lunedì 30 aprile 2012

La separazione tra moneta e stato

"[...] Negli scorsi sei anni, il premio Nobel Friedrich Hayek ha portato all’attenzione del pubblico, ancora una volta, i vantaggi economici di un sistema di monete concorrenziali. Nei suoi due libri, La scelta della moneta e la denazionalizzazione della moneta, il professor Hayek ha proposto che venissero rimossi tutti gli ostacoli legali e che fosse permesso alle persone scegliere liberamente cosa usare come moneta negli scambi. Queste monete in concorrenza tra loro potrebbero essere anche straniere, monete private o governative, banconote emesse da banche e così via. Una concorrenza così libera e vasta risulterebbe nel successo, presso il pubblico, delle monete più affidabili e nel fallimento dei concorrenti peggiori. In assenza di coercizione governativa, infatti, è la moneta buona a scacciare quella cattiva. Coniare nuove monete, così come suggerito dalla Gold Commission e fortemente raccomandato da noi è un primo passo nella direzione di permettere una competizione libera tra monete." -- Ron Paul
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di Detlev Schlichter


"Allora, cosa pensi che dovrebbe essere fatto?"

Spesso mi viene posta questa domanda dopo che ho presentato la mia tesi contro il nostro sistema di denaro fiat, e percepisco che c'è una traccia di frustrazione, per la serie, ci dici che siamo in un bel pasticcio ma non offri alcuna prescrizione d'azione risolutiva. Questo è un punto giusto, credo. La maggior parte degli scrittori che si lamentano dei mali economici del nostro tempo di solito hanno un sacco di ricette da offrire. Infatti, sussurrare nuove linee di politica alle orecchie di chi è al potere è quello che la maggior parte di questi scrittori aspira a fare. Riconosco che quello che li separa da me è che credono nel governo, invece io no.

Il casino in cui ci troviamo è il risultato della linea di politica, della stessa idea -- l'idea stupida -- che il campo del denaro e della finanza funzionerebbero meglio se fosse controllato, gestito, guidato e controllato dallo stato; che se avessimo responsabili politici intelligenti, potenti ed astuti, consultati da re economisti e filosofi, potremmo goderci un'economia fluida e migliore. E se le cose non andassero così bene, cambieremmo la linea politica. Allora, qual è la sua linea politica, Mr. Schlichter?

Non potrebbe essere un pò di più --

costruttivo?

La mia conclusione è semplice. Non ci dovrebbe essere alcuna linea politica. L'esistenza di una linea politica è già il problema. Ciò di cui abbiamo bisogno è il capitalismo appropriato nel denaro e nella finanza. Non ce l'abbiamo adesso. Quello che abbiamo è denaro fiat illimitato dello stato, quantitative easing, manipolazione del mercato sistematica, salvataggi, regolamentazioni, FMI, Banca Mondiale, FSA, FDIC, TARP e LTRO. Abbiamo bisogno di mercati adeguati, non di maggiori linee di politica, non maggiore manipolazione e maggiore burocrazia. E non più soldi fiat. Abbiamo bisogno che lo stato esca dal campo monetario e bancario. Completamente.

Il problema principale con la politica monetaria è che non esiste una cosa come la politica monetaria.

Lo stato è il problema. Non sarà parte della soluzione.

Prima di dirvi quello che penso che dovrebbe essere fatto, permettetemi di offrirvi un altro motivo per cui sono stato così riluttante ad offrire una consulenza sulla linea politica. Lo scopo del mio libro Paper Money Collapse era di esporre gli errori diffusi e di sfatare l'erronea saggezza comune riguardo il denaro. Non era fornire un programma di riforma. Il libro è stato pensato per aprire gli occhi. Quasi l'intera discussione sul denaro e sul settore bancario di oggi si basa su teorie profondamente fallaci. Questo vale anche per il settore dei mercati finanziari, dove ho lavorato per 19 anni. E' altrettanto vero per la maggior parte del dibattito nei media e, per quanto posso vedere, il mondo accademico.

La mia intenzione era quella di sfidare il consenso attuale e l'ortodossia stabilita. Penso che questo sia ciò che deve accadere prima che si possa anche parlare dei drastici cambiamenti che il nostro sistema richiede. Qualsiasi dibattito sullal inea politiche che potete leggere sul The Economist o sul Financial Times avviene entro i confini del consenso stabilito. Domande di carattere più fondamentale non possono essere affrontate nel contesto di dibattiti politici.

Ma non ho intenzione di eludere la questione della linea politica. Quindi lasciatemi parlare un pò di linea politica e di riforme.

Il primo consiglio è questo, naturalmente:

Non iniziate da qui.

Il grande errore è già stato fatto. Il gold standard è stato abbandonato, in uno processo graduale che ebbe inizio intorno al periodo della Prima Guerra Mondiale ed è culminato con Nixon che chiudeva la finestra dell'oro nel mese di Agosto del 1971. Per più di 40 anni, l'oro non ha svolto alcun ruolo ufficiale negli affari monetari globali. Ha dominato la cartamoneta dello stato. Ovunque.

Questa è stata l'epoca del banchiere centrale, del burocrate monetario, del credito artificialmente a buon mercato, dello stimolo, dei grandi rally azionari, delle grandi bolle immobiliari, della svalutazione costante, del denaro facile e dei grandi bonus, delle banche in crescita e di debito sovrano sempre maggiore. Il sistema finanziario globale ha scardinato. Dopo quattro decenni di persistente inflazionismo abbiamo un settore finanziario gravemente dipendente dalla costante iniezione di denaro a buon mercato ed un settore pubblico in costante emissione di debito che non sarà mai ripagato. L'errata allocazione del capitale ed asset prezzati malamente sono gargantueschi. L'establishment stesso prescrive maggiori infusioni di denaro per far andare avanti lo show.

Quindi la prima conclusione è, non vi è alcuna uscita indolore. La crisi è inevitabile. Essere onesti sul casino in cui siamo immersi non sarebbe un cattivo punto di partenza per i politici.

E riconoscere che questo non può andare avanti all'infinito.

Certamente non andrà avanti per sempre.

Okay, ma poi? Se ptresti concepire una linea politica, quale sarebbe? Qual è la cosa numero uno che dobbiamo cambiare per ristabilire un sano equilibrio finanziario?

I critici del denaro fiat hanno presentato tutta una serie di proposte. C'è il ritorno ad una qualche forma di gold standard. Inoltre, vi è il feroce dibattito piuttosto se la riserva frazionaria debba essere vietata o come minimo limitata. Recentemente, i miei colleghi presso il Cobden Centre a Londra hanno introdotto un disegno di legge al Parlamento che renderebbe i membri del consiglio delle banche personalmente responsabili per le perdite delle banche, il che si suppone possa ridurre o eliminare l'azzardo morale. Così siamo già di fronte ad una serie di proposte. Qual è la mia posizione nei loro confronti?

Penso che sia molto semplice. La mia proposta è più efficace e più facilmente comunicabile: Cerchiamo di separare completamente lo stato dal denaro. Questa è, credo, l'unica cosa che deve cambiare. Il capitalismo è l'unico sistema economico che funziona nel mondo reale. Ma ciò che abbiamo oggi è socialismo monetario, anche se un socialismo prevalentemente a beneficio dei ricchi e degli "amici degli amici."

 Dobbiamo fare in modo che lo stato esca completamente dall'economia. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo fare in modo che lo stato esca da TUTTI gli affari monetari. La sfera monetaria della società dovrebbe essere un'area proibita a politici e burocrati. Il coinvolgimento dello stato nella finanza è il problema. Cerchiamo di annullare questo coinvolgimento. Punto. Questo è l'unico obiettivo che dovremmo avere. Questa è l'unica linea politica che consiglio.

Il mio entusiasmo per qualsiasi altra proposta di linea politica varia considerevolmente e dipende da quanto tale linea politica ancora permetta l'intervento dello stato o in alcuni casi lo richieda anche.

Come oppositore al denaro fiat sono naturalmente incline ad un ritorno al gold standard. Credo che Mises avesse ragione quando scrisse:

"Se nei prossimi anni o decenni la nostra civiltà non collasserà completamente il gold standard sarà ripristinato."

Ma che tipo di gold standard dovrebbero essere attuato? Ci sarebbero ancora le banche centrali che "amministrerebbero" questo gold standard? Sotto qualsiasi forma di gold standard, la banca centrale sarebbe sicuramente sempre più confinata nelle sue operazioni monetarie rispetto alle banche centrali di oggi, ma ci potrebbero essere ancora ampi margini di manipolazione. La FED fu fondata nel 1913 in quello che era ufficialmente ancora il Gold Standard Classico ma questo non le impedì di finanziare la spesa militare del governo degli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale e di avviare nuove bolle creditizie e cicli economici. Nel 1933, le dislocazioni introdotte dal denaro a basso costo erano talmente grandi che la loro pulizia -- obbligatoria ed automatica normalmente sotto il gold standard e difatti inconcepibile sotto un gold standard appropriato -- era diventata politicamente inaccettabile. La FED completò la sua missione ed il gold standard venne abbandonato. Il resto è storia, come si dice.

Un ritorno ufficiale al gold standard, e diretto dal governo, solleva anche un sacco di domande sulla sua implementazione che inviterebbe traffici loschi e pressioni di vario tipo da parte di gruppi di differenti pressione. Quanto stock di moneta esistente -- oscenamente inflazionato dopo decenni di stampa di denaro e svalutazione dello stesso -- dovrebbe essere coperto da oro, o per dirla in modo diverso, quale dovrebbe essere il nuovo tasso di cambio tra la moneta in circolazione e l'oro? Quanto dovrebbe svalutato lo stock di moneta esistente? Dovrebbe essere permesso alle banche creare depositi che non sono coperti da oro? La riserva frazionaria dovrebbe essere consentita?

Domande su domande, e lo spazio per le manovre politiche e per gli abusi politici sono enormi. Vogliamo davvero che i politici, i banchieri centrali, i burocrati ed i loro consulenti economici prendano tutte queste decisioni? Non credo.

Conosco qualcuno che è meglio attrezzato per prendere tutte queste decisioni.

Mr. Mercato.

Forse non tutti siamo d'accordo sui meriti o demeriti della riserva frazionaria, ma come capitalisti dovremmo concordare sui vantaggi, anzi la necessità, della libera concorrenza.

Quindi, come possiamo andare da A a B? Come passiamo dal sistema attuale della finanza socialista, dei tassi di interesse fissati dalla banca centrale e dei prezzi degli asset manipolati dalla banca centrale, delle banche nominalmente private che operano con la protezione di un prestatore di ultima istanza, ad un sistema che meriterebbe di nuovo l'etichetta di capitalista?


