mercoledì 30 novembre 2011

La Fase di Liquidazione ed i Margini di Profitto #1

«Scopriremmo, infatti, che le definizioni di Keynes di "risparmio" ed "investimento" che li rendono necessariamente uguali (anzi "aspetti meramente diversi della stessa cosa," p.74) hanno creato grande imbarazzo ai Keynesiani e confusioni e contraddizioni al maestro. L'imbarazzo per i Keynesiani proviene non solo dal fatto che Keynes definì in questo modo il "risparmio" e "l'investimento" da renderli spesso ineguali (o occasionalmente uguali per una sorta di incidente felice), ma dal fatto che le definizioni nella General Theory creano molte difficoltà nelle successive dottrine keynesiane. In effetti, Keynes abbandona queste definizioni, senza preavviso al lettore, nella seconda parte della General Theory, e torna al suo vecchi concetti.» -- Henry Hazlitt, Failure of the "New Economics": An Analysis of the Keynesian Fallacies

[Prima Parte di Due]

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di Paul Cwik & Harry Veryser


[Cobden Centre, 2011]


La teoria Austriaca del ciclo economico ha guadagnato attenzioni dalla stampa popolare e dai circoli politici sin dall'inizio della più recente recessione (Dicembre 2007). Mentre il boom artificiale ed i successivi investimenti improduttivi combaciano con la teoria Austriaca, la domanda nella stampa popolare è: "Quale politica economica è la migliore per alleviare la recessione?"

Comunque, per un economista Austriaco, questa domanda è malposta. Dovrebbe essere: "Quale politica economica converte in modo migliore gli investimenti improduttivi in strutture di capitale economicamente percorribili?" perché solo attraverso una struttura di produzione rigenerata può avere luogo una crescita sana.

Questo documento analizza, dal punto di vista delle aziende, le varie politiche che sono attualmente in uso (Keynesianismo moderno) per curare la recessione e contrasta queste politiche con quelle che raccomanderebbe un'analisi Austriaca del ciclo economico.



Introduzione

Il collasso del mercato immobiliare ha rinnovato l'interesse nelle teorie del ciclo economico. La teoria Austriaca del ciclo economico ha iniziato a guadagnare attenzione dalla stampa popolare e dai circoli politici, perché la teorizzazione Austriaca del boom combacia meglio con la bolla immobiliare rispetto alle teorie mainstream.

Sfortunatamente, il punto centrale degli Austriaci è stato quello di spiegare come il boom inevitabilmente conduca al bust, tralasciando le fasi di liquidazione e di ripresa. In sostanza, la teoria Austriaca del ciclo economico (ABCT) non ha sottolineato gli effetti della recessione come hanno fatto anche le altre grandi scuole. Questo documento tenta di riempire questi vuoti ed esplora le meccaniche di come l'economia converte gli investimenti imoproduttivi in strutture di capitale utilizzabili.

Secondo l'ABCT standard, il boom è generato da un'espansione del credito, abbassando i tassi d'interesse e deformando la struttura dei tassi d'interesse. Gli imprenditori sono fuorviati da questi falsi segnali ed iniziano ad imbastire investimenti improduttivi. Questo boom è artificiale e non può essere sostenuto. Il punto di inversione superiore del ciclo economico arriva come una crisi. Si manifesta come una crisi del credito, una crisi delle risorse reali, o una combinazione delle due.

Una crisi del credito appare se la banca centrale rallenta il tasso di espansione monetaria o lo ferma del tutto. Una crisi delle risorse reali appare se si manifesta una mancanza di beni capitali.

Il risultato del boom artificiale e l'aumento di capitale investito improduttivamente è un disallineamento nella struttura di capitale dell'economia. Per rettificare questa situazione, il capitale investito improduttivamente deve essere riallocato. La riallocazione del capitale verso una struttura di produzione sensata è la fase di liquidazione del ciclo economico (conosciuta anche come "la recessione"). La fase di liquidazione è necessaria per riallineare la struttura di capitale.

Gli Austriaci hanno a lungo detto che la soluzione alla recessione è di "liquidare il capitale investito improduttivamente", ma cosa significa ciò in realtà? Come lo fanno le compagnie? Come considerano questa situazione dal loro punto di vista?

All'estremo, è attraverso la bancarotta di alcune attività che il capitale può passare da usi inefficienti ad usi più efficienti. Tuttavia, non tutte le attività falliscono nella fase di liquidazione. Le aziende che stanno accumulando perdite, ma non sono ancora pronte per chiudere i battenti, come convertono il loro capitale investito improduttivamente in strutture redditizie? E' entro questo contesto che ora ci rivolgeremo al punto di vista di un'impresa o azienda.



Chiudere in Pareggio

Quando un'attività è in crisi — cioè, perde costantemente denaro — il suo scopo dovrebbe essere quello di fare qualsiasi cosa in suo potere per raggiungere un punto di pareggio, dove le perdite smettono di accumularsi. L'idea è che una volta che un'attività è in pareggio, può pianificare per la redditività. Esaminiamo i due approcci per raggiungere il pareggio.

Considerate un'attività con la seguente situazione: produce un prodotto in cui l'utile lordo è del 25%. Ciò vuol dire che la manodopera ed il materiale costituiscono il 75% del costo di produzione (i suoi costi variabili). Fintanto che un'attività è capace di soddisfare i suoi costi variabili, rimarrà in gioco.

Se l'azienda non è capace di coprire i suoi costi variabili, attraverserà il punto di chiusura. Se il restante 25% copre solo i suoi costi fissi (i suoi costi di gestione), raggiungerà il pareggio. Quando un'attività accumula entrate al di sopra dei costi fissi e variabili, inizia a fare profitti. Questo passaggio è il punto di pareggio.

Supponiamo che l'impresa descritta sopra abbia costi fissi (i costi di gestione) per $10,000 al mese. Ciò vuol dire che l'azienda deve vendere per $40,000 al mese solo per andare in pareggio ($30,000 pagano la manodopera ed il materiale e $10,000 i costi di gestione).

Ora, supponiamo che l'economia sia in flessione e che l'azienda sta perdendo denaro, diciamo, $2,000 al mese. L'impresa è capace di coprire i suoi costi variabili, ma non sta raggiungendo il pareggio. Questo problema può essere inquadrato o come vendite insufficienti o come costi di gestione eccessivi (costi fissi).

Se l'impresa potesse magicamente espandere le vendite, dovrebbe dapprima creare più prodotto, il che vuol dire che i costi variabili aumenterebbero. In questo esempio, l'utile lordo è del 25%; e supponiamo che l'utile ed i costi siano regolari. Pertanto, in modo da coprire il deficit da $2,000, l'azienda dovrebbe incrementare le vendite per $8,000, di cui $6,000 (75%) andranno nei costi variabili.

Tuttavia, per ogni dollaro con cui l'impresa può abbassare i suoi costi di gestione (ed altri costi fissi), non avrà più bisogno di generare $4 nelle vendite. Tagliando i costi, può operare proficuamente con vendite minori.[1]

Un'azienda in guai finanziari ha un maggiore moltiplicatore nei tagli dei costi rispetto agli incrementi delle vendite. In questo caso, il moltiplicatore è di quattro volte. Questo punto ovvio è resistito non perché c'è un trucco magico o di contabilità. La ragione del perché ha resistito è che nessuna persona vuole avere il proprio salario tagliato e nessun diparitmento vuole avere il proprio budget tagliato. E' molto difficile guardare una persona negli occhi e dirgli che ci saranno tagli. Ciononostante, è una necessità. Ecco perché, durante una flessione economica, le compagnie più prudenti si rivolgono immediatamente a tagli dei costi.

Misure di tagli ai costi aiutano a trasformare gli investimenti improduttivi in strutture appropriate di capiale.



Nel Contesto del Ciclo Economico

Supponiamo che un'azienda si è espansa eccessivamente quando, durante il boom, ha acquistato nuovi beni strumentali. C'è stato un calcolo errato da parte dell'azienda perché stava leggendo falsi segnali dal mercato — il tasso d'interesse era troppo basso. Con la flessione dell'economia, l'azienda è stretta da entrambe le parti: le entrate diminuiscono ed prezzi di input (prezzi di acquisto dei fattori produttivi: manodopera, energia, ecc.; prezzi di output = prezzi di vendita dei prodotti, ndt) aumentano. L'azienda deve fare qualcosa per rimanere in gioco.

Come aiutano le misure di tagli ai costi a trasformare il capitale investito improduttivamente? Aggiungiamo alcuni dettagli al nostro esempio per chiarificare il nostro punto. Supponiamo che all'inizio del ciclo economico il tasso d'interesse è del 6% e la nostra azienda stia esaminando un progetto che ha un discounted cash flow di $104,000. Se i costi d'anticipo sono di $100,000, il tasso interno di rendimento è del 4%. L'azienda non accetterà questo progetto adesso come adesso.

Ora, supponiamo che la banca centrale espanda l'offerta di denaro ed il tasso d'interesse del mercato cade al 1%.[2] A questo tasso, ha senso per l'azienda prendere in prestito il denaro ed iniziare il progetto. Durante la fase di boom, il capitale liquido è convertito in beni capitali e strumentali. Mentre il nuovo denaro trova la sua strada nell'economia, i prezzi ed i tassi d'interesse iniziano a salire.

Quando i tassi d'interesse ritornano al livello originale del 6%, l'azienda inizierà a soffrire di una perdita economico del 2% (o di $2,000 al mese). In modo che l'azienda compensi questa differenza, o deve aumentare le entrate di $8,000 come descritto su, oppure deve tagliare $2,000 dei suoi costi di gestione.

Finora, abbiamo supposto che il livello delle vendite e dei costi fosse rimasto costante. Possiamo considerare tutto ciò come lo scenario migliore. In una recessione, il volume delle vendite tende a calare ed i prezzi di input tendono a salire. Così, i margini di profitto sono ulteriormente ristretti, restringendo l'utile lordo. Se, per esempio, l'utile lordo cala del 10%, allora ci vorrà un incremento nelle entrete lorde di $10,000 per coprire il deficit di $2,000.



La Politica del Governo per Aiutare le Aziende a Chiudere in Pareggio

Il bisogno dei politici di fare qualcosa cresce all'aumentare della severità della recessione. Riguardo all'attività fiscale, ci sono due approcci diffusi per alleviare la recessione: aumento della spesa o tagli alle aliquote fiscali. I Keynesiani hanno sostenuto che la migliore politica per curare una recessione è quella di stimolare la domanda aggregata. Con un'iniezione della spesa negli individui, nelle famiglie e nelle aziende, le entrate saliranno e queste aziende compenseranno i deficit.

