che fu fondato nel 1953 come l'Intercollegiate Society of Individualists. L'ISI era un primo tentativo di creare una leadership intellettuale per il nascente movimento. Fu co-fondata da William F. Buckley e dal libertario Frank Chodorov.

Nel 1953 Nisbet iniziò la sua critica pubblica al moderno stato di guerra. Il suo ultimo libro sulla teoria sociale iniziava con una critica del Pentagono come un tradimento del concetto di governo limitato. Questo accadeva nel 1988, l'anno prima che crollasse il muro di Berlino, tre anni prima che l'Unione Sovietica si suicidasse. Per tutto questo lasso di tempo il mondo aveva vissuto sotto la minaccia di una guerra nucleare. La caduta dell'Unione Sovietica nel Dicembre 1991 servì come lapide della Rivoluzione Francese, il movimento che Nisbet aveva criticato in tutta la sua carriera accademica a causa del suo totalitarismo. L'impulso totalitario era vivo e vegeto nel 1953.



THE QUEST FOR COMMUNITY

Il libro di Nisbet era una spiegazione della nascita dei movimenti politici totalitari. Nel secondo capitolo, scrisse queste parole.

I profeti contemporanei delle comunità totalitarie cercano, con tutte le tecniche della scienza moderna a loro disposizione, di trasmutare il desiderio popolare per la comunità in un senso di partecipazione millenario al potere celeste sulla terra. Quando soffuso da devozioni spirituali popolari, un partito politico diventa più di un partito. Diventa una comunità morale di un'intensità quasi religiosa, un simbolo fortemente evocativo del collettivo, della finalità redentrice, di una passione che incorpora ogni elemento di fede e di comportamento nella vita di un individuo (OUP ed., p. 33).

Nisbet era un anti-comunista. Ma era un anti-comunista che vedeva con acutezza le basi della psicologia umana che inducono le persone a diventare comuniste.

E' molto probabile che il tipico convertito al comunismo sia una persona per la quale il processo di esistenza ordinaria risulta moralmente vuoto e spiritualmente insopportabile. La sua alienazione viene tradotta nella percezione di un'alienazione di molti. Consciamente o inconsciamente, egli è in cerca di una fede sicura nell'adesione solida ad un ordine associativo. A che cosa servono le prove, le analisi semantiche, e le esportazioni logiche per questo tipo di essere umano? Finché egli avrà fede e proverà appartenenza al suo Marxismo, non sarà più dissuaso dalla semplice adorazione.

Fino a quando il comunismo offrirà, a molte persone, qualcosa ispirato alla comunità e all'individualità assertiva offerta duemila anni fa nelle città dell'Impero Romano dalle comunità cristiane piccole ma potenti, saremo impotenti nel combatterlo. Non sarà esorcizzato dagli incantesimi dell'individualismo, perché, seppur paradossale quanto sembra, nella comunità del Partito Comunista l'individuo è costantemente supportato da sentimenti di libertà personale (pp. 34-35).

Al tempo in cui Nisbet scrisse queste parole, divennero popolari una serie di autobiografie di ex-comunisti. La più famosa era nel libro di Whittaker Chambers del 1952, Witness, ma ce n'erano molte altre. All'interno della comunità liberale, The God That Failed (1949) era quello preferito. Gli autori rimasero di sinistra, ma tutti i disertori parlavano di esperienze simili. Avevano dato significato alla loro vita diventando membri di un movimento politico che credevano potesse fornire redenzione. Questa redenzione non era solo personale; era sociale.

Nisbet scrisse: "Il più grande appello del partito totalitario, marxista o altro, risiede nella sua capacità di fornire un senso di coerenza morale e di appartenenza comune a quelle che sono diventati, in un modo o nell'altro, vittime del senso di esclusione dai canali ordinari di appartenenza alla società" (p. 37). Nella pagina successiva, inizia la sua critica alla guerra.

Il potere della guerra di creare una giustificazione morale è uno degli aspetti più spaventosi del ventesimo secolo. In guerra, innumerevoli attività che sembrano normalmente onerose o vuote di significato assumono un nuovo significato. Funzione e significato tendono drammaticamente a fondersi in tempo di guerra (p. 38).