Fase 1: Privatizzare la banca centrale.

Non introdurre un gold standard. Basta trasferire ufficialmente la proprietà della banca centrale alle banche che hanno un conto presso la banca centrale. Questo è il primo passo affinché lo stato esca dalla sfera monetaria. La banca centrale non sarebbe più un ente pubblico gestito da burocrati e politici, ma un'impresa totalmente privata. Sarebbe di proprietà delle banche e gestita dalle stesse.

La banca centrale amministra le riserve bancarie e fornisce alcune funzioni di compensazione. Le banche ne hanno bisogno, almeno per ora. Chiudere la banca centrale non è così facile. Ma il suo aspetto più pernicioso è che è uno strumento di linea politica. Ciò finirebbe bruscamente con la sua privatizzazione.


Fase 2: Lo stato revoca con effetto immediato TUTTE le leggi e le politiche che si riferiscono specificamente al settore bancario e monetario.

Da questo momento in poi, le banche sono imprese capitalistiche proprio come qualsiasi altra attività normale. Non vi è alcun prestatore di ultima istanza (almeno non uno gestito dallo stato), non vi è alcun obiettivo di inflazione o qualsiasi altro tipo di politica monetaria ufficiale per cui le banche sono come delle tubature, che sotto l'attuale sistema le mette nella strana posizione di essere simultaneamente delle imprese alla ricerca di profitto e dei meccanismi di trasmissione delle politiche. Allo stesso modo, per le banche non vi è più supporto dallo stato. Nessuna garanzia, nessuna assicurazione sui depositi o salvataggi da parte dei contribuenti. Se esistesse un ente di assicurazione dei depositi, verrebbe consegnato alle banche, simile alla banca centrale. Anche in questo caso, lo stato uscirebbe dall'attività di regolazione, supervisione, concessione di licenze, sovvenzionamento e supporto del settore bancario.

L'ingresso nel settore bancario ora sarebbe libero. Non si avrebbe bisogno di una licenza. Non sarebbe necessario un conto con l'ormai banca centrale di proprietà privata (anche se senza una tale conto la compensazione con le altre banche potrebbe essere difficile). Non ci sarebbero più leggi del corso legale, quindi se qualcuno avesse qualche idea brillante e nuova sul denaro (Liberty Dollar, bitcoin) sarebbe la benvenuta. Sarebbe solamente il consumatore a deciderne il successo ed il fallimento.

La politica monetaria finirebbe. Le testimonianze di Bernanke in TV verrebbero sostituite con le repliche di vecchi episodi dei Simpson. I senatori ed i membri del Congresso dovrebbero trovare nuovi pulpiti da cui proporre le loro teorie economiche personali.


Fase 3: Le scorte d'oro dello stato vengono consegnate alle banche.
Cosa? Un regalo ai banchieri? -- Non lo considero un regalo alle banche, ma più un ritorno della proprietà ai depositanti delle banche. I depositanti delle banche sono quelli che dovrebbero beneficiare di più da questo trasferimento.

L'attuale sistema monetario è potuto nascere solamente perché una volta era basato sull'oro. I depositi bancari erano diffusi in un momento in cui le banche ancora promettevano di rimborsare i depositi o le banconote in metallo, e quando a tutte le banche era quindi richiesto di possedere (una certa quantità di) riserve auree -- riserve che nessun soggetto politico poteva creare a volontà. Solo lentamente e gradualmente la copertura d'oro venne rimossa e sostituita con varie garanzie statali implicite o esplicite, le stesse che ormai stanno praticamente fallendo.

Naturalmente, proprio come il genio degli investimenti Warren Buffett, i banchieri potrebbero non sapere cosa fare con un mucchio d'oro e potrebbero quindi essere tentati di ammassarlo da qualche parte. Ho il sospetto, tuttavia, che i banchieri metteranno a buon uso l'oro. I loro clienti -- i titolari dei depositi bancari -- potrebbero essere molto turbati dalla frattura con lo stato, così come coloro che finanziano il settore bancario. La maggior parte delle persone considera i propri depositi bancari sicuri perché crede che lo stato non permetterebbe che la Banca XYZ vada in default, non perché hanno fiducia che la Banca XYZ sia gestita con prudenza. Ora che lo stato uscirebbe dal campo monetario e bancario, le banche sarebbero propense ad usare l'oro come supporto aggiuntivo per i propri bilanci. Userebbero l'oro così come è stato utilizzato per migliaia di anni -- guadagnare fiducia. Ed evitare corse agli sportelli.

Le scorte d'oro saranno sufficienti?

Non lo so.

Attualmente, il governo degli Stati Uniti siede su 260 milioni di once d'oro. Al prezzo attuale dell'oro di $1,655 l'oncia, stiamo parlando di $430 miliardi. La base monetaria è attualmente di $2,673 miliardi; M1 è di $2,220 miliardi e M2 meno i fondi del mercato monetario è di $9,163 miliardi. Le scorte d'oro sono quindi solo il 16%, il 19% ed il 5% di questi stock di denaro, rispettivamente. Difficilmente un gold standard adeguato, ma potrebbe essere un inizio. Attraverso un'adeguata riduzione della leva finanziaria dei bilanci e attraverso ulteriori acquisti d'oro le banche private arebbero ovviamente libere di migliorare questi rapporti. (Anche in questo caso non è compito di burocrati o economisti decidere cosa è appropriato. Questo ruolo è dell'imprenditore bancario.)

Ma ora che le banche private possiedono la banca centrale, non metterebbero mano alla stampante e creerebbero inflazione?

Non credo. Attraverso il quantitative easing la banca centrale accumula asset dal settore bancario ed espande l'offerta di moneta. La banca centrale fa leva sul proprio bilancio nel processo. La FED ha già una leva di 50 a uno, che è maggiore di quella della Lehman e di Bear Stearns quando fallirono. Ma ora le banche sarebbero in possesso del capitale della FED. Sarebbero loro ora a pagare il conto, non i contribuenti. Le banche non potrebbero più scaricare gli asset indesiderati alla banca centrale. Sarebbero in possesso della banca centrale. Non potrebbero trasferire il rischio ad essa.

Inoltre, la popolazione sarebbe molto sospettosa di una banca centrale apertamente espansiva. Saprebbero che è gestita da banche private ed interamente a loro vantaggio. Tutte le preoccupazioni per l'inflazione si tradurrebbero in tassi di interesse maggiori e ciò sarebbe dannoso per un settore bancario fortemente indebitato. Mi aspetterei che le banche private, che ormai opererebbero senza alcuna rete di sicurezza da parte dello stato ma sotto lo sguardo sospettoso dei propri clienti, sarebberio molto caute su quanti soldi verrebbero stampati.

Il denaro facile è straordinario per le banche fintanto che possono abbassare i coefficienti di riserva e di capitale. Ciò era molto più facile quando avrebbero potuto contare sul supporto dei governi o quando la soddisfazione dei requisiti normativi ufficiali forniva già alla loro politica di bilancio un sigillo ufficiale di approvazione. Ora che sarebbero sole, l'espansione monetaria e quindi l'accumulo di debito e di leva rappresenterebbero un'arma a doppio taglio. Gestire una banca con prudenza pagherebbe di nuovo ed anche pubblicizzare i vostri coefficienti di capitale e di riserva superiori.

Inoltre, le banche relativamente più solide (se assumiamo per un momento che esistessero effettivamente) avrebbero poco interesse a gestire la banca centrale di proprietà comune a vantaggio delle banche più deboli. Al contrario, sarebbe nell'interesse delle banche più forti veder fallire, ed uscire dal mercato, le banche più deboli. Allo stesso tempo, non sarebbe nell'interesse delle banche più solide vedere continue corse agli sportelli o una sfiducia generale nelle banche, che potrebbe presto perseguitarle. Penso che sia molto ragionevole supporre che sotto il mio piano di privatizzazione completa la sfida fondamentale nel permettere un fallimento societario nel settore bancario da un lato, ma evitare un collasso totale del sistema bancario dall'altro, sarebbe gestita molto meglio. Il motivo è che questo compito ora è dato ai banchieri, come gli imprenditori che hanno un forte interesse nell'ottenere quel giusto equilibrio. Finché il settore bancario è sotto la protezione dello stato, la politica bancaria e monetaria sarà effettuata a favore delle banche più deboli e le banche più solide trarranno semplicemente profitti inattesi.

Lo stato uscirà di scena facilmente?

Lo stato non avrebbe più alcuna responsabilità per le banche o per il denaro. Niente più settaggio della politica, niente audizioni a Washington, niente salvataggi, niente FMI, niente Banca Mondiale. Saranno riaprmiati un sacco di soldi e saranno eliminate molte pretese esplicite ed implicite sul contribuente. Inoltre, lo stato non potrebbe più dire alle banche che i titoli di stato sono sicuri ed incoraggiare le banche attraverso la regolamentazione bancaria ed i requisiti patrimoniali ufficiali ad investire in tali titoli. Non vi sarebbe più alcuna regolamentazione bancaria da parte dello stato. Le banche sarebbero regolate dal mercato, il che significa, in ultima analisi, dal consumatore. Lo stato perderebbe anche la banca centrale e di conseguenza non potrebbe più creare una domanda artificiale per i suoi bond. Ricordate, l'anno scorso il 61% dei nuovi titoli del Tesoro sono stati collocati con la FED. Perché le banche, che ora sarebbero in possesso della banca centrale, continuerebbero ad accettare una cosa simile?

I titoli di stato in tutto il mondo beneficiano dell'idea che gli stati non possono fallire, perché possono sempre stampare denaro. Questa idea è fondamentalmente sbagliata, come ho sostenuto più volte. Una volta che il carico di debito raggiunge un certo livello, non può più essere gonfiato. Se si prova a gonfiarlo ulteriormente, ne conseguirà un disastro valutario. Sia come sia, con lo stato ufficialmente separato dal campo monetario e bancario, dovrebbe gestire le proprie finanze, come qualsiasi altro soggetto, come una società privata o una famiglia (o quasi come qualsiasi altra entità che continua a beneficiare del privilegio della tassazione). Vedremo certamente un aumento dei costi di finanziamento statali, bassi livelli di spesa e di deficit. Questo sarebbe un passo importante per quello che Doug Casey chiama "affamare la bestia".

Naturalmente, in un tale ambiente non dovremmo preoccuparci affatto di come le banche provvederebbero alla remunerazione dei dirigenti, di come funzionerebbe il loro schema dei bonus, o se gli azionisti delle banche considerassero i membri del consiglio responsabili a tutti gli effetti dei loro errori e fallimenti. Questi sono affari interni di imprese completamente private e capitaliste. Se gli azionisti bancari sbagliassero e stabilissero incentivi sbagliati, solo loro ne sopportrebbero le conseguenze. Non si applicherebbe più l'idea che il sistema bancario fosse un servizio pubblico per il quale uno specifico insieme di norme e regolamenti dovrebbero essere progettati e gestiti dallo stato.