Supponiamo che il governo scelga di stimolare la domanda aggregata aumentando direttamente l'acquisto dei beni di consumo. Se l'azienda sta sperimentando un deficit da $2,000, la quantità necessaria in vendite aggiuntive è $,8000, presumendo costi costanti ed un utile lordo del 25%. In altre parole, per trasformare l'investimento improduttivo in una struttura di capitale sostenibile ci vorranno $8,000 di acquisti diretti o sostenuti dal governo. Dall'altro lato, per ottenere lo stesso effetto, ci vorrà una riduzione delle tasse sull'azienda per $2,000. Così, in generale, l'approccio di tagli alle tasse fornirà un fardello minore sul governo (contribuente).


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


Link alla Seconda Parte


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Note

[1] Molti imprenditori sostengono che sia sbagliato tagliare prima i dollari della pubblicità quando una compagnia è nei guai. Tuttavia, quello che stiamo dimostrando è che ha perfettamente senso. Con costi di gestione minori, si avrà bisogno di minori vendite per raggiungere il pareggio.

[2] Mentre nel mercato ci sono differenti tassi d'interesse, stiamo presumendo che il tasso rilevante per la nostra azienda, in termini di rischio e continuità, cali al 1%.

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martedì 29 novembre 2011

BCE al Salvataggio?

Anche l'Economist si pone la domanda: E' Veramente la Fine dell'Euro? Si legge dall'articolo: "Il rischio che la valuta si disintegri entro poche settimane è pericolosamente alto." Poi seguono una serie di dati che non fanno altro che confermare il grave momento di recessione che sta attraversando l'Europa. Lo scoprono adesseo, non mesi fa quando il PIL della Germania era allo 0.3%; un dato che segnala nettamente una recessione incombente. A questo punto la baracca decadente può essere tenuta in piedi ancora per un pò dall'intervento della BCE, che stamperà denaro, farà felici i fessi che ci credono e regalerà al resto una bella inflazione nei prezzi fuori controllo. Ma quello che, infine, non può essere evitato è una cosa sola: il crack totale.
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di Bill Bonner


Mercati chiusi oggi. E tra un pò anche da noi. Abbiamo faccende di famiglia da sbrigare.

Come previsto, l'Europa sta cadendo a pezzi. I rendimenti sono in aumento. Il debito della Francia non appare più sicuro. E la Germania non può vendere le sue obbligazioni.

Il fallimento dell'asta dei bond Tedeschi all'inizio di questa settimana è stato l'ultimo shock. Ci dice che la pressione sulla BCE si sta intensificando.

Una cosa è quando la Grecia e anche l'Italia non possono finanziare il loro debito. Chi se ne frega? Ma deve sicuramente attirare l'attenzione di banchieri Tedeschi quando nessuno vuole comprare le loro obbligazioni.

E perché dovrebbero? Indovinate qual'è stata la crescita dell'Eurozona negli ultimi 4 anni? Zero. Meno di zero. L'economia dell'area dell'euro si è ridotta. Non tanto quanto il declino del 5% del Giappone, ma è ancora bassa.

E indovinate quale banca è più sicura – una solida banca Tedesca come la Deutsche Bank ... o una delle migliori di Wall Street, la J.P. Morgan? Grant’s Interest Rate Observer le mette a confronto e scopre che la banca Americana è avanti per quasi ogni misura. In termini di leva – misurata secondo il rapporto tra il totale degli asset delle banche rispetto al valore delle azioni – la Deutsche Bank ne ha più di 3 volte tanto.

E la Germania ha un debito quasi quanto, rispetto al PIL, quello degli Stati Uniti. Praticamente tutto il resto d'Europa ne ha ancora di più. Non c'è da meravigliarsi se le persone non vogliono comprare le loro obbligazioni.

Quindi, cosa succede? La nostra ipotesi è la BCE – la risposta Europea alla FED. Ecco il report dal Daily Crux:


Lo statalista miliardario George Soros invoca una massiccia inflazione dell'euro

La Banca Centrale Europea (BCE) deve pompare liquidità nel sistema finanziario dei 17 paesi membri per fermare la speculazione sulle obbligazioni e mettere un tetto massimo ai rendimenti al fine di evitare una rottura della zona valutaria, dice il finanziere miliardario George Soros.

Soros scrive in una colonna del Financial Times che i politici dovrebbero utilizzare il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria – un fondo di assistenza d'emergenza – per aiutare l'inondazione da parte della Banca Centrale Europea di liquidità nell'economia, una mossa che avrebbe lo scopo di frenare i rendimenti alle stelle sulle obbligazioni sovrane emesse dalle nazioni Europee meriodionali debitrici. "I mercati finanziari stanno testando la BCE e vogliono scoprire che cosa è permesso fare. E' indispensabile che la BCE non fallisca questo test."


La BCE fallirà nell'inflazionare? La sua stampante rimarrà in silenzio ... sarà sorda alle grida di tanti banchieri e ricchi? Come potrebbe essere così crudele? Così insensibile?

No, caro lettore, la cosa più probabile è che la BCE arriverà al salvataggio – che sia legale o meno ... che sia ragionevole o meno – ed acquisterà i bond. Questa è la classica "monetizzazione" del debito ... perché la BCE dovrebbe creare il denaro dal nulla per farlo. Non è autorizzata a falsificare il denaro in questo modo, ma sapete cosa succede in caso di crisi. La gente dimentica le regole.

Proprio così ... Sapete come ogni volta ricopriamo la parte del perdente ... rappresentiamo sempre la causa persa ... e lottiamo per rimanere duri a morire. Beh, stiamo cominciando a sentire la responsabilità di difendere "l'1%" ... quelle povere persone che, non per colpa loro, si sono arricchite!


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


Quale Miccia E' Più Corta?

9 Dicembre, tutti gli occhi sono puntati su questa data. I cambiamenti previsti per questa data, sono stati fermamente promessi dai leader delle tre maggiori economie d'Europa. Ovvero: tempo di governo totalitario. I tempi a quanto pare devono essere affrettati data la situazione critica che si sta venendo a formare anche in Germania. Infatti, se non entra in gioco la BCE l'euro forse nenache ci arriverà a questa data (ed è per questo che tutt'intorno c'è un latrato affinché zio Mario "si faccia avanti"). Ma dopo la corsa dei decerebrati che si affrettavano a comprare qualche Btp (solo per vederlo perdere di valore man mano che si allontanavano dalla cassa e si dirigevano verso l'uscita della banca), la maggior parte delle persone dimostra di essere pronta per la dittatura e non per la libertà.
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di Peter Schiff


Con le bombe fiscali ad orologeria che ticchettano sia in Europa che negli Stati Uniti, la domanda pertinente ora sembra essere chi esploderà per primo. Per gran parte dei mesi scorsi sembrava che l'Europa stesse per esplodere. Ma il rifiuto di Angela Merkel a sostenere un piano di salvataggio in stile Federal Reserve degli stati Europei e la sua recente dichiarazione per cui non ha un bazooka fiscale in stile Hank Paulson nella borsetta, ha abbassato la tensione. Al contrario, negli Stati Uniti la totale incapacità della Super Commissione del Congresso di avere un briciolo di successo per affrontare i problemi fiscali degli Stati Uniti ha suscitato una rinnovata presa di coscienza secondo cui la miccia dell'America è pericolosamente breve.

La cancelliera Merkel ha posto enfasi sul fatto che ai politici Europei non sarà data una stampella monetaria simile a quella su cui si sono appoggiati i loro omologhi Americani. Il suo obiettivo lodevole, molto deriso sulle pagine del New York Times, è quello di disinnescare la bomba del debito dell'Europa con riforme di bilancio sostanziali, e di conseguenza rendere l'euro "la moneta più forte del mondo." Molto è stato detto sull'asta di oggi dei titoli di Stato Tedeschi andata male, con alcuni che dicono che la mancanza di domanda (che ha spinto i rendimenti dei titoli Tedeschi a 10 anni oltre il 2% – poco indicativo di una vendita da panico) è la prova di un disagio degli investitori per le politiche economiche della Merkel. Direi il contrario: che molti investitori pensano ancora che la Merkel stia bluffando e che alla fine la Germania stamperà e stimolerà come tutti gli altri. E' probabile che per questa ragione i rendimenti sul debito Tedesco siano moderatamente aumentati.

Al contrario, l'intenzione degli Stati Uniti è chiaramente quella di ignorare i suoi problemi di debito. Con il fallimento della Super Commissione di questa settimana, ciò è diventato ufficiale. I politici Americani in nessun caso affronteranno volentieri la nostra crisi del debito. Mentre l'esito della Super Commissione non avrebbe dovuto essere una grande sorpresa, la totale disfunzione mostrata dovrebbe servire come un campanello d'allarme per chi si aggrappa ad illusioni disperate. Alcuni membri del Congresso, come John McCain, hanno anche preso posizione contro i $1.2 biliardi in tagli automatici alla spesa che entrerebbero in vigore nel Gennaio 2013. Aspettatevi che più politici di entrambe le parti seguano vigliaccamente tale l'esempio.

Nel prossimo decennio, il governo Statunitense prevede di spendere più di $40 biliardi. Anche se i $1.2 biliardi in tagli automatici fossero messi in atto, l'importo ammonta a solo il 3% della spesa prevista. In un colpo da maestro di contabilità ipocrita, $216 miliardi di questi "tagli" proposti rappresentano soltanto le riduzioni previste nei pagamenti dell'interesse che deriverebbero da tagli attuali per $984 miliardi. Questi tagli non intaccheranno più di tanto i nostri deficit previsti, poiché se la storia può essere una guida, probabilmente aumenteranno di molto non appena la realtà economica si dimostrerà molto più triste di quanto avessero predetto gli statistici del governo. Infine, i tagli non sono dei tagli nel senso ordinario della parola, dove la spesa viene effettivamente ridotta. Sono tagli di fondo, il che significa che la spesa aumenterà solamente poco di meno di quanto era stato precedentemente pianificato.

Nel frattempo, la prospettiva di default sovrani in Europa sta guidando la domanda per un rifugio "sicuro" verso il dollaro. Quindi in contrasto con il gioco politico dello scaricabarile, i problemi dell'Europa stanno in realtà fornendo uno stimolo temporaneo alla bolla economica Americana. Tuttavia, una risoluzione della crisi in Europa potrebbe invertire tali flussi. E data la disciplina proveniente da Berlino, una soluzione reale non è fuori questione. Se laggiù la fiducia potrà essere ripristinata, ogni volo episodico verso la sicurezza potrebbe concentrarsi sempre di meno sul dollaro Statunitense. Al contrario, gli investitori avversi al rischio potrbbero preferire un paniere di valute ad alto rendimento e più fiscalmente sostenibili.

L'ironia è che l'Europa viene effettivamente criticata per la sua incapacità di seguire l'esempio degli Stati Uniti. Questa critica fuori luogo si basa sulla convinzione che il nostro approccio abbia funzionato. E invece no. Certo, può avere ritardato l'esplosione, ma ne ha assicuarato una molto più grande in futuro. Nel frattempo, molti hanno scambiato il ritardo per il successo.