Ha continuato a descrivere l'impatto emotivo della guerra.

Uno degli aspetti più impressionanti della guerra contemporanea è l'atmosfera inebriante di un'unità spirituale che nasce dalla coscienza comune di partecipare ad una crociata morale. La guerra non è più solo un affare di dipartimenti militari e soldati. Ora è qualcosa di più, quasi simile alle Crociate dell'Europa medievale, ma in nome della nazione piuttosto che della Chiesa (p. 39).

Ha continuato a dire che in tempo di guerra viene promosso il socialismo.

È un luogo comune che il nazionalismo si nutra delle emozioni di una guerra organizzata. Siamo meno propensi a notare che molti degli obiettivi storici dell'umanitarismo secolare sono altrettanto ben nutriti. Più di uno storico ha osservato che è in tempo di guerra che molte delle riforme, dapprima sostenute da socialisti, vengono accettate dai governi capitalisti ed incorporate nelle strutture delle loro società. La perequazione delle ricchezze, la tassazione progressiva, la nazionalizzazione delle industrie, l'aumento dei salari e il miglioramento delle condizioni di lavoro, i consigli a gestione operaia, le imprese immobiliari, i diritti di successione, i piani di assicurazione contro la disoccupazione, i sistemi pensionistici e l'affrancamento della popolaziona dall'irreprensibilità sono tutte cose che, in un paese o in un altro, vengono raggiunte o approvate sotto l'impronta della guerra. L'impennata tremenda verso l'unità e la risoluzione delle differenze di gruppo, che sono una parte della guerra moderna, comportano certi livellamenti e misure umanitarie che non possono essere omesse dalla storia della guerra moderna (pp. 39-40).

Si stava solamente riscladando.

La società arriva al massimo del senso di organizzazione e di comunità ed al massimo del senso di scopo morale durante il periodo di guerra. Dal momento che viene identificata come un insieme di valori essenzialmente non militari – democrazia, libertà, odio per il fascismo, eccetera – vi è una tendenza inevitabile che fa diventare la natura della guerra stessa più spiritualizzata ed a farla sembrare sembrare più morale (p. 40). . . .

La centralizzazione e la regimentazione burocratica che da sempre sono native della guerra organizzata, nel XX secolo sono estese per ampliare i settori della vita sociale e culturale. Il simbolismo di guerra e le tecniche pratiche di amministrazione della guerra sono penetrate sempre di più nelle aree minori della funzione sociale. Gli incentivi della scienza, dell'educazione e dell'industria sono stati direzionati sempre di più verso contributi per lo sforzo bellico (p. 41). . . .

La linea di demarcazione tra l'amministrazione civile e quella militare diventa sempre più sottile. E' facile passare (attraverso gradi impercettibili) dalla necessità dei bisogni reali per lo sforzo bellico alla necessità dei bisogni reali per il primato e la dominanza dei bisogni richiesti dalla guerra. Inoltre, l'austerità tradizionale, la disciplina e l'unità del comando militare, insieme a tutte le sue presunte efficienze, arrivano ad interessare sempre di più ampie porzioni della popolazione. Le eccellenze tattiche degli ufficiali militari si convertono, attraverso l'alchimia dell'adulazione popolare, in saggezza morale e politica senza limiti. Il militare supera in prestigio lo studioso, lo scienziato, l'uomo d'affari e il sacerdote. Si tende inevitabilmente a magnificare l'importanza delle occupazioni civili e morali abbigliandole in abiti militari, sostituendo le normali gerarchie di leadership con la gerarchia di grado militare e di comando. La disciplina della guerra combacia con la stessa comunità (p. 42).

Questo libro è stato pubblicato nel primo anno dell'amministrazione Eisenhower.

Nel capitolo otto, "La Comunità Totale," tornava su questo tema.

E' caratteristica dello Stato totale, come ha sottolineato Peter Drucker, che venga cancellata la distinzione tra società civile e l'esercito. La diversità naturale della società viene spazzata via, e la centralizzazione e la competenza bellica diventano i principi organizzativi della vita umana. Abbiamo già notato come il potere della guerra, nel XX secolo, possa ispirare un senso di comunità morale. Questo potere venne sfruttato al massimo nella società totalitaria (p. 206).