Vieni da pensarci bene, questa proposta sembra molto meglio in termini di coerenza e chiarezza rispetto a qualsiasi altra, a mio modesto parere. Coloro che sostengono un gold standard ufficiale, chiedono che lo stato progetti e realizzi un nuovo ordine monetario. Coloro che chiedono il divieto della riserva frazionaria chiedono allo stato di definire ciò che costituisce una legittima attività bancaria e poi di farla rispettare. Coloro che vogliono introdurre una nuova normativa in risposta alla remunerazione dei dirigenti ed agli schemi dei bonus, chiedono allo stato di interferire nel rapporto tra azionista (dirigente) e manager (agente).

Chiedo allo stato di fare solo una cosa: andarsene al diavolo per quanto riguarda il settore bancario e monetario! Ora!

Nel frattempo, la svalutazione della cartamoneta continua.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


domenica 29 aprile 2012

Il Mito del Monopolio Naturale #3





Terza ed Ultima Parte.




[Originariamente pubblicato in The Review of Austrian Economics 9 (2), 1996.]


Qui il link alla Prima Parte.

Qui il link alla Seconda Parte.

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di Thomas J. DiLorenzo


Il Mito del Monopolio Naturale: Sevizi Elettrici

Secondo la teoria del monopolio naturale, la concorrenza non può persistere nel settore dell'energia elettrica. Ma la teoria è contraddetta dal fatto che la concorrenza ha infatti continuato ad esserci per decenni in decine di città degli Stati Uniti. L'economista Walter J. Primeaux ha studiato la concorrenza nel settore elettrico per più di 20 anni. Nel suo libro del 1986, Direct Utility Competition: The Natural Monopoly Myth, egli conclude che in quelle città dove c'è concorrenza diretta tra le aziende dell'energia elettrica:

  • La rivalità diretta tra due aziende concorrenti è esistita per periodi molto lunghi di tempo — oltre 80 anni in alcune città;
  • Le aziende elettriche rivali competono vigorosamente con prezzi e servizi;
  • I clienti hanno ottenuto notevoli benefici dalla concorrenza, rispetto alle città dove c'erano solo monopoli di aziende elettriche;
  • Contrariamente alla teoria del monopolio naturale, i costi sono in realtà inferiori dove ci sono due aziende che operano;
  • Contrariamente alla teoria del monopolio naturale, non c'è più capacità in eccesso in regime concorrenza di quanto non ce ne sia in regime di monopolio nel settore elettrico;
  • La teoria del monopolio naturale, fallisce su tutti i fronti: la concorrenza esiste, le guerre dei prezzi non sono "serie", vi è un servizio migliore per i consumatori e prezzi più bassi con la concorrenza, la concorrenza persiste per periodi molto lunghi di tempo, ed i consumatori stessi preferiscono la concorrenza al monopolio regolamentato;
  • Eventuali problemi di soddisfazione dei consumatori causati da doppie linee elettriche sono considerati meno significativi rispetto ai benefici dalla concorrenza.[1]

Primeaux scoprì anche che, sebbene i dirigenti delle aziende elettriche generalmente riconoscevano i benefici della concorrenza per i consumatori, personalmente preferivano il monopolio!

Dieci anni dopo la pubblicazione del libro di Primeaux, almeno uno stato — la California — sta trasformando il suo settore dell'energia elettrica "da un monopolio controllato da una manciata di aziende pubbliche ad un mercato aperto."[2] Altri stati si stanno muovendo nella stessa direzione, abbandonando, infine, la teoria infondata del monopolio naturale a favore della concorrenza naturale:[3]

  • La Ormet Corporation, una fonderia di alluminio in West Virginia, ha ottenuto il permesso dello stato per sollecitare offerte competitive provenienti da 40 aziende elettriche;
  • L'Alcan Aluminum Corp. in Oswego, New York, ha approfittato di innovazioni tecnologiche che hanno consentito di costruire un nuovo impianto di generazione di energia a fianco alla propria fabbrica, diminuendo i costi energetici di due terzi. La Niagara Mohawk, la sua precedente (e più costosa) fornitrice di energia, ha citato in giudizio lo stato per aver vietato alla Alcan di utilizzare la propria energia;
  • Le autorità politiche dell'Arizona hanno permesso alla Cargill, Inc. di acquistare energia da chiunque volesse nell'Ovest; la compagnia prevede di risparmiare $8 milioni l'anno;
  • Nuove leggi federali permettono alle aziende di importare energia a basso prezzo, utilizzando le linee elettriche di altre compagnie per il suo trasporto;
  • Il commissario del Wisconsin Public Service, Scott Neitzel, ha recentemente dichiarato, "i liberi mercati sono il miglior meccanismo per rifornire il consumatore [...] il miglior servizio al minor costo";
  • La prospettiva della futura concorrenza sta già costringendo alcuni monopoli di aziende elettriche a tagliare costi e prezzi. Quando la TVA dovette affrontare la concorrenza della Duke Power nel 1988, riuscì a tenere i suoi costi costanti, senza un aumento negli anni successivi.

I potenziali benefici per l'economia degli Stati Uniti dallo smantellamento dei monopoli nel settore dei servizi elettrici sono enormi. La concorrenza farà risparmiare inizialmente ai consumatori almeno $40 miliardi l'anno, secondo l'economista Robert Michaels.[4] Farà scaturire anche lo sviluppo di nuove tecnologie che genereranno uno sviluppo economico grazie a costi energetici più bassi. Ad esempio, "le case automobilistiche e altre utenze del metallo farebbero un uso molto più intenso di strumenti al laser e macchine di saldatura a laser, entrambe le cose sono consumatrici di elettroni.[5]



Il Mito del Monopolio Naturale: la TV via Cavo

Anche la televisione via cavo è un monopolio nella maggior parte delle città a causa della teoria del monopolio naturale. Ma il monopolio in questo settore è tutt'altro che "naturale." Come l'energia elettrica, ci sono decine di città negli Stati Uniti dove ci sono imprese concorrenti per il via cavo. "La concorrenza diretta [...] si verifica attualmente in almeno tre dozzine di giurisdizioni a livello nazionale."[6]

L'esistenza di una concorrenza di lunga data nel settore del via cavo smentisce l'idea che tale settore sia un "monopolio naturale" e quindi abbia bisogno di una regolamentazione del monopolio. La causa del monopolio nella TV via cavo è la regolamentazione del governo, non le economie di scala. Anche se gli operatori del via cavo si lamentano della "duplicazione," è importante tenere a mente che "mentre costruire eccessivamente su un sistema esistente via cavo può abbassare la redditività dell'operatore, migliora in modo inequivocabile la posizione dei consumatori che affrontano i prezzi determinati non dai costi storici , ma dal gioco della domanda e dell'offerta."[7]

Inoltre, come nel caso dell'energia elettrica, i ricercatori hanno scoperto che in quelle città dove ci sono imprese concorrenti per il via cavo i prezzi sono circa il 23% inferiori a quelli degli operatori via cavo monopolistici.[8] Cablevision of Central Florida, per esempio, ridusse i prezzi di base da $12.95 a $6.50 al mese nell'area di "duopolio" al fine di competere. Quando entrò Telestat Riviera Beach, Florida, offrì 26 canali di servizio di base a $5.75 dollari, rispetto all'offerta di 12 canali di Comcast per $8.40 dollari al mese. Comcast rispose aggiornando il suo servizio ed abbassando i propri prezzi.[9] In Presque Isle, Maine, quando il governo della città invitò la concorrenza, l'impresa migliorò rapidamente il suo servizio da solo 12 a 54 canali.[10]

Nel 1987 la Pacific West Cable Company citò in giudizio la città di Sacramento, California, sulla base del Primo Emendamento per aver bloccato il suo ingresso nel mercato del via cavo. Una giuria rilevò che "il mercato del via cavo a Sacramento non era un monopolio naturale e che la tesi di monopolio naturale era una farsa utilizzata dagli imputati come pretesto per la concessione di un singolo franchise per la televisione via cavo [...] per promuovere pagamenti in contanti e servizi di pagamento "in natura" [...] e per ottenere un contributo maggiore dalla campagna elettorale."[11] La città fu costretta ad adottare una politica competitiva per il via cavo, il cui risultato fu che l'operatore via cavo in carica, Scripps Howard, diminuì il prezzo mensile da $14.50 a $10 per competere col prezzo della concorrenza. La compagnia offriva inoltre l'installazione gratuita e tre mesi di servizio gratuito in ogni settore in cui aveva concorrenza.

Eppure, la grande maggioranza dei sistemi in via cavo negli Stati Uniti sono monopoli proprio per le ragioni esposte dalla giuria di Sacramento: sono schemi mercantilisti in base a cui viene creato un monopolio a favore di compagnie del via cavo, che condividono il bottino con i politici attraverso contributi alle campagne elettorali, dirette live gratuite sul tema "community service programming," contributi a fondazioni locali favorite dai politici, partecipazioni azionarie e contratti di consulenza per coloro politicamente ben collegati, e regali vari alle autorità di franchise.

In alcune città, i politici raccolgono questi doni indiretti dai cinque ai dieci anni o più da molte imprese prima di concedere il franchise. Poi godono di una parte delle rendite guadagnate col monopolio. Come l'ex-capo economista del FCC Thomas Hazlett, che forse è l'autorità più importante della nazione sull'economia del settore della TV via cavo, ha concluso, "si può caratterizzare il processo di franchising come palesemente inefficiente dal punto di vista del benessere, anche se produce benefici per il franchise comunale."[12] Le barriere d'ingresso nel settore della TV via cavo non sono economie di scala, ma politiche di fissaggio dei prezzi che esistono tra i politici locali e gli operatori del via cavo.