Tuttavia, se la linea dura della Merkel funzionerà, e ne seguiranno tagli reali, l'Europa sarà lodata per aver illuminato un percorso diverso. Di conseguenza l'euro potrebbe riprendersi e il dollaro affondare. I prezzi delle materie prime saliranno, esercitando una pressione rialzista sempre maggiore sui prezzi al consumo e sui tassi di interesse negli Stati Uniti.

Ogni inversione significativa dell'attuale trend in salita del dollaro potrebbe fornire un catalizzatore a lungo atteso dalle nazioni con grandi riserve in dollari per diversificarle in altre valute. La mia ipotesi è che la Merkel capirà il grande vantaggio di cui gli Stati Uniti hanno goduto come emettitori della valuta di riserva mondiale. Credo che brami questo premio per l'Europa, e basandosi sulla sua strategia, è chiaramente alla sua portata.

C'è un vecchio detto che dice che spesso non si apprezza ciò che si ha fino a che non lo si perde. La stupidità quasi criminale ora in mostra a Washington può finalmente costringere il resto del mondo a cancellare i nostri privilegi di valuta di riserva. Tale perdita potrà dare agli Americani un profondo apprezzamento di questo concetto.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


lunedì 28 novembre 2011

Un Papa Tedesco, un Banchiere Centrale Italiano

Dopo la "triste" giornata di mercoledì scorso, dove la Bundesbank ha dovuto farsi avanti e comprare il 39% dei titoli di stato Tedeschi offerti sul mercato, Sarkozy sta pressando la Merkel affinché si convinca che è ora di avviare la stampante della BCE. Leggiamo: "Il presidente Sarkozy ha incontrato la Merkel e Mario Monti a Strasburgo, alla ricerca di un compromesso tra il cambiamento del trattato UE per imporre una maggiore disciplina fiscale negli stati della zona euro, come richiesto dalla Germania, e più aiuto d'emergenza da parte della banca centrale." Capito? Espansione della pianificazione centrale e fiscale, interventismo di ogni sorta, limitazioni sempre crescenti delle libertà individuali e, dulcis in fundo, stampa di denaro a tavoletta. Ne usciremo con le ossa rotte.
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di Gary North


Conclusione: l'Europa è in cattive condizioni. Questa è la valutazione dell'hedge fund manager Kyle Bass. L'ha dichiarato in un'intervista travolgente sulla rete televisiva della BBC. Ecco il segmento.

Ha esposto due punti cruciali – punti che gli investitori del mercato azionario stanno ignorando. In primo luogo, nel corso degli ultimi nove anni, c'è stato un aumento del debito mondiale da $80 biliardi a $210 biliardi. Questi numeri sono da capogiro. Il debito globale negli ultimi nove anni è cresciuto del 12% l'anno, mentre il PIL è cresciuto del 4% l'anno.

Mentre non ha verbalmente precisato la conclusione a causa dell'intervistatrice, è questa: quando il credito cresce del 12% l'anno al fine di produrre il 4% di crescita del PIL, ad un certo punto non ci sarà PIL sufficiente per fornire credito sufficiente.

E' tempo di citare ancora una volta l'economista Herb Stein: "Quando qualcosa non può andare avanti all'infinito, tende a fermarsi."

Bass ha esposto una grande metafora: i PIIGS sono "salpati verso una zona di insolvenza".

In secondo luogo, ha spiegato, sarà ridotto il valore contabile dei debiti sovrani in Europa. Non c'è altra soluzione.

La testa vuota dell'intervistatrice con l'accento di Oxbridge sembrava che fosse la parodia di Emma Thompson. L'ha sfidato. Che dire della Germania? E' possibile che la Germania possa continuare a finanziare i "vicini del sud" Europa? La Germania ha "capacità di guadagno". (Nota: ciò significa i contribuenti Tedeschi.)

Bass ha risposto immediatamente. In primo luogo, la corte Tedesca ha stabilito che qualsiasi ulteriore salvataggio sarà incostituzionale. In secondo luogo, la Grecia – e, di conseguenza, gli altri "vicini del sud" – spenderà ogni euro che prende in prestito dalla Germania e poi tornerà per chiederne di più, minacciando un default se le sue richieste non saranno soddisfatte – esattamente ciò che ha fatto finora. Ciò andrà avanti fino a quando non avrà ha luogo la riduzione contabile, il che accadrà.

Ci sono due modi per guardare a questo: il modo di Bass e il modo Bass-ackwards. La testa vuota ha scelto il secondo.

Egli trae conclusioni dai numeri. Nessuno nei media mainstream e nel mondo dei fondi di investimento tradizionali pare disposto a farlo. Parlano ed investono come se il processo potesse andare avanti all'infinito. I debiti non devono essere rimborsati. Questo è un antico dogma Keynesiano che risale al New Deal. "Lo dobbiamo a noi stessi." Al contrario, debitori specifici sono in debito con creditori specifici. Ad un certo punto, i debitori specifici andranno in default, lasciando i creditori specifici con perdite enormi.

Quanto enormi?



TRE BILIARDI DI EURO

Charles Hugh Smith è d'accordo con Bass. Dice che ci dovrà essere una riduzione del valore contabile. Con il termine "riduzione del valore contabile" egli intende liquidazione. Stima le perdite a tre biliardi di euro.

Qualcuno dovrà incassare il colpo. Il grande dibattito politico in Europa oggi è chi incasserà questo colpo, e quanto presto.

Saranno gli investitori. Ma, per prevenire il giorno della resa dei conti, i politici Europei pretendono che i governi del Nord Europa superficialmente solventi possano utilizzare le linee di credito dei contribuenti al fine di prendere in prestito più soldi dai creditori per darli ai governi PIIGS, in modo che possano continuare a
  1. ritardare le reali misure di austerità, cioè, licenziamenti in massa di dipendenti pubblici e tagli massicci nei pagamenti del welfare, e
  2. effettuare i pagamenti per quelo che devono agli investitori, principalmente le banche.

Smith ammette che tre biliardi di euro sia una supposizione. Nessuno sa quanto debito sovrano tossico ci sia, quindi dobbiamo cominciare da qualche parte. In un mondo con $210 biliardi di debito, la sua stima mi sembra ragionevole.

Cominciamo con il fatto che sta alla base di tutto questo debito inesigibile, rischioso, tossico: ogni euro di debito è l'asset di qualcun altro. Cancellate il debito e spazzerete via l'asset. Ecco perché non c'è la volontà di accettare la riduzione del valore contabile del debito: da qualche parte qualcuno deve sciropparsi 3 biliardi di euro di perdite.

Questa è la fonte dell'attuale politica Europea del "calcio al barattolo", o più precisamente, "calciare il barattolo con comunicati stampa e vertici." Se ci fosse stata una soluzione senza dolore, sarebbe stata implementata tempo fa.

Non c'è modo che l'Europa possa "crescere in modo da liberarsi da questo debito". Quanta "crescita" dell'eurozona è stata il risultato di investimenti improduttivi rampanti e prestiti rischiosi? Più di qualcuno osa ammetterlo. Non ci vorrà l'austerità per mandare in crash l'economia dell'eurolandia, tutti quello che ci vorrà è chiudere il rubinetto del debito.

L'Europa sta affrontando il problema che Bass ha sollevato quando ha parlato della crescita del credito al 12% l'anno e della crescita del PIL al 4% l'anno. Non c'è modo di crescere per uscire da questa situazione. Questo non è solo il problema dell'Europa. E' il problema del mondo. Ma l'Europa lo sta affrontando adesso perché i debiti sono in scadenza oggi. Devono essere rinegoziati. I creditori devono accettare di ri-prestare. Ma perché dovrebbero?

L'Establishment mondiale del capitalismo clientelare parla di "ristrutturazione" del debito. Cosa significa? Smith non risparmia i pugni.

"Ristrutturazione" è una parola in codice per svalutazioni. Lasciatemi "ristrutturare" il bond che avete acquistato ad un rendimento cedolare del 4%. Ora otterrete il 2%, e vi piacerà. Bang, il vostro bond ha appena perso metà del suo valore di mercato, ma ognuno lo mantiene sui libri al valore pieno. Piacevole, fino a quando non lo dovete vendere per fare cassa. Oops, l'euro è calato di valore, così ha perso più del 50%.

Le banche mantengono gli asset sui libri al loro valore nominale. Il valore sottostante è calato di almeno il 50% per i bond Greci. Gli esperti Europei lo ammettono. (Perché il debito abbia un valore così elevato è al di là della mia comprensione.) I Greci andranno in default, in un modo o nell'altro.

Chi incasserà il colpo? Smith scrive: "C'è una verità fondamentale che tutti devono capire: ciò che il governo spende, la gente lo pagherà prima o poi, sia in tasse o in inflazione o per il default dei loro debiti." Questa è la realtà. Ma non è abbastanza precisa.



CHI E' LA GENTE?

Se ci sarà iperinflazione – inflazione nei prezzi superiore al 30% l'anno per un decennio o più – la gente che incasserà il colpo sarà quasi tutta all'interno della zona valutaria dell'euro. Ci saranno difficoltà quasi universali.

D'altra parte, se l'inflazione monetaria cessa per più di pochi mesi, ci sarà una depressione. Le grandi banche falliranno. I loro depositanti perderanno tutto. L'offerta di denaro si ridurrà. Sarà un 1930-38 ancora una volta.

I banchieri centrali non permetteranno che accada una cosa simile. La Banca Centrale Europea cercherà di camminare sul filo del rasoio, così come hanno fatto le banche centrali nazionali in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. La BCE porterà avanti politiche di boom-bust, rifiutando di arrendersi ad una Grande Depressione o ad una iperinflazione.

Ma come può camminare su questo filo del rasoio? Le perdite saranno enormi per le grandi banche. I politici cercheranno di trasferire il costo del salvataggio delle banche Europee alla Germania. Ma i debiti sono troppo grandi.

I politici cercheranno di fare ciò che l'intervistatrice della BBC ha suggerito: spingere il Nord Europa a finanziare una serie infinita di prestiti ai PIIGS. Questa è la saggezza standard. Ma i numeri sono troppo grandi.

Allora che cosa succederà? L'Europa adotterà la soluzione Americana. La BCE non permetterà alle grandi banche di andare in default. Inflazionerà per acquistare gli asset tossici oppure acquisterà i bond dei governi, in modo che possano effettuare i pagamenti. Poi questi banchieri metteranno questo denaro in riserve in eccesso. I nuovi prestiti alle imprese cesseranno. L'Occidente andrà in recessione permanente o in una stasi di non-crescita. I governi assorbiranno una percentuale sempre maggiore di capitale della regione: vendite di bond. Le imprese private non saranno in grado di prendere in prestito a tassi bassi. Lo sviluppo del capitale cesserà.

L'Europa è più dipendente dai finanziamenti bancari di quanto lo siano gli Stati Uniti. L'Europa è quindi diretta verso un lungo periodo di crescita molto bassa oppure recessione. I governi succhieranno il credito perché devono mantenere in vita il sistema dei pagamenti. Alle banche non sarà consentito collassare. Né lo sarà all'offerta di denaro.