Nisbet sosteneva chiaramente che l'impulso verso la guerra moderna è intrinsecamente anti-conservatore. Questo è il motivo per cui è notevole che questo libro, scritto nella prima fase della Guerra Fredda, sia diventato in seguito una delle pietre miliari (insieme a circa mezza dozzina di libri) del movimento conservatore intellettuale.

Non credeva che la guerra fosse l'unica fonte di tale accentramento nella società. Scrisse:

Non è la guerra, più di quanto non sia la razza o la classe economica, che rappresenta il fatto centrale. Il fatto centrale è la sostituzione assoluta dello Stato in tutte le associazioni diversificate di cui la società è composta normalmente.

In un ordine totalitario il legame politico diventa il tutto. Ha bisogno delle masse come le masse hanno bisogno di esso. Si integra anche dove si scioglie, unifica dove separa, ispira dove soffoca. I governanti della comunità totale elaborano il proprio simbolismo affinché sostituisca il simbolismo che è stato distrutto con la creazione delle masse (p. 206).

Nel capitolo undici, il capitolo finale, tornava su questo tema.

In questo sviluppo di democrazia unitaria, di centralizzazione burocratica, la guerra di massa contemporanea ha un significato profondamente contributivo. "La guerra è la salute dello stato," dichiarò una volta Randolph Bourne. È la salute dello stato in quanto è la malattia, o piuttosto la fame, dell'autorità in altre aree della funzione sociale. Tutto ciò che abbiamo osservato all'inizio di questo libro riguardo le proprietà della guera nel mondo contemporaneo è profondamente rilevante per il problema amministrativo della democrazia liberale (p. 259). . . .

E' proprio questo imperativo militare di centralizzazione governativa che rende continua la guerra, o la preparazione alla guerra, ed ha un effetto letale su tutte le altre istituzioni della società. Infatti, è difficile adempiere alle misure amministrative necessarie per la centralizzazione politica e militare senza ridisegnare in modo drastico le funzioni, le autorità e le alleanze che normalmente coinvolgono istituzioni come la religione, la professione, il sindacato, la scuola e la comunità locale. Al di là dell'azione amministrativa diretta, la sorprendente brillantezza dei fuochi della guerra hanno l'effetto di affievolire tutte le altre luci della cultura (p. 260).



THE PRESENT AGE (1988)

Trentacinque anni dopo, nel suo ultimo libro sulla teoria sociale, The Present Age, tornò su questo tema. Iniziò il libro con un capitolo su "La Predominanza della Guerra." Iniziò con queste parole. "Di tutti i volti del nostro tempo, quello militare si rivelerebbe quasi certamente il più stupefacente per tutti i Fautori della Costituzione, per tutti i Fondatori della Repubblica che tornerebbero ad ispezionare la loro creazione in occasione del Bicentenario."

Se dovessero tornare i Padri Costituenti non sarebbro sorpresi di apprendere che un così vasto settore militare ha effetti inesorabili sull'economia, sulla struttura di governo, e anche sulla cultura degli americani; avevano assistito a tali effetti in Europa, e non li era piaciuto quello che avevano visto. Senza dubbio quello che stupirebbe di più i Padri Costituenti sarebbe che la loro preziosa repubblica è diventata una potenza imperiale globale, proprio come l'odiata Gran Bretagna nel XVIII secolo. Infine, i Padri Costituenti svenirebbero quasi certamente quando apprenderebbero che l'America ha partecipato ad una guerra che va avanti da settantacinque anni (cosa menzionata raramente) sin dal 1914, e tutto questo (per grande tristezza dei Padri Costituenti) fatto sotto la struttura di governo che essi stessi avevano costruito (p. 1).

Nisbet capì cosa aveva fatto a questo paese la Prima Guerra Mondiale.