Il Mito del Monopolio Naturale: Servizi Telefonici

Il più grande mito di tutti in questo senso è il concetto che il servizio telefonico sia un monopolio naturale. Gli economisti hanno insegnato a generazioni di studenti che il servizio telefonico è un esempio "classico" del fallimento del mercato e che la regolamentazione del governo era necessaria per "l'interesse pubblico." Ma, come Adam D. Thierer ha recentemente dimostrato, non c'è niente di "naturale" nel monopolio telefonico di cui gode da tanti decenni AT&T; fu puramente una creazione dell'intervento del governo."[13]

Una volta che i brevetti iniziali di AT&T  terminarono nel 1893, spuntarono decine di concorrenti. "Alla fine del 1894 oltre 80 nuovi concorrenti indipendenti avevano già afferrato il 5% della quota di mercato totale [...] dopo la fine del secolo, esistevano oltre 3,000 concorrenti.[14] In alcuni stati c'erano oltre 200 compagnie telefoniche che operavano simultaneamente. Nel 1907, i concorrenti di AT&T avevano catturato il 51% del mercato della telefonia ed i prezzi venivano spinti nettamente verso il basso dalla concorrenza. Inoltre, non vi era alcuna evidenza di economie di scala, e le barriere d'entrata erano ovviamente quasi inesistenti, contrariamente alla descrizione standard della teoria del monopolio naturale applicata al settore telefonico.[15]

L'eventuale creazione del monopolio telefonico fu il risultato di una cospirazione tra AT&T e politici che volevano offrire un "servizio di telefonia universale" come modo per spendere denaro in una determinata area per ottenere il consenso popolare in vista delle votazioni. I politici iniziarono a denunciare la concorrenza come un "servizio duplicativo", "distruttivo" e "sprecone", e vari economisti vennero pagati per assistere alle udienze del Congresso in cui dichiararono tristemente che la telefonia era un monopolio naturale. "Non c'è nulla da guadagnare dalla concorrenza nel settore telefonico locale," concluse un'audizione al Congresso.[16]

La crociata del governo per creare un'industria telefonica monopolista ebbe infine successo quando il governo federale utilizzò la Prima Guerra Mondiale come scusa per nazionalizzare il settore nel 1918. AT&T gestiva ancora il proprio sistema telefonico, ma era controllato da una commissione governativa presieduta dall'ufficiale in capo del servizio postale nazionale. Come molti altri casi di regolamentazione del governo, AT&T "catturò" rapidamente le autorità di regolamentazione ed usò l'apparato normativo per eliminare i suoi concorrenti. "Nel 1925 non solo ogni stato aveva praticamente stabilito rigorose linee guida sulla regolamentazione delle tariffe, ma la concorrenza telefonica locale era o scoraggiata oppure esplicitamente proibita in molte di queste giurisdizioni."[17]



Conclusioni

La teoria del monopolio naturale è una finzione economica. Non è mai esisto qualcosa come un monopolio "naturale." La storia del cosiddetto concetto di servizio per la colletività risale alla fine del XIX ed inizio del XX secolo in cui le "aziende di servizi pubblici" competevano con vigore e, come tutte le altre industrie, a loro non piaceva la concorrenza. In primo luogo si assicurarono monopoli approvati dal governo, e poi, con l'aiuto di alcuni economisti influenti, costruirono una razionalizzazione ex post per il loro potere di monopolio.

Questo deve essere uno dei più grandi colpi delle pubbliche relazioni aziendali di tutti i tempi. "Con un processo di razionalizzazione rassicurante", scrisse Horace M. Gray più di 50 anni fa, "gli uomini sono in grado di contrastare i monopoli in generale, ma di approvare alcuni tipi di monopoli. [...] Dato che questi erano monopoli erano 'naturali' e poiché la natura è benefica, ne conseguiva che essi erano 'buoni' monopoli. [...] Il governo fu quindi legittimato a stabilire monopoli 'buoni'."[18]

Settore dopo settore, il concetto di monopolio naturale si sta finalmente erodendo. L'energia elettrica, la TV via cavo, i servizi telefonici e le poste, sono tutti sul punto di essere deregolamentati, o legislativamente oppure de facto, a causa del cambiamento tecnologico. Introdotti negli Stati Uniti quasi nello stesso periodo in cui il comunismo stesso fu introdotto nell'ex-Unione Sovietica, i monopoli stanno per diventare altrettanto defunti. Come tutti i monopolisti, useranno tutte le risorse fini all'ultima per fare pressioni e conservare i loro privilegi monopolistici, ma i guadagni potenziali per i consumatori nel libero mercato sono troppo grandi per giustificarli. La teoria del monopolio naturale è una finzione economica del XIX secolo che difende i privilegi monopolistici del XIX secolo (o XVIII secolo, nel caso del Servizio Postale degli Stati Uniti), e non ha utilità nell'economia Americana del XXI secolo.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Walter J. Primeaux, Jr., Direct Electric Utility Competition: The Natural Monopoly Myth (New York: Praeger, 1986), p. 175.

[2] "California Eyes Open Electricity Market," The Washington Times, 27 Maggio 1995, p. 2.

[3] La seguente informazione viene da Toni Mack, "Power to the People," Forbes, 5 Giugno 1995, pp. 119-126.

[4] Ibid., p. 120.

[5] Ibid., p. 126.

[6] Thomas Hazlett, "Duopolistic Competition in Cable Television: Implications for Public Policy," Yale Journal on Regulation, vol. 7 (1990).

[7] Ibid.

[8] Ibid.

[9] Ibid.

[10] Thomas Hazlett, "Private Contracting versus Public Regulation as a Solution to the Natural Monopoly Problem," in Robert W. Poole, ed., Unnatural Monopolies: The Case for Deregulating Public Utilities (Lexington, Mass.: Lexington Books, 1985), p. 104.

[11] Pacific West Cable Co. v. City of Sacramento, 672 F. Supp. 1322, 13491340 (E.D. Cal. 1987), citato in Hazlett, "Duopolistic Competition."

[12] Hazlett, "Duopolistic Competition."

[13] Adam D. Thierer, "Unnatural Monopoly: Critical Moments in the Development of the Bell System Monopoly," Cato Journal, Autunno 1994, pp. 267-285.

[14] Ibid., p. 270.

[15] Ibid.

[16] G.H. Loeb, "The Communications Act Policy Toward Competition: A Failure to Communicate," Duke Law Journal, vol. 1 (1978), p. 14.

[17] Thierer, "Unnatural Monopoly," p. 277.

[18] Gray, "The Passing of the Public Utility Concept," p. 10.

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sabato 28 aprile 2012

Il Mito del Monopolio Naturale #2





Seconda Parte



[Originariamente pubblicato in The Review of Austrian Economics 9 (2), 1996.]


Qui il link alla Prima Parte.

Qui il link alla Terza Parte.


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di Thomas J. DiLorenzo


Quanto Erano "Naturali" i Primi Monopoli Naturali?

Non vi è alcuna prova che all'inizio della regolamentazione dei servizi essenziali per la collettività esistesse alcun fenomeno come un "monopolio naturale." Come Harold Demsetz sottolineò:

Sei compagnie elettriche furono organizzate nel 1887 a New York. Quarantacinque le aziende elettriche che avevano il diritto legale di operare a Chicago nel 1907. Prima del 1895, Duluth, Minnesota, era servita da cinque aziende di illuminazione elettrica, e Scranton, Pennsylvania, ne aveva quattro nel 1906. [...] Durante l'ultima parte del XIX secolo, la concorrenza era la situazione abituale nel settore del gas in questo paese. Prima del 1884, sei compagnie concorrenti operavano nella città di New York [...] la concorrenza era comune e soprattutto persistente nel settore telefonico [...] Baltimora, Chicago, Cleveland, Columbus, Detroit, Kansas City, Minneapolis, Philadelphia, Pittsburgh, e St. Louis, tra le grandi città, avevano almeno due servizi di telefonia nel 1905.[1]

In un eufemismo estremo, Demsetz conclude che "si comincia a dubitare che le economie di scala caratterizzassero il settore dei servizi al momento in cui la regolamentazione sostituì la concorrenza di mercato."[2]

Un esempio più istruttivo della non-esistenza di un monopolio naturale nelle industrie dei servizi viene fornita in un libro del 1936 dell'economista George T. Brown dal titolo "The Gas Light Company of Baltimore," che reca il sottotitolo fuorviante, "A Study of Natural Monopoly."[3] Il libro presenta "lo studio del carattere evolutivo dei servizi" in generale, con particolare riferimento alla Società Gas e Luce di Baltimora, i problemi della quale "non sono peculiari all'azienda di Baltimora o allo Stato del Maryland, ma sono tipici di chi si destreggia in tutto il settore dei servizi essenziali alla collettività."[4]

La storia della Società Gas e Luce di Baltimora compare notevolmente in tutta la storia del monopolio naturale, in teoria e in pratica, poiché l'autorevole Richard T. Ely, che era un professore di economia presso la Johns Hopkins University di Baltimora, elencò i problemi della società in una serie di articoli del Baltimore Sun, che furono poi pubblicati in un libro ampiamente venduto. Gran parte dell'analisi di Ely divenne un dogma economico, accettato per quanto riguarda la teoria del monopolio naturale.

La storia della Società Gas e Luce di Baltimora è che, dalla sua fondazione nel 1816, lottò costantemente con nuovi concorrenti. La sua risposta non era solo cercare di competere sul mercato, ma anche esercitare pressioni sulle autorità governative statali e locali affinché non concedessero atti istitutivi aziendali ai suoi concorrenti. La società operò con economie di scala, ma ciò non impedì ai numerosi concorrenti di saltar fuori.

"La concorrenza è la vita delle imprese", aggiunse il Baltimore Sun nel 1851 mentre accoglieva con favore le notizie di nuovi concorrenti nel settore della luce e del gas.[5] La Società Gas e Luce di Baltimora, comunque, "contestò la concessione di diritti di franchising alla nuova società."[6]

Brown afferma che "le compagnie del gas in altre città erano esposte ad una concorrenza rovinosa," e poi cataloga come quelle stesse aziende cercarono disperatamente di entrare nel mercato di Baltimora. Ma se tale concorrenza era così "disastrosa", perchè queste aziende avrebbero voluto inserirsi in nuovi mercati — e presumibilmente anch'essi "rovinosi"? O la teoria di Brown della "concorrenza rovinosa" — che ben presto divenne quella generalmente accettata — era incorretta, oppure quelle imprese erano irrazionalmente golose di punizioni finanziarie.

Ignorando la natura dinamica del processo concorrenziale, Brown commise lo stesso errore che molti altri economisti commettono ancora: credere che la concorrenza "eccessiva" possa essere "distruttiva" se i produttori a basso costo scacciano dal mercato i loro rivali meno efficienti.[7] Tale competizione può essere "distruttiva" per i concorrenti con costi alti, ma è vantaggiosa per i consumatori.

Nel 1880 ci furono tre compagnie del gas concorrenti a Baltimora, che erano ferocemente in concorrenza l'una con l'altra. Cercarono di fondersi ed operare come monopolisti nel 1888, ma un nuovo concorrente sventò i loro piani: "Thomas Aha Edison introdusse la luce elettrica che minacciava l'esistenza di tutte le società del gas."[8] Da quel momento in poi esistette una concorrenza tra le società del gas e quelle elettriche, ognuna delle quali incorse in elevati costi fissi che condusse ad economie di scala. Tuttavia, non si materializzò mai un monopolio "naturale" o di libero mercato.