La BCE non vuole iperinflazione o una Grande Depressione. L'alternativa è un trasferimento a lungo termine di capitali ai PIIGS. Gli stati assorbiranno i risparmi della regione.



AZZARDO MORALE

Smith descrive ciò che è stato fatto agli elettori dai banchieri per mezzo dei politici. Non c'è nulla di nuovo qui. Risale alla descrizione di "azzardo morale" di Walter Bagehot verso la metà del XIX secolo.

Coloro che hanno fatto scommesse rischiose hanno deviato il rischio sugli altri: i contribuenti o le persone in generale che posseggono la valuta. I guadagni da queste scommesse sono privati, e li mantengono loro, ma tutte le perdite sono distribuite al pubblico attraverso i salvataggi governativi o la stampa di denaro. I primi trasferiscono le perdite ai contribuenti, e i secondi spostano le perdite a tutti coloro che posseggono la valuta che viene svalutata.

Ciò ha funzionato perché non tutti i conti dei governi sono scaduti. I rinnovamenti sono stati sequenziali. I grandi stati debitori – Spagna e Italia – non hanno ancora raggiunto il bordo del baratro che la Grecia sta fissando. Ma ci si stanno avvicinando.

Smith parla dei vincitori e dei perdenti in tutto questo.

Non solo il rischio è stato rifilato a zucconi ignari, i rendimenti sono stati concentrati nelle mani di pochi che controllano le grandi scommesse. Questa è la configurazione ideale per i guadagni stupendi ed il rischio zero che caratterizzano il capitalismo clientelare: fare grandi scommesse con leva finanziaria e denaro preso in prestito, e rastrellare gli enormi profitti. Poi, quando le scommesse vanno a rotoli, richiedere un salvataggio da parte dello Stato Centrale, della BCE, della FED, ecc., che socializza subito le perdite e le distribuisce a tutta la popolazione di contribuenti o possessori di valuta.

Smith dice che l'unica cosa che può fermare ciò è la ribellione dei nuovi servi: gli elettori.

Funziona perfettamente fino a quando i servi-debitori non si ribellano. I politici dell'UE stanno mendicando di avviare la stampante, in quanto è l'unico modo con cui possano mantenere il loro potere di fronte alla rivolta dei servi-debitori. Ma come minimo un popolo di servi-erariali (Germania) si ribellerà contro il risucchio di tutte le perdite attraverso una massiccia riduzione del potere d'acquisto.

Ma i servi-debitori non lo comprendono. Non possono fermare i loro governi. Non sono uniti contro i salvataggi. Ogni nuovo governo persegue sulla stessa strada.

Caratteristico è il movimento "Occupy Wall Street". Sono per lo più socialisti e statalisti a favore del welfare. Vogliono una maggiore regolamentazione e tasse più alte per i ricchi – un New Deal esteso. Questo programma non ha ridotto le disuguaglianze sin dal 1933. I manifestanti non stanno manifestando davanti le sedi regionali della Federal Reserve. Non hanno ancora capito come il sistema bancario centrale sia al centro dell'economia, e lo è stato negli Stati Uniti fin da quando ha aperto i battenti nel 1914.

Smith offre una soluzione.

Coloro che hanno fatto le scommesse devono giustamente perdere tutto – sì, tutto spazzato via. Se il rischio e il rendimento sono in realtà legati causalmente, allora questo è l'unico risultato per una grande scommessa che è andata a rotoli: quelli che hanno piazzato le puntate dovrebbero essere spazzati via. Ciò include i money manager, i pezzi grossi delle banche, i guru dei bond, e tutti coloro che stupidamente hanno comprato tutto questo debito senza indagarne i rischi.

Ma ciò significa le grandi banche. Se chiudono i battenti, l'intero sistema monetario andrebbe in una deflazione di massa – dapprima di denaro, poi di prezzi. Il mondo tornerebbe al 1930-33. Non c'è alcun modo per evitarlo, secondo i Keynesiani, i monetaristi, i supply-sider, e anche gli Austriaci. Qui è dove c'è un accordo universale. Se le grandi banche vanno a gambe all'aria, ci sarà poi il ritorno della Grande Depressione. Poi andranno a gambe all'aria anche i governi che hanno salvato i PIIGS.

Gli Austriaci raccomandare ciò per tornare ad un prezzo del capitale vero. Tutte le altre scuole di opinione economica vogliono evitarlo attraverso l'inflazione della banca centrale. Gli Austriaci dicono "lasciare che i babbei falliscano". Poi la ripresa potrà avere inizio. Prima il dolore, poi la gioia: come una donna durante il parto. Politicamente, questo è un lavoro di marketing impossibile. Non sarà permesso che accada. I governi salveranno le grandi banche. Stipuleranno prestiti per farlo. Se ciò richiede una violazione dei trattati Europei, o i trattati verranno modificati dai parlamenti o altrimenti saranno ignorati.

Questo è l'azzardo morale in azione. E non cambia mai in linea di principio. I numeri diventano semplicemente più grandi. L'interdipendenza economica diventa più grande. La divisione del lavoro è estesa. Il sistema si baserà sempre di più sulla moneta fiat e sugli inganni contabili.



QUALE FIREWALL?

Smith presume che ci sarà una sorta di firewall per i banchieri e gli elettori. Le perdite dovrebbero essere contenute.

Chi non dovrebbe sciropparsi le perdite sono coloro che non hanno da guadagnare: i contribuenti ed i possessori della valuta. Per ripetere: il fatto più fondamentale di tutto questo debito inesigibile, rischioso, tossico è che ogni euro di debito è l'asset di qualcun altro. Cancellate il debito e spazzerete via l'asset.

Questo significa che il patrimonio delle grandi banche e delle banche più indebitate sarà spazzato via. Poi le banche saranno spazzate via. Falliranno. Questo significa un fallimento al cuore dell'economia Europea. Il crash si diffonderà in tutto il mondo. Non vi è alcun firewall se non quello del denaro fiat.

Non vi è alcun modo per evitare i 3 miliardi di perdite. L'unica domanda è chi dovrebbe assorbire tali perdite: quelli che hanno guadagnato, o gli idioti innocenti il cui unico crimine era quello di essere un contribuente o possessore di euro? Se c'è una giustizia (o Capitalismo classico) seppur minima in Eurolandia, allora coloro che hanno fatto le scommesse ed investito capitale nelle scommesse per raccogliere un ricavo sono quelli che dovrebbero assorbire le perdite.

Tutto vero. Ma le masse hanno il loro denaro nelle banche commerciali, nei fondi pensione, e nelle case ipotecate. La deflazione monetaria le impoverirà. Le masse sono intrappolate, in un modo o nell'altro.

Egli dice: "La vita andrà avanti, se le banche saranno spazzate via e verranno chiuse, i fondi pensione e le compagnie di assicurazione si faranno carico delle perdite, ecc." In un mondo con una divisione del lavoro estesa, che è anche un mondo regolato dall'alto dai burocrati, se davvero le grandi banche andranno a gambe all'aria, la vita non potrebbe andare avanti per milioni di persone. La divisione del lavoro dipende dall'economia monetaria. L'economia monetaria ha una leva di 40 a 1. Cosa succede se l'offerta di denaro si riduce di (diciamo) un fattore di 40? Questa è la maledizione dell'azzardo morale.

Smith trae una conclusione.

Se coloro che hanno fatto le scommesse per il loro tornaconto privato non sono costretti ad assorbire il rischio, allora noi non viviamo in una democrazia o nel capitalismo, viviamo in una tirannia finanziaria fascista.

Ma è esattamente così che viviamo. Questo è stato il mio punto sin dal Febbraio 2009.



CONCLUSIONE

Il gioco europeo del calcio al barattolo continuerà. La migliore sintesi di ciò che accadrà è stata fatta da un operaio del governo Spagnolo Domenica 20 Novembre, il giorno delle elezioni nazionali. I socialisti sono stati buttati fuori a calci. Ha detto questo: "Possiamo scegliere la salsa in cui verremo cucinati, ma saremo cucinati lo stesso."

Tutto il mondo è nello stesso calderone. Possiamo scegliere la salsa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


sabato 26 novembre 2011

La Verità sulle Tasse #3



Questo articolo, una risposta ad Alan Greenspan's call for a consumption tax, apparve originariamente in Review of Austrian Economics, 1994, Volume 7, No. 2, pp. 75–90, come The Consumption Tax: A Critique.


Terza ed Ultima Parte.


Qui la Prima Parte.
Qui la Seconda Parte.



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di Murray N. Rothbard



L'Impossibilità di Tassare Solo il Consumo

Dopo aver sfidato i meriti dello scopo di tassare solo i consumi ed aver sollevato i risparmi dalla tassazione, procediamo ora a negare la possibilità stessa di raggiungere tale obiettivo, vale a dire, riteniamo che una tassa sui consumi sfocerà, volenti o nolenti, in una tassa sul reddito e quindi anche sul risparmio. In poche parole, anche se, per amor di discussione, dovremmo decidere di tassare solo i consumi e non il reddito, non dovremmo essere in grado di farlo.

Prendiamo, in primo luogo, il piano di Fisher, che, apparentemente semplice, esonererebbe il risparmio e tasserebbe solo i consumi. Prendiamo il signor Jones, che guadagna un reddito annuo di $100,000. Le sue preferenze temporali lo portano a spendere il 90% del suo reddito in consumi ed a risparmiare e investire il restante 10%. Su questa ipotesi, spenderà $90,000 l'anno in consumi e risparmierà ed investirà gli altri $10,000. Supponiamo ora che il governo imponga una tassa del 20% sul reddito di Jones, e che la sua preferenza temporale rimanga la stessa. Il rapporto tra il suo consumo e risparmio sarà ancora 90:10, e così, al netto delle imposte sul reddito attualmente avrà $80,000, la sua spesa per i consumi sarà di $72,000 e il suo risparmio-investimento di $8,000 l'anno.[1]

Supponiamo ora che invece di una tassa sul reddito, il governo segua lo schema di Irving Fisher, ed imponga una tassa del 20% annuo sui consumi di Jones. Fisher sosteneva che una simile tassa sarebbe caduta solo sui consumi, e non sul risparmio di Jones. Ma questa affermazione è errata, poiché l'intero risparmio-investimento di Jones si basa unicamente sulla possibilità dei suoi consumi futuri, che saranno tassati allo stesso modo. Dal momento che il consumo futuro sarà tassato, si suppone, al tasso equivalente del consumo attuale, che non possiamo concludere che il risparmio nel lungo periodo riceva alcuna esenzione fiscale o incoraggiamento speciale. Non ci sarà quindi nessun cambiamento a favore del risparmio e degli investimenti di Jones a causa di una tassa sui consumi.[2] In sintesi, qualsiasi pagamento fiscale al governo, sia esso sul consumo o sul reddito, riduce necessariamente l'utile netto di Jones. Dal momento che la sua preferenza temporale rimane la stessa, Jones, pertanto, riduce il suo consumo e il suo risparmio in proporzione. Jones sposterà l'imposta sui consumi, fino a quando non diventerà equivalente ad un tasso più basso imponibile sul proprio reddito. Se Jones spende ancora il 90% del suo reddito netto in consumi, e il 10% per il risparmio-investimento, il suo reddito netto sarà ridotto di $15,000, invece che di $20,000, e il suo consumo sarà ora di $76,000, e il suo risparmio-investimento di $9,000. In altre parole, il 20% della tassa sui consumi di Jones sarà equivalente ad una tassa del 15% sul suo reddito, e lui organizzerà il suo consumo-risparmio di conseguenza.[3]

Abbiamo visto all'inizio di questo articolo che un'accisa che devia le risorse dai beni più desiderabili non significa necessariamente che possiamo consigliare un'alternativa, come ad esempio una tassa sul reddito. Ma che dire di una tassa generale sulle vendite, ipotizzando che possa essere riscossa politicamente senza eccezioni di beni o servizi? Una tale tassa non sarebbe un onere fiscale solo sul consumo e non sul reddito?