Quando scoppiò la guerra in Europa nel 1914, l'America era ancora, incredibilmente e sorprendentemente, più o meno lo stesso paese (con gli stessi aspetti morali, sociali, e culturali) che era stato per un secolo. Nel 1914 eravamo ancora il popolo radicato in una mentalità da villaggio e da paesi piccoli, ancora sospettoso delle grandi città e degli stili di vita che comportavano queste città. Gli stati erano estremamente importanti, proprio come i Padri Fondatori li intendevano. Nel 1914 era difficile trovare una cultura veramente nazionale, una coscienza nazionale. La Guerra Civile aveva, ovviamente, rimosso per sempre i dubbi filosofici, oltre che politici, della realtà dell'unione come stato sovrano. Ma in termini di abitudini mentali, costumi, tradizioni, letteratura, discorsi, abbigliamento, ecc., l'America poteva ancora essere vista come un minestrone di culture tenute insieme, senza molta influenza, dal governo federale di Washington. Per la stragrande maggioranza degli americani, da est a ovest e da nord a sud, il legame principale con il governo nazionale era il sistema postale – e forse anche l'imposta federale sul reddito, approvata da una modifica costituzionale nel 1913.

La grande guerra cambiò tutto questo (dal Novembre 1918 dopo quattro anni di guerra per l'Europa e quasi due anni per l'America): il mondo intero ne uscì cambiato, la stessa Europa cessò di essere definitivamente una civiltà contenuta e gli Stati Uniti (dopo quasi due anni di quello che può essere definito solo un freddo nazionalismo militare sotto il carismatico Woodrow Wilson) furono traghettati nel mondo moderno. Le lealtà statali e gli appelli ai diritti degli stati non sarebbero svaniti dalla sera alla mattina; ancora non sono spariti dal diritto costituzionale, e probabilmente non accadrà. Ma mentre prima del 1914 la sconfitta in ambito legale prevedeva un aggravio nei confronti di uno degli stati americani, nel 1920 si trasformò in una cultura nazionale con gli stati che venivano considerati sempre più arcaici (pp. 2-3).

Nisbet credeva che l'America sotto Woodrow Wilson avesse adottato l'assioma di Wilson: "Chi tocca l'America, diviene santo." L'America si vedeva come una nazione redentrice fin dai primi anni del XVII secolo, ma non una nazione redentrice che è armata e pericolosa. Dopo la Prima Guerra Mondiale, questa percezione cambiò definitivamente: gli strumenti della missione redentrice dell'America divennero militari. "Sin da Wilson, con solo rare eccezioni, la politica estera americana venne trasformata non per l'interesse nazionale, ma per la morale nazionale."

Nato calvinista, con un profondo senso del peccato e della malvagità, e con la necessità di vivere nella grazia di Dio e la necessità di predicare questa grazia alle moltitudini, Wilson trasferì gradualmente il contenuto, ma non il fuoco, della sua fede alla repubblica americana. Il suo libro The State ci permette di vedere quale chiesa abbia abitato la sua mente, e non è quella storica o istituzionale ma lo stato – a condizione, naturalmente, che sia permeato di virtù, bontà, e capacità di liberazione. . . .

La guerra mondiale era quindi un'estensione del moralismo della mente di Wilson. Quello che fecero lui e l'America doveva essere eternamente giusto, addirittura meglio di tutta l'umanità e di Dio. Era stato nominato da Dio affinché servisse la repubblica americana benedetta e determinasse ciò che fosse giusto in guerra. La sua decisione finale, che germogliò per tutto il 1916 (l'anno della sua rielezione sotto la bandiera di "Ci ha tenuto fuori dalla guerra") ed irruppe con fragore nei primi mesi del 1917, prevedeva l'abbandono della neutralità a favore dell'intervento. Aveva avuto ragione nella sua politica di neutralità, ma il mondo e la guerra erano cambiati; e ora doveva agire in maniera opposta, con uguale pietà e giustizia – cioè, invocare con il cuore e l'anima un intervento americano immediato (pp. 30 -31).

Nisbet terminò il capitolo con queste parole.