Quando apparve il monopolio, fu solamente a causa di un intervento del governo. Ad esempio, nel 1890 venne introdotta una proposta di legge nella legislatura del Maryland che "chiese un pagamento annuale alla città dalla Consolidata [Gas Company] di $10,000 l'anno e il 3% di tutti i dividendi dichiarati in cambio del privilegio di godere di 25 anni di monopolio.[9] Questo è l'ormai familiare approccio dei funzionari governativi in collusione con i dirigenti del settore per stabilire un monopolio che penalizza i consumatori, e poi condividere il bottino con i politici in forma di tasse ed imposte sui redditi di monopolio. Questo approccio è particolarmente diffuso oggi nel settore della TV via cavo.

La "regolamentazione" legislativa delle società del gas e dell'elettricità produsse il risultato prevedibile di prezzi di monopolio, di cui la popolazione se ne lamentava amaramente. Invece di deregolamentare il settore e lasciare che la concorrenza controllasse i prezzi, tuttavia, la regolamentazione dei servizi essenziali per la collettività venne adottata per placare apparentemente i consumatori che, secondo Brown, "percepivano che il modo negligente con cui i loro interessi venivano serviti [dal controllo legislativo dei prezzi del gas e dell'elettricità] avrebbe portato ad enormi privilegi di monopolio. Lo sviluppo della regolamentazione di tali servizi nel Maryland rappresentava l'esperienza di altri stati."[10]

Non tutti gli economisti vennero ingannati dalla teoria del "monopolio naturale" invocata dai monopolisti del settore dei servizi essenziali per la collettività e dai loro consulenti economici pagati. Nel 1940 l'economista Horace M. Gray, un assistente del decano presso la University of Illinois, esaminò la storia del "concetto di servizi essenziali per la collettività," inclusa la teoria del monopolio "naturale." "Durante il XIX secolo," osservò Gray, era opinione diffusa che "l'interesse pubblico sarebbe stato meglio promosso da sovvenzioni di privilegio speciale a persone ed imprese private" in molti settori.[11] Ciò includeva i brevetti, le sovvenzioni, le tariffe, le concessioni di terra alle ferrovie, ed il monopolio dei servizi essenziali per la "collettività." "Il risultato finale fu il monopolio, lo sfruttamento e la corruzione politica."[12]

Per quanto riguarda i servizi essenziali per la "collettività," Gray ricorda che "tra il 1907 ed il 1938, la politica del monopolio creato e protetto dallo stato andò consolidandosi in una parte significativa dell'economia e divenne la chiave di volta della moderna regolamentazione dei servizi essenziali per la colletività."[13] Da quel momento in poi, "lo status dei servizi essenziali per la colletività sarebbe stato il porto di rifugio per tutti gli aspiranti monopolisti che trovavano troppo difficile, troppo costoso, o troppo precario garantire e mantenere un monopolio con la sola azione privata."[14]

A sostegno di questa tesi, Gray sottolineò come praticamente ogni aspirante monopolista nel paese cercò di ottenere un "servizio essenziale per la collettività," tra cui la radio, il settore immobiliare, il latte, il trasporto aereo, il carbone, il petrolio e le industrie agricole, per citarne alcuni. In questa stessa linea, "l'intero esperimento NRA può essere considerato come uno sforzo da parte delle grandi imprese per assicurarsi la sanzione legale per le sue pratiche monopolistiche."[15] Le industrie fortunate che furono in grado di farsi assegnare "servizi essenziali per la colletività," usarono perfino il concetto di servizio pubblico per tenere fuori la concorrenza.

Il ruolo degli economisti in questo schema era quello di costruire ciò che Gray chiamò "la razionalizzazione confusa" per "le forze sinistre di privilegio e di monopolio privato," cioè, la teoria del monopolio "naturale." "La tutela dei consumatori sbiadì in secondo piano."[16]

Ricerche economiche più recenti supportano l'analisi di Gray. In uno dei primi studi statistici sugli effetti della regolamentazione delle tariffe nel settore elettrico, pubblicato nel 1962, George Stigler e Claire Friedland non trovarono differenze significative nei prezzi e nei profitti di questo settore con e senza commissioni di regolamentazione dal 1917 al 1932.[17] I primi regolatori delle tariffe non optarono a beneficio del consumatore, ma furono piuttosto "catturati" dal settore, come accadde in tanti altri settori, dal trasporto su gomma alle compagnie aeree alla televisione via cavo. È degno di nota — ma non molto lodevole — che ci vollero 50 anni agli economisti affinché iniziassero a studiare gli effetti attuali, in contrasto con quelli teorici, della regolamentazione delle tariffe.

Sedici anni dopo lo studio di Stigler-Friedland, Gregg Jarrell osservò che 25 stati sostituirono la regolamentazione statale con quella comunale in materia di tariffazione dell'energia elettrica tra il 1912 e il 1917, i cui effetti furono quelli di aumentare i prezzi del 46% ed i profitti del 38%, riducendo il livello della produzione del 23%.[18] Così, la regolamentazione comunale non riuscì a tenere bassi i prezzi. Ma tali servizi videro un aumento ancora più rapido dei loro prezzi, quindi esercitarono pressioni a favore della regolamentazione statale sotto la teoria che i regolatori statali sarebbero stati meno influenzati dalle pressioni di gruppi di clienti locali, rispetto a sindaci e consigli comunali.

Questi risultati delle ricerche sono coerenti con l'interpretazione precedente di Horace Gray del costo della regolamentazione dei servizi pubblici: un piano di fissazione dei prezzi, anti-consumatore, monopolistico.



Il Problema della "Duplicazione Eccessiva"

Oltre alla fandonia dell'economie di scala, un altro motivo che è stato fornito per concedere diritti esclusivi ai "monopoli naturali" è questo: permettere a troppi concorrenti di competere è troppo pericoloso. E' troppo costoso per una comunità, prosegue questa tesi, premttere a diversi fornitori d'acqua, produttori di energia elettrica ed operatori TV via cavo di scavare le strade. Ma, come Harold Demsetz ha osservato:

[Il] problema della duplicazione eccessiva dei sistemi di distribuzione è da attribuire al fallimento delle comunità di fissare un prezzo appropriato all'uso di tali risorse scarse. Il diritto di utilizzare strade di proprietà pubblica è il diritto di utilizzare una risorsa scarsa. L'assenza di un prezzo per l'utilizzo di queste risorse, un prezzo abbastanza alto in modo da riflettere i costi di opportunità di tali usi alternativi come la manutenzione del traffico ininterrotto e le viste non deturpate, porterà alla loro sovrautilizzazione. La fissazione di un costo adeguato per l'utilizzo di queste risorse potrebbe ridurre il grado di duplicazione a livelli ottimali.[19]

Proprio come il problema con i monopoli "naturali" è effettivamente causato da un intervento del governo, così è il problema della "duplicazione delle strutture." E' nato dal fallimento dei governi di mettere un prezzo alle risorse urbane scarse. Più precisamente, il problema è in realtà causato dal fatto che i governi possiedono le strade in cui sono poste le linee di utilità, e che l'impossibilità di un calcolo economico razionale all'interno delle istituzioni socialiste impedisce loro di prezzare queste risorse in modo appropriato, diversamente da come accadrebbe in un mercato con proprietà privata in competizione.

Contrariamente a quanto sostenuto da Demsetz, in questo caso un prezzo economico razionale è impossibile proprio a causa della proprietà pubblica delle strade. I politici benevoli e illuminati, anche quelli che hanno studiato ai piedi di Harold Demsetz, non avrebbero alcun modo razionale per determinare quali prezzi far pagare. Murray Rothbard spiegò tutto questo più di 25 anni fà:

Il fatto che il governo debba dare il permesso per l'utilizzo le sue strade è stato citato per giustificare le normative governative stringenti dei "servizi essenziali per la collettività," molti dei quali (come l'acqua o le società elettriche) devono far uso delle strade. I regolamenti vengono quindi trattati come quid pro quo volontari. Ma così si trascura il fatto che la proprietà statale delle strade è di per sé un atto permanente di intenti. La regolamentazione dei servizi essenziali per la collettività o di qualsiasi altro settore scoraggia gli investimenti in questi settori, privando così i consumatori della migliore soddisfazione dei loro bisogni. Poiché distorce le allocazioni di risorse del libero mercato.[20]

La cosiddetta tesi del "monopolio dello spazio limitato" a favore dei diritti di monopolio, sosteneva inoltre Rothbard, è uno specchietto per le allodole, poiché per quanto molte imprese saranno redditizie in qualsiasi linea di produzione

è una questione istituzionale e dipende da dati concreti come il livello di domanda dei consumatori, il tipo di prodotto venduto, la produttività fisica dei processi, l'offerta ed il prezzo dei fattori, la previsione degli imprenditori, ecc. Le limitazioni dello spazio possono essere irrilevanti.[21]

In realtà, anche se le limitazioni spaziali consentono ad una sola impresa di operare in un determinato mercato geografico, questo non è necessariamente monopolio, poiché "monopolio" è "un appellativo senza senso, a meno che non vengano raggiunti prezzi di monopolio," e "tutti i prezzi in un libero mercato sono competitivi."[22] Solo l'intervento del governo è in grado di generare prezzi monopolistici.

L'unico modo per ottenere un libero mercato dei prezzi che rifletta i costi di opportunità reali e porti a livelli ottimali di "duplicazione" è attraverso il libero scambio in un mercato veramente libero, un'impossibilità assoluta senza proprietà privata e mercati liberi.[23] La politica forzosa semplicemente non è un sostituto fattibile per i prezzi che sono determinati dal libero mercato, perché il calcolo economico razionale è impossibile senza mercati.

Sotto la proprietà privata di strade e marciapiedi, ai singoli proprietari viene offerto un compromesso di prezzi più bassi per il temporaneo disagio di ritrovarsi una compagnia di servizi che scava un fosso nella loro proprietà. Se la "duplicazione" si verifica in un tale sistema, è perché gli individui liberi di scegliere apprezzano di più un servizio supplementare o prezzi più bassi o entrambe le cose rispetto al costo imposto loro dal disagio di un progetto di costruzione temporaneo sulla loro proprietà. I mercati liberi non richiedono né un monopolio né una "duplicazione eccessiva" in un qualunque senso economico significativo.