In primo luogo, una tassa sulle vendite sarebbe soggetta agli stessi problemi dell'imposta sui consumi di Fisher. Dal momento che il consumo futuro e quello presente sarebbero tassati allo stesso modo, ci sarebbe ancora una volta un cambiamento da parte di ogni individuo in modo che il consumo futuro così come quello presente verrebbe ridotto. Ma, inoltre, l'IVA è soggetta ad una complicazione in più: l'assunto generale che una tassa sulle vendite può essere facilmente spostata verso il consumatore è totalmente fallace. Infatti, l'imposta sulle vendite non può essere trasferita affatto!

Considerate: tutti i prezzi sono determinati dall'interazione dell'offerta, dallo stock di beni disponibili per la vendita, e dalla domanda di quel bene. Se il governo impone una tassa generale del 20% su tutte le vendite al dettaglio, è vero che ai rivenditori sarà ora richiesto un ulteriore costo del 20% su tutte le vendite. Ma come possono aumentare i prezzi per coprire questi costi? I prezzi, in ogni momento, tendono ad essere fissati al punto massimo delle entrate nette per ogni venditore. Se i venditori possono semplicemente passare l'aumento del 20% dei costi ai consumatori, perché avrebbero dovuto aspettare che fosse imposta una tassa sulle vendite per aumenteare i prezzi? I prezzi sono già ai massimi al netto delle entrate per ogni impresa. Qualsiasi aumento dei costi, quindi, dovrà essere assorbito dall'azienda; non può essere trasferito ai consumatori. In altre parole, l'imposizione di una tassa sulle vendite non ha cambiato lo stock già a disposizione del consumatore; tale stock è già stato prodotto. Le curve di domanda non sono cambiate, e non vi è alcun motivo affinché lo facciano. Dal momento che domanda ed offerta non sono cambiate, e neppure il prezzo. Oppure, guardando la situazione dal punto della domanda e dell'offerta di denaro, che aiuta a determinare i livelli generali dei prezzi, l'offerta di denaro è rimasta la stessa, e non c'è neanche motivo di supporre un cambiamento nella domanda dei saldi di bilancio. Quindi, i prezzi rimarranno gli stessi.

Si potrebbe obiettare che, anche se un aumento dei prezzi non può avvenire immediatamente, può farlo nel lungo periodo, quando i proprietari dei fattori e delle risorse avranno la possibilità di abbassare la loro offerta in un secondo momento. E' vero che un'accisa parziale può essere spostata in avanti in questo modo, nel lungo periodo, abbandonando le risorse, diciamo, dell'industria dei liquori e spostandosi in altri settori non tassati. Dopo un pò, poi, il prezzo del liquore può essere alzato da una tassa sui liquori, ma solo riducendo l'offerta futura, lo stock di liquore disponibile per la vendita in una data futura. Ma tale "spostamento" non è un passaggio indolore e rapido di un prezzo più alto per i consumatori; può essere realizzato solo in un periodo più lungo con una riduzione dell'offerta di un bene.

L'onere di una tassa sulle vendite non può essere spostato in avanti nello stesso modo. Poiché le risorse non possono sfuggire ad un'imposta sulle vendite come possono farlo per un'accisa — lasciando il settore liquori e trasferirendosi ad un altro. Stiamo assumendo che l'imposta sulle vendite è generale e uniforme; non può quindi essere sfuggita con le risorse se non rendendole inattive. Quindi, non possiamo sostenere che l'imposta sulle vendite sarà spostata in avanti nel lungo periodo per tutte le forniture di merci che rientrano in qualcosa come il 20% (a seconda dell'elasticità). Le forniture generali dei beni diminuiranno, e quindi i prezzi aumenteranno, solo nella misura relativamente modesta in cui la manodopera, osservando un aumento del costo di opportunità del tempo libero a causa di un calo dei redditi salariali, lascerà la forza lavoro e diventarà volontariamente inattiva (o più in generale si abbasserà il numero di ore lavorative).[4]

Nel lungo periodo, naturalmente, e questo periodo non è molto lungo, le imprese al dettaglio non saranno in grado di assorbire una tassa sulle vendite; non sono bacini illimitati di ricchezza pronti per essere confiscati. Mentre le aziende al dettaglio subiscono perdite, le loro curve di domanda per tutti i beni intermedi, e poi per tutti i fattori di produzione, si sposteranno nettamente verso il basso, e questi declini nella domanda saranno rapidamente trasmessi a tutti i fattori ultimi di produzione: manodopera, terra, ed interessi attivi. E poiché tutte le imprese tendono a guadagnare un ritorno d'interesse uniforme determinato dalla preferenza temporale sociale, l'incidenza della caduta nelle curve di domanda rimarrà assai rapidamente sui due ultimi fattori di produzione: terra e manodopera.

Di qui, la considerazione apparentemente di buon senso che una tassa sulle vendite al dettaglio potrà facilmente essere trasferita al consumatore è totalmente errata. Al contrario, l'impatto iniziale della tassa sarà sulle entrate nette delle imprese al dettaglio. Le loro gravi perdite porteranno ad un rapido spostamento verso il basso le curve di domanda, intaccando terra e manodopera, ovvero, saggi salariali e rendite fondiarie. Quindi, la tassa sulle vendite al dettaglio invece di essere spostata in avanti rapidamente e senza dolore, sarà, nel lungo periodo, dolorosamente spostata indietro verso i redditi della manodopera e dei proprietari terrieri. Ancora una volta, una presunta tassa sui consumi, è stata trasformata dai processi di mercato in una tassa sui redditi.

In economia lo stress in generale per lo spostamento in avanti, e l'incuria di uno spostamento indietro, è dovuto al disprezzo della teoria Austriaca del valore, ed il suo concetto che il prezzo di mercato è determinato solo dall'interazione di uno stock già prodotto, con l'utilità soggettiva e la domanda dei consumatori per tale stock. La curva di mercato dell'offerta, quindi, dovrebbe essere verticale nel classico diagramma della domanda-offerta. Lo standard Marshalliano della pendenza in avanti della curva dell'offerta incorpora illegittimamente una dimensione temporale all'interno di essa, e quindi non può interagire con un'istantanea, o un fermo immagine, della curva di mercato della domanda. La curva Marshalliana sostiene l'illusione che i costi maggiori possono aumentare direttamente i prezzi, e non solo indirettamente riducendo l'offerta. E mentre potremmo arrivare alla stessa conclusione dell'analisi Marshalliana della curva dell'offerta per una particolare accisa, dove può essere utilizzato un equilibrio parziale, questo metodo standard va in frantumi per le imposte generali sulle vendite.



Conclusione: L'Ammontare e la Forma di Tassazione

Concludiamo con l'osservazione che vi è stata fin troppa concentrazione sulla forma, sul tipo di tassazione, e non abbastanza sul suo totale. Il risultato è stato un armeggiare infinito con i tipi di imposte, insieme alla negligenza di una questione molto più critica: quanta parte del prodotto sociale dovrebbe essere dirottata lontano dai produttori? Oppure, quante entrate dovrebbero essere trattenute dai produttori e quante entrate e risorse dovrebbero essere coercitivamente dirottate a beneficio dei non produttori?

E' particolarmente strano che gli economisti che orgogliosamente si definiscono sostenitori del libero mercato negli ultimi anni abbiano imboccato questa strada sbagliata. Furono presumibilmente gli economisti di libero mercato, ad esempio, i pionieri ed i propagandatori del Tax Reform Act del 1986. Questo enorme cambiamento ci avrebbe dovuto portare una "semplificazione" sulle nostre imposte sul reddito. Il risultato, naturalmente, era così scontato che anche l'IRS, per non parlare della flotta di avvocati fiscalisti e commercialisti, ha avuto grandi difficoltà a comprendere la nuova dispensazione. Particolarmente, inoltre, in tutte le manovre che hanno portato al Tax Reform Act, lo standard sostenuto da questi economisti, uno standard in apparenza così evidente da non aver bisogno di giustificazioni, era la somma delle variazioni fiscali essendo il "gettito neutrale." Ma non ci hanno detto cosa c'è di così grande nella neutralità del gettito. E, naturalmente, con l'adesione a tali norme, la questione cruciale delle entrate totali fu deliberatamente esclusa dalla discussione.

Ancora più eclatante fu una dottrina precoce di un altro gruppo di presunti sostenitori del libero mercato, i supply-sider. Nella loro curva di Laffer originale, ora felicemente consegnata alla pattumiera della storia, i supply-sider sostenevano che l'aliquota fiscale che massimizza le entrate fiscali è il tasso "volontario", ed un tasso che dovrebbe essere diligentemente perseguito. Non fu mai stato sottolineato in che senso una tale aliquota fosse "volontaria", o che diavolo avesse a che fare il concetto di "volontarietà" con la fiscalità in primo luogo. I supply-sider fecero molto meno con la loro curva di Laffer per istruirci sul perché tutti noi avessimo dovuto sostenere la massimizzazione dei ricavi del governo come il nostro beau idéal. Sicuramente, per i fautori del libero mercato, ridurre al minimo la predazione del governo del prodotto privato sarebbe un pò più attraente.

E' con sollievo che ci si rivolge per un approccio realistico e di libero mercato vero e proprio a Jean-Baptiste Say, che contribuì considerevolmente più all'economia che alla legge di Say. Say non si faceva alcuna illusione che la tassazione fosse volontaria, né che la spesa pubblica contribuisse ai servizi produttivi dell'economia. Say evidenziò che, in materia fiscale:

Il governo esige da un contribuente il pagamento di una determinata tassa sottoforma di denaro. Per soddisfare questa richiesta, il contribuente scambia parte dei prodotti a sua disposizione per la moneta che paga agli esattori delle tasse.

Alla fine, il governo spende i soldi per le proprie esigenze, in modo che

alla fine [...] questo valore viene consumato; e poi la parte di ricchezza, che passa dalle mani del contribuente in quelle degli esattori, è distrutta ed annientata.