Nessuna nazione nella storia ha mai gestito una guerra permanente ed un Leviatano permanentemente militare fino al midollo continuando ad essere in grado di mantenere un carattere veramente rappresentativo. La trasformazione della Repubblica Romana nell'impero dittatoriale venne realizzata solo attraverso la guerra e il settore militare. Gli Stati Uniti sono in qualche modo l'eccezione divina a questo fatto onnipresente della storia del mondo? No se invece di una politica estera basata sulla sicurezza nazionale e su obiettivi associati a questa sicurezza, ci lasciamo andare ad una politica estera con un "prurito di intervenire" e ad uno scopo assurdamente fantasioso di ricreare un mondo a immagine e somiglianza di quella città sulla collina conosciuta come gli Stati Uniti d'America. In questo modo regnerà solo una confusione totale all'estero ed una burocrazia militare sempre più monolitica e assoluta in patria (p. 39).

L'Unione Sovietica non c'è più. L'impero americano è ancora lì.



UN MESSAGGIO COERENTE

Dal 1953 fino alla sua morte nel 1996, Nisbet si dichiarò contro la guerra moderna democratica. Nel 1953 offrì una difesa sociologica e culturale per questa opposizione e nel 1988 guardò di nuovo a quello che gli Stati Uniti erano diventati militarmente, e vide che esisteva un modello – quello lanciato nel 1917 da Woodrow Wilson. Lo considerava un'aberrazione.

Non si è mai discostato da questa posizione per tutto il periodo della sua influenza accademica e la attaccò di conseguenza. Non si fidava della visione wilsoniana dell'America. La considerava un ritorno al passato, non alla Rivoluzione Americana, ma alla Rivoluzione Francese. Seguendo la tradizione dei conservatori europei dopo Edmund Burke, vide la connessione tra democrazia e guerra. Scrisse quanto segue nel suo libro, Conservatorism: Dream and Reality (1986).

Vi è una stretta affinità tra la democrazia e l'ampliamento e il livellamento della guerra. Fu la Rivoluzione, come hanno sottolineato tutti i primi conservatori, che ha istituito per la prima volta nella storia una coscrizione nazionale, il famoso levée en masse. La guerra, tutto ad un tratto, perse il carattere limitato che aveva avuto in età pre-Rivoluzionaria, con scopi più o meno finiti – di solito dinamici o territoriali – un ordine fisso delle battaglie ed una grande quantità di cerimonie post-feudali. Con le armate Rivoluzionarie in marcia, la guerra divenne la crociata per la libertà, l'uguaglianza e la fraternità che portò inevitabilmente con sé armate sempre più grandi e finalità in continua espansione. Taine ha osservato che la democrazia mette lo zaino sulle spalle di tutti i maschi mentre gli dà una scheda elettorale (p. 58).

Nel 1961, scrisse quanto segue in Commentary.

Scrivendo come uno che non ama le forme anche lievi di socialismo, posso capire facilmente che il comunismo, dovunque sia e per quanto isolato che sia, è un male. Ma non so che cosa abbia a che fare questo fatto con le misure che possono essere prese da una politica estera nazionale e dalla struttura della difesa. Vedo misure che possono essere approvate per quanto riguarda la Russia, o per qualsiasi altro nazionalsocialismo ostile e pericoloso del mondo, ma non riesco ad immaginare una politica estera orientata verso la distruzione del "Comunismo mondiale" più di quanto non riesca ad immaginarne una diretta verso un paganesimo mondiale.

Oggi, lo stato sta cercando di contenere il "terrorismo." Ciò che disse riguardo al "Comunismo Mondiale" si può applicare al terrorismo.

Ecco la minaccia:

In termini umani, supporre che gli Stati Uniti possano mantenere a lungo una macchina politica e militare di contenimento senza distruggere il localismo, il pluralismo e la libera impresa in tutti i campi (che sono il vero fondamento della libertà e della creatività americana), equivale a supporre una fantasia assoluta. L'affinità tra il militarismo ed il collettivismo socialista è, ed è stata nel corso della storia, molto stretta. Molto più stretta, vorrei sottolineare, che l'affinità tra collettivismo e, diciamo, i discorsi e gli scritti di socialisti propagandisti.

Il movimento conservatore americano non ci ha creduto sin da quando ebbe inizio la Seconda Guerra Mondiale. A Pearl Harbor non affondarono solo un paio di corrazzate, affondò la Vecchia Destra.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


19 commenti:

  1. Atene sta diventando Sparta.

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  2. Tra imperi del bene, imperi del male ed imperi celesti... io speriamo che me la cavo.