Concorrenza nel Campo

L'esistenza di economie di scala in servizi idrici, del gas, elettrici, o altri "servizi essenziali per la colletività" non necessita in alcun modo di prezzi di monopolio o di un monopolio. Come scrisse Edwin Chadwick nel 1859, un sistema di gare d'appalto per i servizi privati può eliminare i prezzi di monopolio fintanto che non vi è concorrenza "nel campo."[24] Finché c'è un'offerta vigorosa per il franchise, le conseguenze possono essere un'assenza di duplicazioni di strutture oppure prezzi competitivi del prodotto o servizio. Cioè, l'offerta per il franchise può essere fatta sottoforma di assegnazione dello stesso all'utilità che offre ai consumatori il prezzo più basso per una qualità costante del servizio (in contrasto con il prezzo più alto del franchise).

Harold Demsetz ravvivò l'interesse per il concetto di "concorrenza nel campo" in un articolo del 1968.[25] La teoria del monopolio naturale, sottolineò Demsetz, non riesce a rivelare "i passi logici che portano da economie di scala nella produzione a prezzi di monopolio nel mercato."[26] Se un offerente può fare il lavoro a costi inferiori,

allora l'offerente con il prezzo d'offerta più basso per il lavoro si vedrà assegnato l'appalto, se il bene sia di cemento, elettricità, distributori automatici, o qualsiasi altra cosa, ma il prezzo d'offerta più basso non deve essere un prezzo di monopolio. [...] La teoria del monopolio naturale non fornisce alcuna base logica per i prezzi di monopolio.[27]

Non vi è alcun motivo per credere che il processo di offerta non sarà competitivo. Hanke e Walters hanno dimostrato che un tale processo di licitazione opera in modo molto efficiente nel settore della fornitura idrica Francese.[28]


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Burton N. Behling, "Competition in Public Utility Industries" (1938), in Harold Demsetz, ed., Efficiency, Competition, and Policy (Cambridge, Mass.: Blackwell, 1989), p. 78.

[2] Ibid.

[3] George T. Brown, The Gas Light Company of Baltimore: A Study of Natural Monopoly (Baltimore, Maryland: Johns Hopkins University Press, 1936).

[4] Ibid., p. 5.

[5] Ibid., p. 31.

[6] Ibid.

[7] Ibid., p. 47.

[8] Ibid., p. 52.

[9] Ibid., p. 75.

[10] Ibid., p. 106.

[11] Horace M. Gray, "The Passing of the Public Utility Concept," Journal of Land and Public Utility Economics, Febbraio 1940, p. 8.

[12] Ibid.

[13] Ibid., p. 9.

[14] Ibid.

[15] Ibid., p. 15.

[16] Ibid., p. 11.

[17] George Stigler and Claire Friedland, "What Can Regulators Regulate? The Case of Electricity," Journal of Law and Economics, Ottobre 1962, pp. 116.

[18] Gregg A. Jarrell, "The Demand for State Regulation of the Electric Utility Industry," Journal of Law and Economics, Ottobre 1978, pp. 269-295.

[19] Demsetz, Efficiency, Competition, and Policy, p. 81.

[20] Murray N. Rothbard, Power and Market: Government and the Economy (Kansas City: Sheed Andrews and McMeel, 1977), pp. 75-76.

[21] Murray N. Rothbard, Man, Economy, and State: A Treatise on Economic Principles (Auburn, Ala.: Ludwig von Mises Institute, 1993), p. 619.

[22] Ibid., p. 620.

[23] Ibid., p. 548.

[24] Edwin Chadwick, "Results of Different Principles of Legislation and Administration in Europe of Competition for the Field as Compared With Cmopetition Within the Field of Service," Journal of the Statistical Society of London, vol. 22 (1859), pp. 381-420.

[25] Harold Demsetz, "Why Regulate Utilities?" Journal of Law and Economics, Aprile 1968, pp. 55-65.

[26] Ibid.

[27] Ibid.

[28] Steve Hanke and Stephen J.K. Walters, "Privatization and Natural Monopoly: The Case of Waterworks," The Privatization Review, Primavera 1987, pp. 24-31.

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venerdì 27 aprile 2012

Il Mito del Monopolio Naturale #1

Oggi ci occuperemo di un vecchio mito che ancora aleggia nell'aria. E' davvero un problema che in un determinato mercato ci sia una sola impresa che produce un determinato bene? Forse. Se prendiamo come esempi determinati segmenti di mercato ci accorgiamo di essere "circondati" da monopoli; ad esempio, la Asus ha il monopolio sui notebook, la Fanta ha il monopolio sull'aranciata Fanta, ecc. Ma allora il “monopolio”, ci si potrebbe chiedere, non è un problema? Ovviamente si, ma non perché vi sia una sola azienda a produrre un determinato prodotto. Potrebbe farlo, eccezionalmente ed a prezzi bassi. Qual è quindi il dannato intoppo? I problemi sorgono quando si tenta, e si ha successo, di impedire che altri concorrenti entrino in scena; ad esempio, attraverso vie giuridiche (cavilli legali e burocratici), attraverso la violenza (assoldare delle persone per operare minaccie ed intimidazioni verso coloro che si vuole escludere), ecc. In questi casi il “capitalista,” nonostante possa vendere degli ottimi prodotti e grazie ad essi essere arrivato al successo, vuole solidificare la sua posizione,ottnere "per legge" il diritto al profitto, ed impedire agli altri di fargli concorrenza. Questo è il monopolio da combattere.
Se alcune imprese si "mettono d'accordo" per vendere un determinato bene ad un determinato prezzo, ottenendo grandi guadagni, questo spronerà altri imprenditori ad entrare sul mercato presentando un prezzo minore per accaparrarsi la clientela. Se le quelle stesse imprese in accordo impediscono ai nuovi imprenditori di presentarsi sul mercato, utilizzando mezzi legali, allora quel mercato non è più “concorrenziale” e quindi si genera quella situazione che bisogna ostacolare. Ogni imprenditore, essendo essere umano, mira ad ottenere una certa rendita da una posizione e tentare di proteggersi contro la possibile concorrenza; ma senza l’intervento dello stato in suo soccorso questi scopi non possono essere raggiunti. [Prima Parte di Tre.]
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di Thomas J. DiLorenzo


[Originariamente pubblicato in The Review of Austrian Economics 9 (2), 1996.]


Il termine stesso "azienda che fornisce servizi pubblici" [...] è assurdo. Ogni bene è utile "al pubblico", e quasi ogni bene [...] può essere considerato "necessario". La nomina di alcune industrie come "servizi pubblici" è del tutto arbitraria ed ingiustificata.
    — Murray Rothbard, Power and Market

Alla maggior parte dei cosiddetti servizi pubblici è stata concessa l'esclusiva dei monopoli governativi, perché si pensa che siano dei "monopoli naturali." In parole povere, un monopolio naturale si dice che abbia luogo quando la tecnologia di produzione, come i costi fissi relativamente alti, fa sì che i costi medi totali di lungo periodo diminuiscano con l'espansione della produzione. In tali settori, recita la teoria, un unico produttore sarà in grado di produrre ad un costo inferiore rispetto ad ulteriori due produttori, creando così un monopolio "naturale". Risulteranno prezzi più alti se più di un produttore rifornirà il mercato.

Inoltre, si dice che la concorrenza sia fonte di disagi per i consumatori a causa della costruzione di impianti doppi, ad esempio, scavare le strade per installare due linee del gas o dell'acqua. Evitare tali inconvenienti è un altro motivo offerto dai monopoli statali alle industrie con un declino nei costi medi totali di lungo periodo.

E' un mito che la teoria del monopolio naturale sia stata dapprima sviluppata da economisti, e poi utilizzata dal legislatore per "giustificare" i monopoli. La verità è che i monopoli sono stati creati decenni prima che la teoria venisse formalizzata da un intervento degli economisti, che utilizzarono poi la teoria come una logica ex post per l'intervento del governo. Nel momento in cui venivano garantiti i primi monopoli di stato, la grande maggioranza degli economisti capì che su larga scala la produzione intensiva di capitale non portava al monopolio, ma era un aspetto assolutamente desiderabile del processo concorrenziale.

Qui la parola "processo" è importante. Se la concorrenza è vista come un processo dinamico, di rivalità imprenditoriale, allora il fatto che un unico produttore abbia i costi più bassi in qualsiasi punto nel tempo è di scarsa o nessuna conseguenza. Le forze durevoli della concorrenza — tra cui la concorrenza potenziale — renderanno impossibile il monopolio di libero mercato.

La teoria del monopolio naturale è astorica. Non ci sono prove storiche di un "monopolio naturale" — di un produttore che raggiunge nel lungo periodo costi medi totali ridotti rispetto a tutti gli altri nel settore, creando così un monopolio permanente. Come viene discusso di seguito, in molti dei cosiddetti settori pubblici nel tardo XVIII ed all'inizio del XIX secolo, ci sono letteralmente stati decine di concorrenti.



Economie di Scala Durante l'Era del Monopolio

Durante la fine del XIX secolo, quando i governi locali cominciavano a concedere monopoli, la comprensione economica generale era che il "monopolio" fosse causato dall'intervento del governo, non dal libero mercato, attraverso la concessione esclusiva, il protezionismo, ed altri mezzi. La produzione su larga scala e le economie di scala erano considerate come una virtù competitiva, non un vizio monopolistico. Per esempio, Richard T. Ely, co-fondatore della American Economic Association, ha scritto che "la produzione su larga scala è una cosa che non significa necessariamente una produzione di monopolio."[1] John Bates Clark, cofondatore con Ely, scrisse nel 1888 che la nozione secondo cui le combinazioni industriali "distruggerebbero la concorrenza non deve essere accettata troppo frettolosamente."[2]

Herbert Davenport dell'Università di Chicago suggerì nel 1919 che solo poche imprese in un settore dove ci sono economie di scala non "richiedono l'eliminazione della concorrenza,"[3] ed il suo collega, James Laughlin, osservò che anche quando "un'alleanza è grande, un'alleanza rivale può fornire una competizione più vivace"[4] Irving Fisher[5] ed Edwin R.A. Seligman[6] erano entrambi d'accordo sul fatto che la produzione su larga scala produsse vantaggi competitivi attraverso la riduzione dei costi pubblicitari, le vendite, e costi di spedizione minori.