Si noti che, come nel caso del successivo Calhoun, Say vede che la tassazione crea due classi in conflitto, i contribuenti e gli esattori delle imposte. Se non fosse per le tasse, il contribuente avrebbe speso i suoi soldi per il proprio consumo. Così com'è: "Lo stato [...] gode della soddisfazione derivante da tale consumo."

Say procede a denunciare

l'idea prevalente, che i valori, pagati dalla comunità per il servizio pubblico, tornano di nuovo [...] che ciò che il governo ed i suoi agenti ricevono, viene rimborsato di nuovo con le loro spese.

Say commenta con rabbia che questo "errore grave [...] è stato generatore di malizia infinita, in quanto è stato il pretesto per una grande quantità di rifiuti senza vergogna e di degrado."

Al contrario, Say dichiara: "il valore pagato al governo da parte del contribuente è dato senza l'equivalente o il ritorno; è speso dal governo per l'acquisto di un servizio personalizzato, di oggetti di consumo".

Say continua a denunciare la "conclusione falsa e pericolosa" di scrittori economici secondo cui il consumo del governo aumenta la ricchezza. Say nota con amarezza che "se tali principi si trovassero solo nei libri, e non fossero mai messi in pratica si potrebbe patire senza cura o rimpianto il mucchio mostruoso di assurdità stampate".

Ma purtroppo, osservò, queste nozioni sono state messe in "pratica dagli agenti della pubblica autorità, che possono far valere errori e assurdità con una baionetta o la bocca del cannone."[5] Per Say la tassazione, quindi, è

il trasferimento di una parte dei prodotti nazionali dalle mani degli individui a quelle del governo, al fine di soddisfare i consumi della spesa pubblica. [...] E' praticamente un fardello imposto agli individui, singolarmente o in gruppo, dal potere dominante [...] visto che lo scopo è quello di fornire un consumo e potrebbe essere ritenuto appropriato che lo facessero a loro spese.[6]

Ma la tassazione, per Say, non è solo un gioco a somma zero. Imponendo un onere sui produttori, egli fa notare, le tasse, nel tempo, storpiano la produzione. Scrive Say:

La tassazione priva il produttore di un prodotto, dal quale altrimenti avrebbe la possibilità di derivare una gratificazione personale, se l'avesse consumato [...] o se l'avesse trasformato in profitto, dedicandolo ad un impiego utile. [...] [Pertanto], la sottrazione di un prodotto diminuisce necessariamente, anziché aumentare, la potenza produttiva.

La politica raccomandata da J.B. Say era cristallina e coerente con la sua analisi e quella del presente lavoro. "Il miglior piano per le finanze [pubbliche] è, spendere il meno possibile; e la tassa migliore è sempre quella più leggera".


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Abbiamo lasciato da parte il fatto che, ad una quantità di denaro minore, il tasso di preferenza temporale di Jones, dato il suo schema di preferenza temporale, sarà più alto, in modo che il suo consumo sarà più alto, ed il suo risparmio minore, rispetto a quanto abbiamo affermato.

[2] Infatti, nella nota 1 di sopra, ci sarà uno spostamento in favore del consumo perché una quantità ridotta di denaro sposterà il tasso di preferenza temporale del contribuente in direzione del consumo. Di conseguenza, paradossalmente, una pura tassa sui consumi aumenterà i risparmi fiscali più del consumo! Consultare Rothbard, Power and Market, pp. 108–11.

[3] Se le entrate nette vengono definite come le entrate lorde meno l'ammontare pagato in tasse, e per Jones, il consumo è rappresentato dal 90% del reddito netto, una tassa sui consumi al 20% su un reddito di $100,000 sarà equivalente ad una tassa del 15% su questo reddito. Rothbard, Power and Market, pp. 108–11. La formula base delel entrate nette è:

N = G / 1 + tc

dove
G=entrate lorde, t=l'aliquota fiscale sui consumi, e c, consumi come percentuale delle entrate nette, sono dati dal problema, e N = G – T per definizione, dove T è l'ammontare pagato per la tassa sui consumi.

[4] Rothbard, Power and Market, pp. 88-93. Consultare anche l'articolo degno di nota di Harry Gunnison Brown, "The Incidence of a General Sales Tax," in Readings in the Economics of Taxation, R. Musgrave and C. Shoup, eds. (Homewood, Ill: Irwin, 1959), pp. 330–39.

[5] Jean-Baptiste Say, A Treatise on Political Economy, 6th ed. (Philadelphia: Claxton, Remsen & Heffelfinger, 1880), pp. 412–15. Consultare anche Murray N. Rothbard, "The Myth of Neutral Taxation," Cato Journal 1 (Fall 1981): 551–54.

[6] Say, Treatise, p. 446.

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venerdì 25 novembre 2011

La Verità sulle Tasse #2




Questo articolo, una risposta ad Alan Greenspan's call for a consumption tax, apparve originariamente in Review of Austrian Economics, 1994, Volume 7, No. 2, pp. 75–90, come The Consumption Tax: A Critique.


Seconda Parte.

Qui la Prima Parte.
Qui la Terza Parte.


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di Murray N. Rothbard


Proporzionalità e Progressività: Chi? A Chi?

Una delle presunte virtù dell'imposta sui consumi avanzata dai conservatori è che, mentre l'imposta sul reddito può essere ed è generalmente progressiva, l'imposta sui consumi è praticamente ed automaticamente proporzionale. Si è anche affermato che la tassazione progressiva equivale al furto, con i poveri che derubano i ricchi, mentre la proporzionalità è la tassa equa e ideale. In primo luogo, tuttavia, l'imposta sui consumi di Fisher potrebbe essere altrettanto progressiva come l'imposta sul reddito. Anche l'imposta sulle vendite è scarsamente priva di progressività. Per molti le tasse sulle vendite esonerano in pratica prodotti come il cibo, esenzioni che distorcono le preferenze dei singoli mercati ed introducono anche la progressività della tassazione.

Ma è davvero la progressività il problema? Prendiamo due individui, uno che fa $10,000 all'anno e un altro che fa $100,000. Cerchiamo di ipotizzare due sistemi fiscali alternativi: uno proporzionale, l'altro ripidamente progressivo. Nel sistema fiscale progressivo, le aliquote delle imposte sul reddito partono dall'1% per l'uomo che prende $10,000 l'anno, fino al 15% per l'uomo con il reddito più elevato. Nel sistema proporzionale successivo, supponiamo che tutti, indipendentemente dal reddito, paghino lo stesso 30% del proprio reddito. Nel sistema progressivo, l'uomo a basso reddito paga $100 l'anno in tasse, e il più ricco paga $15,000, mentre nel sistema presumibilmente più equo e proporzionale, l'uomo più povero paga $3,000 invece dei $100, mentre il più ricco paga $30,000 invece dei $15,000. E', però, una magra consolazione per il tizio col reddito più alto che l'uomo più povero stia pagando la stessa percentuale dell'imposta sul reddito come lui, poiché la persona più ricca è multata molto più di prima. E' poco convincente, quindi, quando qualcuno dice all'uomo più ricco che non è più "derubato" dal povero, dal momento che sta perdendo molto più di prima. Se si obietta che il livello complessivo della tassazione è molto più alto sotto il nostro sistema proporzionale postulato sopra piuttosto che in quello progressivo, rispondiamo che è proprio questo il punto. Poiché quello a cui la persona con più alto reddito si sta veramente opponendo non è il mitico furto inflitto su di lui "dal povero"; il suo problema è la quantità reale estratta da lui da parte dello Stato. Il reclamo vero e proprio dell'uomo più ricco, quindi, non è quanto malamente viene trattato rispetto a qualcun'altro, ma quanti soldi vengono estratti dai suoi sudati asset. Riteniamo che la progressività delle imposte è una falsa pista; il vero problema da mettere a fuoco dovrebbe essere l'importo che ogni individuo è costretto a cedere allo Stato.[1]

Lo Stato, ovviamente, spende i soldi che riceve in vari gruppi, e coloro che sostengono che la tassazione progressiva multa i ricchi a favore dei poveri lo sostengono confrontando il livello di reddito dei contribuenti con quelli dei beneficiari delle elargizioni dello Stato. Allo stesso modo, la Scuola di Chicago sostiene che il sistema fiscale è un processo mediante il quale la classe media sfrutta sia i ricchi che i poveri, mentre la Nuova Sinistra insiste sul fatto che le tasse sono un processo attraverso il quale i ricchi sfruttano i poveri. Tutti questi tentativi fanno cilecca nel raggruppare ingiustificatamente in una classe i contribuenti e i destinatari rispetto allo Stato. Coloro che pagano le tasse allo Stato, siano essi ricchi, classe media o poveri, sono certamente un insieme di persone diverso rispetto a quei ricchi, quella classe media, o quei poveri che ricevono i soldi dalle casse dello Stato, il quale comprende in particolare i politici ed i burocrati così come coloro che ricevono favori da questi membri dell'apparato dello Stato. Non ha senso mettere sullo stesso piano questi gruppi. Ha molto più senso rendersi conto che il processo di tassare e spendere crea due e solo due classi sociali separate, distinte ed antagoniste, quelle che Calhoun brillantemente identificò come i contribuenti (al netto) ed i consumatori fiscali (al netto), quelli che pagano le tasse e coloro che ci vivono sopra. Faccio presente che, considerata questa prospettiva, diventa particolarmente importante ridurre al minimo gli oneri che lo Stato ed i suoi consumatori fiscali privilegiati pongono sulla produttività dei contribuenti.[2]



Il Problema del Risparmio Fiscale

L'argomento principale per la sostituzione di una imposta sul reddito con una imposta sui consumi è che il risparmio non sarebbe più tassato. Una tassa sui consumi, come affermano i suoi sostenitori, tasserebbe il consumo e non il risparmio. Il fatto che questo argomento sia generalmente avanzato da economisti di libero mercato, ai nostri giorni soprattutto dai supply-sider, fa rimanere sbigottiti non poco. Poiché gli individui nel libero mercato, dopo tutto, decidono l'allocazione del proprio reddito o al consumo o al risparmio. Questa proporzione dei consumi direzionata al risparmio, come l'economia Austriaca ci insegna, è determinata dal tasso di preferenza temporale di ogni individuo, il grado con cui preferisce i beni presenti a quelli futuri. Poiché ogni persona assegna continuamente il proprio reddito tra il consumo di oggi e il risparmio per l'investimento in beni che porteranno un reddito in futuro. E ogni persona decide l'assegnazione in base alla sua preferenza temporale. Dire, quindi, che solo il consumo dovrebbe essere tassato e non il risparmio equivale a sfidare le preferenze volontarie e le scelte degli individui sul libero mercato, e dire che stanno risparmiando troppo poco e consumando troppo, e che quindi dovrebbero essere rimosse le tasse sui risparmi e tutti gli oneri immessi sul presente rispetto al consumo futuro. Ma fare ciò equivale a sfidare le espressioni di preferenza temporale del libero mercato, a sostenere la coercizione del governo di modificare con la forza l'espressione di tali preferenze, in modo da imporre un coefficiente superiore di risparmio rispetto a quanto desiderato dagli individui liberi.