    A proposito, ma si puo' ancora dire, scrivere o pensare il pronome "io"?

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  3. ue, ma se andassimo tutti ai caraibi?

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  4. Quanto sarebbe meglio se...

    http://www.lewrockwell.com/blog/lewrw/archives/138969.html

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  5. Ciao Francesco,
    commento il grafico: probabilmente è un sondaggio tra i soli lettori e perciò quel 24% non sorprende, ma è comunque minore della somma delle percentuali riferite alla mentalità dell'intervento pubblico risolutore.
    Ho scritto ovvietà, certamente, ma è uno sporco lavoro e qualcuno deve pur farlo. ;)

    Il pezzo su Nisbet è davvero molto profondo.

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  6. la pianti di essere ottimista all inverosimile :) ? stiamo parlando del wsj: non vogliono il governo, lacci e laccioli della nostra confindustria, salvo scrivere le leggi per fare poi quello che vogliono con le loro ipo, opa, mbo e compagnia bella basate su leva attraverso le hodiings e riserva frazionaria. sto diventando "storicamente" marxista?

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  7. Ciao gdb, da medico credo che la malattia sia stata ben identificata. La diagnosi e' simile. Le cure sono diverse perché le cause imputate sono diverse. Anzi, nel caso del medico liberale austriaco la causa del male potremmo dire che è ambientale, cioè attribuibile ad una specifica alterazione dell'ambiente, la manipolazione del tasso di interesse della merce con la quale si scambiano tutte le altre merci che rende conveniente fare il banchiere o il politico socialista/socialdemocratico, dall'altra parte, invece, il medico marxista o postmarxista attribuisce la causa alla natura stessa del malato che inevitabilmente è votato ad approfittare degli altri e pertanto deve essere, per il suo bene, vigilato, controllato, limitato ed orientato da una élite di consapevoli benefattori.

    La differenza maggiore tra i due approcci è nota ed anche qui spesso, se non sempre, emerge: il liberale, come dovrebbe sempre fare ogni medico bravo, mette sempre in dubbio ed alla prova il proprio pensiero e la propria azione, mentre l'altro medico è straconvinto del proprio agire, è ideologicamente conformato e perciò opera senza i dubbi dell'altro perché segue alla lettera ciò che ritiene la Verità.

    Per quanto riguarda il paziente Francesco, poi, trattasi di caso terminale di gioventù speranzosa. Possibili solo cure palliative. A te ed a me tocca solo applicare il misericordioso compito di curare gli infermi...

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  8. In fondo, il primo comandamento di Ippocrate è molto consapevole dei limiti dell'operare umano: primum non nocere! Se poi riesci a far del bene, tanto meglio! Ma con prudenza, perizia e senza negligenza.
    Il liberale non si arroga il diritto di fare del bene agli altri, se non provando a farlo a se stesso. Ma non impone le sue ricette. Il marxista invece è pessimista nei confronti degli altri e molto presuntuoso nei propri. Sa solo lui che si deve fare e come. Per questo è pericoloso il pensiero ideologico.
    Gdb, è come quando ti sarai trovato dinanzi ad un giustiziere invece che ad un giudice. Non è così?

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  9. http://m.youtube.com/watch?feature=fvwrel&v=zTxBc_-XxmI

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  10. hahaha, vorrei avere la malattia di francesco. o meglio, la causa genetica della sua malattia. una volta l avevo anch io. pur genetica, passa col tempo. quanto alla causa diversa, la sinistra è in contraddizione logica palese, come se l essere umano fosse cattivo nel privato, e divenisse magicamente buono nel pubblico. ma attenzione, che la diatriba nacque ben prima del denaro fiat (che bene o male gia c era, seppur mascherato e quindi meno prorompente). ed ha a che fare (nisbet è utile, e ringrazio francesco per l aticolo; ma anche mosse, ortega y gasset, damenie tra gli altri) per capire come il problema sia risalente ed ha a che fare con la diversita di approccio epistemologico tra la rivoluzione francese, costruttivista e democratica, ed americana, individualista e liberale. oggi ci siamo giocati anche l america. ma evidentemente ancor prima a livello di pensiero. a livello storico direi che il punto di volta è stato il passaggio dal terzo stato al quarto, che ha messo le lancette indietro agli stati generali. "io" non è politicamente corretto, molto selfish. anche perche nessuno comprende la differenza tra soggettivismo e narcisismo. per cui o affossano l io (il nostro, perche il loro narcisismo si bea nell affossamento) nel loro senso di colpa, o devono andare sulla copertine patinate.