Le unità della produzione su larga scala andarono inequivocabilmente a beneficio del consumatore, secondo gli economisti d'inizio secolo. Poiché senza una produzione su larga scala, secondo Seligman, "il mondo sarebbe tornato ad uno stato più primitivo di benessere, ed avrebbe praticamente rinunciato ai benefici inestimabili della migliore utilizzazione del capitale."[7] Simon Patten della Wharton School espresse un punto di vista simile "l'associazione di capitale non provoca alcun svantaggio economico per la comunità. [...] Le alleanze sono molto più efficienti di quanto lo fossero i piccoli produttori che esse hanno rimpiazzato."[8]

Praticamente come ogni altro economista dell'epoca, Franklin Giddings della Columbia considerava la concorrenza alla stregua degli economisti Austriaci moderni, come un processo dinamico di rivalità. Di conseguenza, osservò che

la concorrenza in alcune forme è un processo economico permanente. [...] Pertanto, quando la competizione di mercato sembra essere soppressa, dobbiamo indagare cosa ne è stato delle forze da cui è stata generata. Dobbiamo indagare, inoltre, a quale livello la concorrenza sul mercato è stata praticamente soppressa o convertita in altre forme.[9]

In altre parole, un'azienda "dominante" che offre prezzi più bassi rispetto a tutti i suoi rivali in qualsiasi punto nel tempo non ha soppresso la concorrenza, poiché la concorrenza è "un processo economico permanente."

David A. Wells, uno degli scrittori economici più popolari della fine del XIX secolo, scrisse che "il mondo esige abbondanza di merci, e le chiede a basso prezzo; e l'esperienza dimostra che le si può avere solo con l'impiego di grande capitale su vasta scala."[10] E George Gunton ritiene che

la concentrazione del capitale non manda fuori dal mercato i piccoli capitalisti, ma li integra semplicemente in sistemi di produzione più grandi e più complessi, in cui sono in grado di produrre [...] più a buon mercato per la comunità ed ottenere un reddito maggiore per se stessi. [...] La concentrazione di capitale non tende a distruggere la concorrenza. [...] Con l'uso di grandi capitali, di macchinari migliorati e di strutture migliori la fiducia permette alla corporazione di vendere a prezzi più bassi.[11]

Le citazioni qui sopra non sono una selezione, ma piuttosto un elenco comprensibile. Può sembrare strano per gli standard odierni, ma come A.W. Coats sottolineò, alla fine del 1880 c'erano solo dieci uomini che avevano raggiunto uno status professionale a tempo pieno come gli economisti negli Stati Uniti.[12] Così, le citazioni qui sopra coprono praticamente ogni economista di professione che aveva qualcosa da dire sul rapporto tra economie di scala e competitività al volgere del secolo.

Il significato di questi punti di vista è che questi uomini hanno osservato in prima persona l'avvento della produzione su larga scala e non hanno visto che ciò abbia condotto al monopolio, "naturale" o di altra natura. Nello spirito della Scuola Austriaca, hanno capito che la concorrenza è un processo continuo, e che la posizione dominante sul mercato è sempre necessariamente temporanea, in assenza di un monopolio regolamentare creato del governo. Questo punto di vista è anche coerente con le mie stesse scoperte per cui le "società d'investimento" della fine del XIX secolo stavano di fatto diminuendo i loro prezzi ed espandendo la produzione più velocemente rispetto al resto dell'economia — erano le industrie più dinamiche e competitive tra tutte le altre, non monopoliste.[13] Forse è per questo che vennero prese di mira dai legislatori protezionisti e sottoposte a leggi "antitrust."

La professione economica abbracciò la teoria del monopolio naturale dopo il 1920, quando si infatuò dello "scientismo" ed adottò più o meno una teoria della costruzione della concorrenza che calssificava le industrie in termini di rendimenti in costante diminuzione ed incremento (media dei costi totali in diminuzione). Secondo questo modo di pensare, i rapporti escogitati determinavano una struttura del mercato e, di conseguenza, della competitività. Il significato della concorrenza non era più visto come un fenomeno comportamentale, ma come un rapporto costruito. Con l'eccezione di economisti come Joseph Schumpeter, Ludwig von Mises, Friedrich Hayek, ed altri membri della Scuola Austriaca, il processo di rivalità competitiva ed imprenditorialità venne ampiamente ignorato.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


Qui il link alla Seconda Parte.
Qui il link alla Terza Parte.

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Note

[1] Richard T. Ely, Monopolies and Trusts (New York: MacMillan, 1990), p. 162.

[2] John Bates Clark and Franklin Giddings, Modern Distributive Processes (Boston: Ginn & Co., 1888), p. 21.

[3] Herbert Davenport, The Economics of Enterprise (New York: MacMillan, 1919), p. 483.

[4] James L. Laughlin, The Elements of Political Economy (New York: American Book, 1902), p. 71.

[5] Irving Fisher, Elementary Principles of Economics (New York: MacMillan, 1912), p. 330.

[6] E.R.A. Seligman, Principles of Economics (New York: Longmans, Green, 1909), p. 341.

[7] Ibid, p. 97.

[8] Simon Patten, "The Economic Effects of Combinations," Age of Steel, 5 Gen. 1889, p. 13.

[9] Franklin Giddings, "The Persistence of Competition," Political Science Quarterly, Marzo 1887, p. 62.

[10] David A. Wells, Recent Economic Changes (New York: DeCapro Press, 1889), p. 74.

[11] George Gunton, "The Economics and Social Aspects of Trusts," Political Science Quarterly, Settembre 1888, p. 385.

[12] A.W. Coats, "The American Political Economy Club," American Economic Review, Settembre 1961, pp. 621-637.

[13] Thomas J. DiLorenzo, "The Origins of Antitrust: An Interest-Group Perspective," International Review of Law and Economics, Autunno 1985, pp. 73-90.

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giovedì 26 aprile 2012

Nessuno Piange per l'Argentina che Abbraccia il 25% dell'Inflazione della Fernandez

Dopo il vespaio eruttato nel precedente articolo sull'Argentina, ed aver rotto il giocattolo agli interventisti che vorrebbero "santificare" la Kircnher, torniamo sull'argomento con un articolo di circa un anno fà ma ancora in possesso di indizi preziosi che ci svelano che quello che sta avvenendo in Argentina è il classico ciclo economico Austriaco che a sua volta condurrà il paese al bust, e se verranno implementate politiche anticicliche allo sfascio totale. Ancora una volta.

"L'alcol monetario dà, l'alcol monetario toglie."

Mi raccomando, fatemi sbellicare dalle risate affermando come dei beoti che un paese progredisce con i prezzi nella nazione che salgono costantemente. Quasi dimenticavo, aggiungerò enfasi nei "punti chiave" dell'articolo.
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di Eliana Raszewski


Immigrato in Argentina nel 1992, Zheng Jicong ha dovuto imparare lo Spagnolo ed adattarsi agli usi e costumi locali. Dopo aver costruito una catena di tre supermercati a Buenos Aires, sta cercando ancora di adattarsi all'inflazione che è circa sei volte superiore di quella della Cina.

Zheng, 35 anni, ha dovuto cambiare giornalmente i prezzi nei suoi negozi poiché i rifornitori gli mandavano nuove liste, con aumenti in certi prodotti che andavano dal 5% mensile al 5-10% settimanale.

"Se non avessi cambiato i prezzi, forse sarei finito a vendere i beni ad un prezzo inferiore ai nuovi costi," dice Zheng. "In Argentina, bisogna farci l'abitudine ad una situazione simile."

Un decennio dopo essere andata in default per $95 miliardi di bond in seguito ad una recessione di quattro anni, l'Argentina sta di nuovo assistendo ad un incremento dell'inflazione, come riporta la rivista Bloomberg Markets del mese di Maggio. Mentre le cifre ufficiali piazzano il tasso all'11%, economisti indipendenti stimano che il numero possa essere circa il 2.5 superiore.

Ciò porrebbe l'Argentina in seconda posizione solo dopo il Venezuela di Hugo Chavez, dove il Fondo Monetario Internazionale ha stimato ad Ottobre che i prezzi sono saliti del 33.3% lo scorso anno, il tasso più alto nel mondo.



Spesa in Accelerazione

La spesa in accelerazione da part del governo del presidente Cristina Fernandez de Kirchner sta attizzando i prezzi, dicono gli economisti. Le spese su tutto, dalla costruzione di autostrade alle pensioni sono salite del 37% lo scorso anno dal 2009 -- ed un aumento del 39% solo nel Gennaio di quest'anno. La generosità della Fernandez è resa possibile in gran parte dal boom globale delle materie prime.

Prodotti alimentari come la soia, il frumento e la farina rappresentavano circa il 70% dei proventi delle esportazioni del paese nel 2010, secondo la Agritrend SA, una società di ricerca di Buenos Aires.

Le entrate fiscali sull'esportazione, guidate da un prelievo del 35% sui semi di soia, sono aumentate del 11.2% nel mese di Febbraio rispetto ai 3 miliardi di pesos dell'anno precedente ($740 milioni).

Anche i 40 milioni di persone dell'Argentina stanno spendendo -- come un modo per proteggersi dal rialzo dei prezzi. Stanno comprando di tutto, dai televisori a schermo piatto alle automobili e persino le proprietà. Le vendite di prodotti come elettrodomestici, giocattoli ed abbigliamento sono salite del 39.5% nel mese di Dicembre rispetto all'anno precedente, l'aumento maggiore in questo mese almeno sin dal 1998. Le vendite di auto hanno guadagnato il 43.3% in termini unitari, le più alte sin dal 2004.



Salari Aumentati

La domanda per forniture da costruzione come cemento, acciaio e vernice è aumentata del 20% a Dicembre. Il consumo ha aiutato a spingere la crescita economica al 9.2% lo scorso anno dallo 0.9% del 2009. Alimentando tale crescita -- ed inflazione -- il governo sostiene gli aumenti salariali annuali del 30% o più.

I prezzi -- ed i salari -- sono aumentati così rapidamente che nel Novembre e Dicembre, la Banca Centrale dell'Argentina non è stata in grado di stampare denaro a sufficienza per soddisfare la domanda di contante da parte dei consumatori e delle aziende che cercano di coprire gli stipendi ed i bonus di fine anno. Mentre gli Argentini sio mettevano in fila davanti ai bancomat vuoti, la banca centrale ha preso la decisione senza precedenti di assumere la zecca del Brasile affinché sfornasse 160 milioni di banconote da 100 pesos Argentini, in modo che ci sarebbe stato denaro sufficiente per le persone desiderose di acquistare regali ed iniziare le vacanze estive.

"Se abbiamo un tasso di inflazione tra il 25% e il 30%, ciò significa un'importante espansione monetaria," dice Roque Fernandez, ex-presidente della banca centrale e un ministro dell'economia negli anni '90. "Quello che non sapevamo fino a quel momento era che c'erano problemi con l'emissione di tale quantità di banconote."



La Risposta della Banca Centrale

Nella maggior parte dei paesi, scenari simili avrebbero scatenato paura nei cuori dei responsabili politici e dei consumatori. Non in Argentina.