Dobbiamo, allora, chiederci, Secondo quali criteri i supply-sider e gli altri sostenitori delle imposte sui consumi decidono perché e in che misura il risparmio è troppo basso e il consumo troppo alto? Quali sono i loro criteri di "troppo basso" o "troppo alto", su cui si basa la loro proposta coercitiva sulla scelta individuale? E per di più, con quale diritto si fanno chiamare sostenitori del "libero mercato" quando propongono di dettare scelte in un ambito vitale come la proporzione tra consumo presente e futuro?

I supply-sider si considerano eredi di Adam Smith, e in un certo senso hanno ragione. Poiché anche Smith, guidato da una profonda ostilità Calvinista verso i consumi di lusso, cercò di utilizzare il governo per aumentare la quota sociale di investimenti al consumo oltre i desideri del libero mercato. Un metodo che sosteneva era quello delle alte tasse sui consumi di lusso; un altro era quello di leggi sull'usura, per guidare i tassi di interesse al di sotto del livello di libero mercato, e, quindi, canalizzare o razionare coercitivamente i risparmii ed il credito nelle mani di debitori sobri ed operosi, e fuori dalle mani di consumatori "prodighi" che sarebbero stati disposti a pagare elevati tassi d'interesse. Infatti, attraverso il dispositivo dello spettrale Spettatore Imparziale, il quale, al contrario dei veri esseri umani, era indifferente nel momento in cui riceveva le merci, Smith praticamente sosteneva che il tasso ideale di preferenza temporale fosse zero.[3]

L'unico argomento coerente offerto dai sostenitori della tassazione sul consumo contro una tassazione sul reddito è quello di Irving Fisher, sulla base dei suggerimenti di John Stuart Mill.[4] Fisher sosteneva che, poiché l'obiettivo di tutta la produzione è il consumo, e poiché tutti i beni capitali sono solo stazioni secondarie sulla strada del consumo, l'unico reddito autentico è la spesa al consumo. Viene presto tratta la conclusione che solo il reddito al consumo, non quello che viene generalmente chiamato "entrata", dovrebbe essere soggetto alla tassazione.

Più precisamente, il risparmio ed il consumo, si sostiene, non sono veramente simmetrici. Tutto il risparmio è diretto verso un maggiore consumo futuro. Il potenziale consumo attuale è scontato in cambio di un aumento previsto nei consumi futuri. L'argomentazione conclude che quindi qualsiasi ricavo dagli investimenti non può che essere considerato un "doppio conteggio" delle entrate, nello stesso modo in cui un conteggio ripetuto delle vendite lorde, per esempio, dei Wheaties dal produttore al grossista al dettagliante come parte delle entrate nette sarebbe un conteggio multiplo dello stesso bene.

Questo ragionamento è corretto fintanto che spiega il processo di consumo-risparmi, ed è abbastanza utile per livellare una critica alle statistiche convenzionali delle entrate nazionali. Queste statistiche lasciano scrupolosamente fuori tutti i conteggi doppi o multipli al fine di arrivare al prodotto netto totale, eppure includono arbitrariamente nel totale netto delle entrate, gli investimenti in tutti i beni capitali di durata superiore ad un anno — un chiaro esempio di doppio conteggio. Pertanto, l'attuale prassi esclude assurdamente dal reddito netto gli investimenti di un commerciante in scorte della durata di 11 mesi prima della vendita, ma include nell'utile netto gli investimenti in scorte della durata di 13 mesi. La conclusione convincente è che una stima del reddito sociale o nazionale deve comprendere solo la spesa al consumo.[5]

Nonostante le molte virtù dell'analisi di Fisher, però, è inammissibile saltare alla conclusione che solo il consumo dovrebbe essere tassato piuttosto che il reddito. E' vero che il risparmio porta ad una maggiore offerta di beni di consumo in futuro. Ma questo fatto è noto a tutte le persone; è precisamente il perché la gente risparmia. Il mercato, insomma, conosce bene la forza produttiva del risparmiare per il futuro, ed alloca le sue spese di conseguenza. Eppure, anche se le persone sanno che il risparmio renderà loro maggiore consumo futuro, perché non risparmiano tutto il loro reddito attuale? Chiaramente, a causa delle loro preferenze temporali presenti rispetto al consumo futuro. Queste preferenze temporali regolano l'allocazione delle persone tra presente e futuro. Ogni individuo, dato il suo "reddito" in denaro — definito in termini convenzionali — e le suo scale di valori, assegnerà tale reddito nella proporzione più desiderata fra consumi ed investimenti. Ogni altra destinazione di tale reddito, ogni proporzione diversa, soddisferebbe pertanto i suoi bisogni e desideri, in misura minore ed abbasserebbe la sua posizione sulla sua scala di valori. E' quindi incorretto affermare che l'imposta sul reddito impone un onere supplementare al risparmio e agli investimenti; penalizza tutti gli standard di vita di un individuo, presenti e futuri. Una tassa sul reddito non penalizza il risparmio di per sé più di quanto non lo faccia sui consumi.

Quindi, l'analisi di Fisher, per tutta la sua raffinatezza, consdivide semplicemente i pregiudizi degli altri sostenitori dell'imposta sui consumi opposti alle allocazioni volontarie del libero mercato tra consumi ed investimenti. L'argomento pone più enfasi sui risparmi e sugli investimenti rispetto a quanto lo faccia il mercato. Una tassa sui consumi è altrettanto sconvolgente delle preferenze temporali volontarie e delle allocazioni di mercato quanto una tassa sul risparmio. Nella maggior parte e nelle altre aree del mercato, gli economisti di libero mercato capiscono che le allocazioni sul mercato tendono sempre ad essere ottimali in relazione alla soddisfazione dei desideri dei consumatori. Perché allora troppo spesso fanno un'eccezione per le allocazioni dei consumi-risparmi, rifiutandosi di rispettare i tassi di preferenza temporale sul mercato?

Forse la risposta è che gli economisti sono soggetti alle stesse tentazioni come chiunque altro. Una di queste tentazioni è quella di incitare ad alta voce te, lui e l'altro per lavorare di più, e risparmiare ed investire di più, aumentando quindi gli standard di vita presenti e futuri. Una tentazione conseguente è quella di invocare i gendarmi affinché facciano rispettare questo desiderio. In qualunque modo possiamo chiamare questa tentazione, la scienza economica non ha nulla a che fare con essa.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Per una trattazione completa, ed una discussione su chi viene derubato da chi, consultare Murray N. Rothbard, Power and Market: Government and the Economy, 2nd ed. (Kansas City: Sheed Andrews & McMeel, 1977), pp. 120–21.

[2] Consultare Murray N. Rothbard, Man, Economy, and State: A Treatise on Economic Principles.

[3] Consultare l'articolo illuminante di Roger W. Garrision, "West's 'Cantillon and Adam Smith': A Comment," Journal of Libertarian Studies 7 (Fall 1985): 291–92.

[4] Consultare Rothbard, Power and Market, pp. 98–100.

[5] Omettiamo qui la questione affascinante di come dovrebbero essere trattate le attività del governo nella statistica delle entrate nazionali. Consultare Rothbard, Man, Economy, and State, 2, pp. 815–20; idem, Power and Market, pp. 199–201; idem, America's Great Depression, 4th ed. (New York: Richardson & Snyder, 1983), pp. 296–304; Robert Batemarco, "GNP, PPR, and the Standard of Living," Review of Austrian Economics 1 (1987): 181–86.

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La Verità sulle Tasse #1

Ultimamente, ed in Italia in special modo, si continua a parlare di tassazione. Si parla di misure temporanee, si parla di misure di "coesione sociale", si parla di lotta all'evasione come panacea di tutti i mali economici. Vengono quindi srotolate una sfilza di nuove tasse sfavillanti per rimettere "in carreggiata" i paesei. La gente ci crede. Crede nella redistribuzione, che fornendo il proprio denaro ad una "entità superiore" questa possa onniscentemente direzionare i fondi in progetti produttivi. Questa è la stesse entità che ha dato il via al casino in cui ci troviamo oggi, non ha nulla di "onniscente" è solo composta da rapinatori che fregheranno tutto il possibile al popolo prima che la baracca che va a fuoco crolli. Lo capì anche Friedman l'unica volta che vennero prese in considerazione le sue parole. E guarda caso parlava di tasse. Rapina e controllo sociale, ecco a cosa servono le tasse. Vengono finanziati apparati che tengono sotto controllo e generano leggi liberticide, con la scusa delle elemosine per assicurarsi un "sottoproletariato" comodissimo per scopi di controllo sociale governativo e per i fini della classe dirigente. Il furto è prendere ad altri contro la loro volontà, a prescindere da chi lo fa. [Prima Parte di Tre].
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di Murray N. Rothbard


Questo articolo, una risposta ad Alan Greenspan's call for a consumption tax, apparve originariamente in Review of Austrian Economics, 1994, Volume 7, No. 2, pp. 75–90, come The Consumption Tax: A Critique.


La Presunta Superiorità della Tassa sul Reddito

L'ortodossia economica neoclassica ha a lungo sostenuto che, dal punto di vista degli stessi tassati, una tassa sul reddito è "meglio di" un'accisa su una particolare forma di consumo, in quanto, oltre alle entrate totali estratte, che si presume siano le stesse in entrambi i casi, il peso del prelievo fiscale delle accise grava nei confronti di un particolare bene di consumo. In aggiunta all'importo totale riscosso, quindi, le accise distorcono e deviano la spesa e le risorse lontano da modelli di consumo preferiti dai consumatori. Vengono tirate fuori curve di indifferenza per dare una patina scientifica alla geometria di questa dimostrazione.

Come in molti altri casi tuttavia, quando gli economisti giudicano in fretta vari corsi d'azione come "buoni", "superiori" o "ottimali", le ipotesi ceteris paribus sottostanti tali giudizi – in questo caso, per esempio, che le entrate totali rimangono le stesse – non sempre reggono nella vita reale. Così, è certamente possibile, per motivi politici o altre ragioni, che una particolare forma di imposta non sia suscettibile a partorire lo stesso gettito totale di un'altra. La natura di una particolare tassa potrebbe portare a maggiori o minori entrate rispetto ad un'altra tassa. Supponiamo, per esempio, che tutte le tasse attuali vengano abolite e che lo stesso totale debba essere raccolto da una nuova capitazione, o tassa personale, che richiede che ogni abitante degli Stati Uniti paghi un importo pari al supporto dei governi federali, statali , e locali. Ciò significa che tra le entrate totali esistenti del governo degli Stati Uniti, che si stima siano pari a $1 biliardo, $380 milioni – e qui le cifre esatte non sono importanti – dovrebbero essere divisi tra un totale approssimativo di 243 milioni di persone. Il che significherebbe che ogni uomo, donna e bambino in America sarebbe tenuto a pagare al governo ogni singolo anno, $5,680. Ad ogni modo, non credo che una cosa di simili grandi dimensioni potrebbe essere una somma esigibile da parte delle autorità, non importa quanti poteri esecutivi siano concessi all'IRS. Un chiaro esempio in cui l'ipotesi ceteris paribus cade a pezzi.