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  11. Cmq mi riferivo alla spiegazione della crisi attuale.
    Ovviamente, le radici della differenza stanno proprio lì dove tu le individui: Philadelphia e Parigi.

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  12. Ciao a tutti.

    Rimango assente per qualche ora e mi ritrovo una rivolta nelle strade di Freedonia. :'D

    Vorrei dire innanzitutto che ancora non abbiamo finito con Nisbet, la portata principale sarà (ovviamente) incentrata sullo stato. Poi c'è la diatriba di quel sondaggio; in realtà mi sembrava degno di riportarlo soprattutto dopo che nel 2001 venne approvato quell'obbrobrio chiamato Patriot Act. Insomma, la perdita di sfiducia nello zio Sam si fa sentire soprattutto dopo le porcate fatte dalle autorità per trovare i bombaroli di Boston. I pianificatori centrali stanon esponendosi per quello che sono degli psicopatici.

    Ma sono diversi dalle persone normali. Non sono malvagi, bensì non provano empatia e rimorso. Ricordate quella citazione di tempo addietro di Brzezinski? "Le persono ai vertici della società non si fanno scrupoli se devono passare sopra 10,000 cadaveri per i loro scopi." Non bisogna sottovalutare l'empatia perché attraverso di essa possiamo metterci "nei panni del prossimo." E' quel sentimento che ci far star male se una persona a noi cara ha subito un torto o subito un incidente.

    E' puramente istintivo e privo di razionalità, ed è quello che aiutato gl iumani a progredire nel tempo e soprattutto a sopravvivere alle avversità che gli poneva dinanzi la natura. E' l'empatia che ha concesso all'uomo di coalizzarsi, di dividere il lavoro, di cooperare per il bene comune, ecc. Insomma è stato quel sentimento che ha portato la figura dell'essere umano alla ribalta nella storia.

    Ma come ben sappiamo ci sono uomini che fanno azioni cattive, malvage e crudeli. Invece gli psicopatici sono più scientifici nelle loro azioni, non provano rimorso o pentimento. Sono freddi e calcolatori, e non conoscendo l'empatia non sanno quale dolore causano agli altri. C'è chi direbbe che questi tipi di uomini sono senza anima...

    Per quanto mi riguarda la maggior parte della popolazione umana ancora sa cosa vul dire l'empatia, mentre una minore parte no prova affatto questo sentimento. Quest'ultima cerca di infettare il resto della popolazione, ma sta fallendo.


    PS: piccola nota per heavymetal, sulla stessa scia di quel film ticonsiglio anche questo, Dark City.

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  13. francesco, ti meta uomo meta link, sicuramente ricordi quell articolo, da te pubblicato, di north, mi pare, dove egli risponde analiticamente ad un altro articolo che parla della moneta nella storia, del ruolo dello stato nella moneta a partire dalla sola di Solone (in nomen o men). me lo rammenti, please?

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  14. http://johnnycloaca.blogspot.it/2012/10/denaro-fiat-e-liberta-fiat.html

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  15. hahaha, SUPERAND, ma mica è un identita segreta?... se non ci fissero gli amici...
    ps ho cuccato fs su facebook, ma tu sei troppo vecchio?

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  16. Ma prego! Facci Lei! :)
    Io sono io. Non sono alias di nessun altro.
    Mi è bastato inserire Solone nel motore di ricerca di Freedonia. Gli elementi li hai forniti tu.
    Comunque, il dramma dei nostri giorni è anche che un sacco di giornalisti scrive cazzate su cazzate e che le cazzate si vendono benissimo. Qualcuno chiama tutto questo presstitute... Ma non sono solo venduti al potere, scrivono ciò che la gente vuol sentirsi dire. Ostellino dice la stessa cosa nel Dubbio di ieri sul Corriere.
    Buon gran premio!

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