L'inflazione è il risultato di aziende che non sono in grado di soddisfare la domanda dei consumatori e dovrebbe essere risolta aumentando i prestiti per la produzione, dice Mercedes Marco del Pont, l'attuale presidente della banca centrale. Ha in programma di aumentare l'offerta di moneta del 28% quest'anno per incitare la crescita economica, una mossa che secondo lei non influenza l'inflazione.

"Il problema dei prezzi non ha radici monetarie," dice la banchiera centrale cinquantunenne laureata a Yale. "Le condizioni che potrebbero far accelerare l'inflazione non esistono in Argentina."

Infatti, dice Marco del Pont, la crisi economica mondiale degli ultimi anni ha dimostrato come l'intervento della banca centrale può svolgere un ruolo nello sviluppo dell'economia del paese. "La banca ha l'obiettivo della stabilità non solo nel sistema finanziario, ma anche nell'economia reale", dice.



"Abbiamo Visto di Peggio"

Anche molti Argentini ordinari, che ricordano i giorni del 1989 quando il tasso di inflazione annuale era esploso al 5,000%, stanno seguendo oggi questi numeri passo dopo passo.

"Abbiamo visto di peggio," dice Roberto Carlos Acosta, tassista di 35 anni da Avellaneda nella periferia di Buenos Aires. "Ero un adolescente che lavorava in un negozio, quando abbiamo avuto l'iperinflazione," ha detto Acosta. "Mi ricordo che un giorno il proprietario venne da me e mi disse 'Non vendere nulla' perché non sapevamo quanto sarebbe costato sostituirlo."

Gran parte dell'economia del paese è orientata verso il far fronte all'inflazione. "Si tratta di adattamento," dice Marcos Katz, che gestisce un negozio di tessuti in General Guemes, una città di circa 30,000 persone nella provincia nord-occidentale di Salta. Dice che visita grandi città come Cordoba o Buenos Aires una volta al mese per guardare i prezzi nei negozi più grandi. "Cerco di tenermi al passo," dice. "Questo è quello che un sacco di piccole aziende fanno."



"Le Banche Sono una Cosa Terribile"

Katz, che è stato in attività sin dal 1974, dice che ha imparato a lavorare soprattutto senza le banche dopo aver vissuto periodi di iperinflazione. "Le banche sono una cosa terribile," dice. "Si ottiengono un sacco di finanziamenti dai propri fornitori."

Una conseguenza della lunga storia dell'inflazione Argentina è che la gente spesso paga in contanti anche per i grandi acquisti, come case o automobili.

"E' facile per gli Argentini ricordare come affrontare l'inflazione," dice Claudio Loser, un Argentino che ha guidato il Western Hemisphere Department al Fondo Monetario Internazionale durante la crisi del 2001. "Si difendono dall'inflazione investendo."

Eduardo Costantini lo sa bene. In quattro giorni durante Ottobre, il capo del gruppo immobiliare e di asset management Consultatio SA dice di aver venduto 900 lotti in un progetto di abitazioni fuori Buenos Aires per un totale di $75 milioni, senza nemmeno pubblicità.

Costantini, 64 anni, dice che gli Argentini sono diffidenti nei confronti dell'investimento estero a causa delle turbolenze finanziarie e sono insoddisfatti degli interessi quasi a zero sui depositi bancari in dollari -- per non parlare dei tassi di interesse reali negativi sui depositi in pesos.



Nessun Luogo in cui Investire

"Se comprate dollari, siete morti," dice Costantini, collezionista d'arte che ha fondato il Museo d'Arte Latino Americana a Buenos Aires. "Se si investe all'estero, non si sa cosa accadrà a causa dell'incertezza, e se si depositano i soldi nelle banche, non pagano nulla."

Il boom delle costruzioni ha alimentato il business per Ceramica Fanelli SA, una compagnia di mattoni a Buenos Aires che sta investendo €5 milioni ($7 milioni) per attrezzature dall'Italia il che aumenterà la propria produzione del 50% quest'anno.

"La produzione è stata superata dalla domanda," dice Claudio Moretto, direttore commerciale della compegnia. "E' incredibile la pressione che sto ricevendo dai nostri clienti."

C'è un lato oscuro nell'aumento della domanda, dice Moretto, 50 anni, che stima che l'inflazione sia stata del 25% lo scorso anno e prevede un salto simile nel 2011. "Non possiamo trasmettere ai clienti tutti i nostri aumenti nei costi, quindi i margini della compagnia stanno diminuendo," dice.



Il Lato Oscure dell'Inflazione

L'inflazione dilagante minaccia la salute economica a lungo termine dell'intero paese, dice Roberto Lavagna, che come ministro dell'economia del defunto marito e predecessore di Fernandez, Nestor Kirchner, ha condotto la ristrutturazione del debito del paese nel 2005.

L'Argentina, la terza economia più grande dell'America Latina, è scesa al sesto posto nella regione come destinazione diretta degli investimenti esteri. Ha attratto solo $2.2 miliardi nei primi sei mesi del 2010, secondo le Nazioni Unite, rispetto ai $17.1 miliardi del Brasile, i $12.2 miliardi del Messico e gli $8 miliardi del Cile.

"C'è una combinazione di una situazione soddisfacente per quanto riguarda la crescita economica da un lato, e dall'altro squilibri che si riflettono in un'alta inflazione ed un tasso di investimento che è inferiore a quanto il paese ha bisogno," dice Lavagna.



I Costi per gli Importatori

L'inflazione in Argentina sta mettendo un sacco di pressione sui costi per gli importatori, dice Hector Trevino, capo del settore finanziario della Coca-Cola Femsa SAB, la più grande ditta imbottigliatrice dell'America Latina. L'azienda residente a Città del Messico ha visto i suoi costi di trasporto Argentino saltare a quasi il 70% e gli stipendi sono saliti del 35% nel quarto trimestre del 2010, ha detto in una conferenza a Febbraio.

"L'impatto che abbiamo avuto nei costi di trasporto in Argentina e negli stipendi è enorme," ha detto.

Le aziende con dipendenti in Argentina, che aumentano i salari per tenere il passo con l'inflazione, percepiscono una pressione simile.

"Nel 2010, i costi del personale in Argentina sono saliti di circa il 20% in termini di dollari," ha detto in una conferenza stampa il 24 Febbraio a Madrid Antonio Brufau, amministratore delegato di Repsol YPF SA (REP), la compagnia petrolifera più importante in Spagna. Nel 2011, questi costi aumenteranno fino al 25% in pesos, ha aggiunto.

Dopo le elezioni presidenziali in Ottobre, il prossimo governo dovrà prendere decisioni difficili in merito al restringimento della politica fiscale e monetaria, dice Lavagna, che ora dirige l'Institute of Applied Economics and Society a Buenos Aires.



La Fernandez Cavalca i Sondaggi

La Fernandez non ha ancora annunciato se si proporrà per un secondo mandato. Secondo un sondaggio dal 24 Gennaio al 3 Febbraio condotto dalla Management & Fit, la Fernandez vincerebbe del 27.1% dei voti in un'elezione presidenziale, seguita dal leader dell'opposizione Ricardo Alfonsin, figlio dell'ex-presidente Raul Alfonsin, con il 6.6%, e dal Sindaco di Buenos Aires Mauricio Macri, al 5.4%. Circa il 38% degli intervistati era indeciso o non ha detto chi avrebbero votato.

La Fernandez, 58 anni, deve il suo vantaggio nei sondaggi in parte alla continuazione delle politiche di suo marito, uscito di scena nel Dicembre 2007. Ha mantenuto il peso debole, così le merci locali sono rimaste a buon mercato e le esportazioni sono state forti. Sin dal momento in cui la Fernandez è entrata in carica, il peso Argentino è caduto del 22.4%, la maggiore tra le principali valute Latino Americane. Come risultato, la disoccupazione è caduta al 7.3% nel quarto trimestre del 2010 dal 22% nel 2002.

Kirchner, morto di un attacco di cuore nel mese di Ottobre, ha creato o mantenuto un tetto dei prezzi su tutto, dall'elettricità alla carne bovina. E ha minacciato gli investitori stranieri che uscivano dal seminato, chiedendo un boicottaggio nazionale della Royal Dutch Shell Plc (RDSA) per aver aumentato i prezzi del carburante nel 2005. La compagnia ha fatto marcia indietro.




Indici Sottostimati

E quando l'inflazione è rimasta bloccata a circa il 10% nel 2006, Kirchner sostituì i funzionari responsabili del CPI. Da allora, dice Lavagna, il governo ha sottostimato l'indice dei prezzi al consumo. L'ufficio della presidenza dice che i prezzi sono aumentati solo del 10.9% lo scorso anno, mentre la società di ricerca Ecolatina, fondata da Lavagna 30 anni fà, dice che il guadagno è stato del 26.6%.

"Quello che abbiamo detto quando abbiamo assunto l'incarico è che il consumo garantisce un mercato attivo, garantisce la crescita", dice Lavagna, che ha lasciato il governo di Kirchner nel 2005 e ha concluso al terzo posto la gara delle presidenziali del 2007. "Ma il consumo che genera investimenti è una cosa. Il consumo che genera inflazione è un'altra."

La Fernandez lo scorso anno ha invitato il Fondo Monetario Internazionale a visitare il paese per contribuire a creare un'indice d'inflazione nazionale. In Febbraio, il suo governo ha iniziato minacciando gli istituti indipendenti di ricerca, tra cui Ecolatina, con multe fino a $125,000 affinché non rivelasse come calcolano le loro stime del CPI. Jorge Todesca, ex-ministro dell'economia ora a capo di Finsoport, una delle ditte che ha ricevuto delle lettere da parte del governo, ha detto che questa mossa si rivolge ad intimidire i ricercatori e le aziende che parlano.



Prezzi Raddoppiati per le Carni Bovine

Minacce o no, ci sono crescenti segnali che la Fernandez non sarà in grado di utilizzare mezzi artificiali per tenere a bada l'inflazione. Il prezzo della carne bovina -- cosa sacra per un paese che è il secondo consumatore di carne pro capite al mondo -- è più che raddoppiato in quanto gli allevatori non potevano soddisfare la domanda a causa di allevamenti impoveriti. L'eccedenza nella bilancia commerciale dell'Argentina si è ridotta a $241 milioni a Dicembre da $1.2 miliardi dell'anno precedente. Nonostante la crescita dell'economia, si sta fallendo nell'attirare investimenti a sufficienza per soddisfare la domanda dei consumatori, dice Loser.

"Il primo effetto di un processo inflazionistico è l'euforia, perché la gente esce e spende," dice Lavagna. "Ma poi arrivano i costi di questa politica."

Una volta che la festa finisce, il prossimo presidente dell'Argentina dovrà fare i conti con tali costi.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/