Ma un esempio più importante, anche se meno eclatante, è a portata di mano. Prima della Seconda Guerra Mondiale, l'Internal Revenue raccoglieva l'intero importo, in un'unica soluzione, da ogni contribuente, il 15 Marzo di ogni anno. (L'estensione di un mese fu successivamente concessa a contribuenti ritardatari.) Durante la Seconda Guerra Mondiale, al fine di consentire una raccolta più semplice e più lineare delle aliquote molto più elevate per finanziare lo sforzo bellico, il governo federale istituì un piano ideato dall'onnipresente Beardsley Ruml di RH Macy & Co., e tecnicamente attuato da un giovane e brillante economista presso il Dipartimento del Tesoro, Milton Friedman. Questo piano, come tutti noi sappiamo fin troppo bene, costrinse ogni datore di lavoro nel mercato del lavoro a trattenere la tassa ogni mese dalla busta paga del dipendente ed a consegnarla al Tesoro. Come risultato, non c'era più la necessità per il contribuente di tirar fuori l'importo totale ogni anno in un'unica soluzione. Ci venne assicurato da tutti, al momento, che questa nuova ritenuta d'acconto era strettamente limitata all'emergenza rappresentata dal tempo di guerra, e che sarebbe scomparsa con l'arrivo della pace. Il resto, purtroppo, è storia. Ma il punto è che nessuno può seriamente sostenere che un'imposta sul reddito spogliata dal potere di trattenerla, possa essere raccolta ai suoi attuali livelli elevati.

Una ragione, quindi, per cui un economista non può sostenere che l'imposta sul reddito, o qualsiasi altra imposta, sia migliore dal punto di vista della persona tassata, è che il reddito totale raccolto è spesso una funzione del tipo di imposta applicata. E sembrerebbe che, dal punto di vista della persona tassata, meno gli viene tolto e meglio è. Anche l'analisi della curva d'indifferenza avrebbe dovuto confermare tale conclusione. Se qualcuno vuole sostenere che una persona tassata è delusa dal basso carico fiscale che gli viene chiesto di pagare, quella persona è sempre libera di compensare il presunto deficit facendo un regalo volontario alle disorientate ma felici autorità fiscali.[1]

Un problema insormontabile con un economista che raccomanda qualsiasi forma di imposta dal presunto punto di vista della tassato, è che il contribuente potrebbe avere particolari valutazioni soggettive per la forma dell'imposta, a parte l'importo totale riscosso. Anche se l'importo totale da lui estratto è lo stesso per la tassa A e la tassa B, potrebbe avere valutazioni soggettive molto diverse dei due processi di tassazione. Torniamo, per esempio, al nostro caso del reddito rispetto ad una accisa. Le imposte sul reddito sono raccolte nel corso di un esame coercitivo e persino brutale di ogni aspetto della vita di ogni contribuente da parte dell'onniveggente ed onnipotente Internal Revenue Service. Ogni contribuente, inoltre, è obbligato per legge a tenere una contabilità precisa dei suoi redditi e deduzioni, e poi, faticosamente ed in modo veritiero, a compilare ed a spedire le stesse relazioni che tenderanno ad incriminarlo per debiti fiscali. Un'accisa, diciamo sul whisky o sui film, non si introdurrà direttamente nella vita ed il reddito di nessuno, ma solo nelle vendite del cinema o del negozio di liquori. Mi permetto di giudicare che, nel valutare la "superiorità" o "l'inferiorità" delle diverse modalità di tassazione, anche il più determinato bevitore o spettatore pagherebbe allegramente prezzi molto più elevati per il whisky o i film di quanto gli economisti neoclassici contemplino, al fine di evitare il lungo braccio dell'IRS.[2]



Le Forme dell'Imposta sui Consumi

Negli ultimi anni, la vecchia idea di un'imposta sul consumo rispetto ad una tassa sul reddito è stata proposta da molti economisti, soprattutto dai conservatori presumibilmente pro-libero mercato. Prima di passare ad una critica della tassa sui consumi come un sostituto per l'imposta sul reddito, si deve rilevare che le attuali proposte per una tassa sui consumi priverebbe i contribuenti della gioia psichica di sradicare l'IRS. Infatti, mentre la discussione è spesso espressa in termini di aut-aut, le varie proposte ammontano ad aggiungere una nuova tassa sul consumo in cima al possente armamentario attuale di potere impositivo. In breve, visto che l'imposta sul reddito potrebbe avere raggiunto i suoi limiti politici per il momento, i nostri consulenti e teorici fiscali stanno suggerendo al governo di utilizzare una nuova e splendente arma fiscale. Oppure, nelle parole immortali di quello zar economico e servo dell'assolutismo, Jean-Baptiste Colbert, il compito delle autorità fiscali è quello di "prendere l'oca in modo da ottenere la maggiore quantità di piume con la minore quantità di fischi." Noi contribuenti, naturalmente, siamo le oche.

Ma facciamo buon viso alla proposta della tassa sui consumi, e affrontiamo l'argomento come una sostituzione completa delle imposte sui redditi con un'imposta sui consumi, con un i ricavi totali che rimangono gli stessi. Il nostro primo punto è che una forma di imposta sui consumi non solo manterrebbe esistente il dispotismo dell'IRS, ma lo renderebbe ancora peggiore. Questa è la tassa sui consumi proposta dapprima da Irving Fisher.[3] L'imposta di Fisher avrebbe mantenuto l'IRS, così come il requisito che tutti mantenessero un registro dettagliato, fedele e veritiero della stima dei propri tributi. Ma avrebbe aggiunto qualcos'altro. Oltre a riportare le proprie deduzioni, tutti sarebbero stati tenuti a segnalare la proprie aggiunte o sottrazioni di beni capitali (compresi i contanti) nel corso dell'anno. Poi, ognuno avrebbe dovuto pagare l'aliquota fiscale indicata sul suo reddito meno la sua aggiunta al capitale fisso, o consumo al netto. O, al contrario, se avesse speso più di quanto guadagnato nel corso dell'ultimo anno, avrebbe pagato una tassa sul suo reddito, più la sua riduzione del capitale fisso, ancora una volta eguagliandola al suo consumo netto. Qualunque siano gli altri meriti o demeriti della tassa Fisheriana, aggiungerebbe potere all'IRS su ogni individuo, dal momento che lo stato del suo patrimonio, incluso il suo stock di liquidità, sarebbe ora esaminato con la stessa cura con cui viene esaminato il suo reddito.

Una seconda proposta per una tassa sui consumi, l'IVA, o imposta sul valore aggiunto, impone una curiosa tassa gerarchica sul "valore aggiunto" di ogni impresa e di ogni attività. Qui, invece di ogni individuo, ogni azienda sarebbe sottoposta all'intenso controllo burocratico, ciascuna impresa sarà tenuta a riferire le sue entrate e le sue spese, pagando una tassa designata sulle entrate nette. Ciò tenderebbe a distorcere la struttura dell'attività. Per prima cosa, ci sarebbe un incentivo per un'integrazione antieconomica verticale, in quanto minore è il numero di volte che avviene una vendita, meno tasse saranno imposte. Inoltre, come è accaduto nei paesi Europei con l'esperienza dell'IVA, potrebbe sorgere un'industria fiorente che rilascia falsi buoni, in modo che le aziende possano gonfiare loro presunte spese, e ridurre il loro valore aggiunto riportato. Sicuramente una tassa sulle vendite, a parità di condizioni, è manifestamente più semplice, meno distorsiva delle risorse, ed enormemente meno burocratica e dispotica dell'IVA. Infatti l'IVA sembra che non abbia alcun chiaro vantaggio rispetto alle imposte sulle vendite, ad eccezione naturalmente, che la moltiplicazione della burocrazia e il potere burocratico siano considerati un vantaggio.

Il terzo tipo di imposta sui consumi è la tassa familiare sulle vendite al dettaglio. Tra le varie forme di imposta sui consumi, l'imposta sulle vendite ha sicuramente il grande vantaggio, per la maggior parte di noi, di eliminare il potere dispotico del governo nel corso della vita di ogni individuo, come l'imposta sul reddito, o su ogni impresa ed attività, come l'IVA. Non distorcerebbe la struttura produttiva come farebbe l'IVA, e non altererebbe le preferenze individuali come accadrebbe con le accise specifiche.

Prendiamo ora in considerazione i meriti o i demeriti di una tassa sui consumi rispetto ad un'imposta sul reddito, mettendo da parte la questione del potere burocratico. Si deve anzitutto rilevare che sia l'imposta sui consumi che l'imposta sul reddito posseggono distinte implicazioni filosofiche. L'imposta sul reddito si basa necessariamente sul principio della capacità di pagare, e cioè il principio che se l'oca ha più piume, è più matura per la spiumatura. Il principio della capacità di pagare è esattamente il credo del bandito, di prendere dove è buono prendere, di estrarre tanto quanto le vittime possono sopportare. Il principio filosofico della capacità di pagare è l'incarnazione della risposta memorabile di Willie Sutton, quando gli venne chiesto, forse da uno psicologico sociale, perché rapinava le banche. "Perché", rispose Willie, "è lì che ci sono i soldi."

L'imposta sui consumi, d'altra parte, non può essere considerata come un pagamento per il permesso di vivere. Ciò implica che ad un uomo non sarà consentito migliorare o addirittura sostenere la propria vita a meno che non paga, senza pensarci troppo, una tassa allo Stato per ottenere il permesso di farlo. L'imposta sui consumi non mi sembra, nelle sue implicazioni filosofiche, un briciolo più nobile, o meno presuntuosa, dell'imposta sul reddito.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Nel 1619, Padre Pedro Fernandez Navarrete, "Cappellano Canonista e Segretario di sua Maestà," pubblicò un libro di consigli al monarca Spagnolo. Consigliando un drastico taglio nella tassazione e nella spesa di governo, Padre Navarrete raccomandò che, in caso di emergenze improvvise, il re avrebbe dovuto basarsi solamente sulla sollecitazione di donazioni volontarie. Alejandro Antonio Chafuen, Christians for Freedom: Late Scholastic Economics (San Francisco: Ignatius Press, 1986), p. 68.

[2] E' particolarmente commovente, quando sta per arrivare il 15 Aprile, contemplare il detto di Padre Navarrete, secondo cui "il solo paese piacevole è quello in cui nessuno è timoroso degli esattori," Chafuen, Christians for Freedom, p. 73. Vedere anche Murray N. Rothbard, "Review of A. Chafuen, Christians for Freedom: Late Scholastic Economics," International Philosophical Quarterly 28 (March 1988): 112–14.

[3] Vedere, per esempio, Irving ed Herbert N. Fisher, Constructive Income Taxation (New York: Harper, 1942).

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