domenica 12 dicembre 2010

Recessioni economiche, riforma bancaria e futuro del capitalismo #2





Parte seconda. Domani la terza ed ultima parte.




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di Huerta De Soto


La Reazione Spontanea del Mercato contro gli Effetti delle Espansioni del Credito

Nel mio libro Money, Bank Credit, and Economic Cycles (Huerta De Soto 2009, pp. 361-384) studio nel dettaglio le sei cause microeconomiche spontanee ed inevitabili dell'inversione del boom artificiale che l'aggressione dell'espansione del credito innesca immutabilmente nel mercato. Riassumiamo brevemente questi sei fattori:
  1. L'incremento del prezzo dei mezzi di produzione (principalmente lavoro, risorse naturali e merci). Questo fattore appare quando queste risorse non sono state liberate dalle industrie dei beni di consumo (perchè i risparmi non sono aumentati) e gli imprenditori dei diversi stadi nel processo di produzione competono l'un l'altro nel richiedere i mezzi di produzione originali con i prestiti creati da poco che hanno ricevuto dal sistema bancario.


  2. Il successivo incremento del prezzo dei beni di consumo ad un ritmo anche più rapido rispetto a quello dell'incremento del prezzo dei fattori di produzione. Ciò accade quando la preferenza temporale rimane stabile ed il nuovo denaro creato dalle banche raggiunge le tasche dei consumatori in un'ambiente in cui gli imprenditori stanno freneticamente provando a produrre di più per il consumo distante nel tempo e meno per il consumo immediato di tutti i tipi di beni. Ciò spiega anche il terzo fattore, che è:


  3. Il sostanziale incremento dei profitti contabili delle compagnie più vicine al consumo finale, specialmente paragonato con i profitti delle industrie dei beni capitali, che iniziano a ristagnare quando i loro costi salgono più rapidamente rispetto al loro giro d'affari.


  4. L'effetto Ricardo, che esercita un'impatto che è esattamente l'opposto a quello esercitato quando c'era un'incremento del risparmio volontario. Ora l'incremento relativo dei prezzi dei beni di consumo (o del giro d'affari delle industrie del consumo in un'ambiente di produttività aumentata) rispetto all'aumento nelle entrate dei fattori originali inizia ad abbassare i salari, motivando gli imprenditori a sostituire il lavoro economico con le macchine, il che diminuisce la domanda per i beni capitali e riduce inoltre i profitti delle compagnie che operano negli stadi più avanti nel tempo dal consumo.


  5. L'incremento del tasso d'interesse sul prestito eccede anche i livelli precedenti l'espansione del credito. Ciò accade quando il ritmo dell'espansione del credito smette di accelerare, qualcosa che prima o poi accade sempre. I tassi d'interesse aumentano significativamente a causa del più alto potere d'acquisto e premi al rischio richiesti dai prestatori. Inoltre gli imprenditori coinvolti negli investimenti sbagliati iniziano un "combattimento fino all'ultimo sangue" per ottenere finanziamenti addizionali per provare a completare i loro progetti d'investimento (Hayek 1937).


  6. Le compagnie negli stadi relativamente più distanti dal consumo iniziano a scoprire che stanno incappando in perdite contabili pesanti. Queste perdite contabili, quando paragonate con i profitti garantiti negli stati più vicini al consumo, rivelano senza dubbio che sono stati commessi seri errori imprenditoriali e che c'è un'urgente bisogno di correggerli paralizzando e liquidando i progetti d'investimento lanciati erroneamente durante gli anni del boom.

La crisi finanziaria inizia nel momento in cui il mercato, che come ho detto è dinamicamente efficiente (Huerta De Soto 2010a, pp. 1-30), scopre che il vero valore di mercato dei prestiti garantiti dalle banche durante il boom è solo una frazione di ciò che si pensava originariamente. In altre parole il mercato scopre che il valore degli asset bancari è più basso rispetto a quanto si pensava precedentemente e, mentre le passività della banca (che sono i depositi creati durante il boom) rimangono costanti, il mercato scopre che le banche sono difatti in bancarotta; e se non fosse per la disperata azione del prestatore di ultima istanza che salva le banche, l'intero sistema finanziario e monetario collasserebbe. In ogni caso è importante capire che la crisi finanziaria e bancaria non sono cause della recessione economica ma uno dei suoi più importanti primi sintomi.

Le recessioni economiche iniziano quando il mercato scopre che molti progetti d'investimento lanciati durante gli anni del boom non sono redditizi. E poi i consumatori chiedono di liquidare quegli investimenti sbagliati (che, come da poco scoperto, furono pianificati per maturare in un futuro troppo distante in considerazione dei reali desideri dei consumatori). La recessione segna l'inizio del doloroso riassestamento della struttura produttiva, che consiste nel ritiro di risorse produttive da stadi troppo lontani dal consumo ed il loro trasferimento a quelli più vicini ad esso.

Sia la crisi finanziaria sia la recessione economica sono sempre inevitabili una volta che l'espansione del credito ha avuto inizio, perchè il mercato prima o poi scopre che i progetti d'investimento finanziati dalle banche durante il periodo di boom erano troppo ambiziosi a causa della mancanza di risorse realmente risparmiate che sarebbero necessarie per completarli. In altre parole l'espansione del credito bancaria durante il periodo del boom incoraggia gli imprenditori ad agire come se i risparmi fossero aumentati quando in realtà non è così.

Un errore generale di calcolo economico è stato commesso e prima o poi sarà scoperto e corretto spontaneamente dal mercato. Infatti tutta la teoria di Hayek dei cicli economici è un caso particolare del teorema dell'impossibilità del calcolo economico sotto il socialismo scoperto da Ludwig von Mises, che è anche pienamente applicabile all'attuale, erronemaente progettato ed altamente regolamentato sistema bancario.


Le Caratteristiche Specifiche della Crisi Finanziaria del 2008 e l'Attuale Recessione Economica

Il ciclo espansionistico che ora sta giungendo al termine fu innescato quando l'economia Americana emerse dalla sua ultima recessione nel 2001 e la Federal Reserve si imbarcò di nuovo in un'artificiale espansione del credito e di investimenti — un'espansione non sostenuta da un parallelo incremento nel risparmio volontario delle famiglie. Infatti per diversi anni la massa monetaria nella forma di banconote e depositi è cresciuta ad un tasso medio di oltre il 10% l'anno (il che vuol dire che ogni sette anni il volume totale del denaro in circolazione nel mondo è raddoppiato).

Il mezzo di scambio originatosi da questa grave inflazione fiduciaria è stato piazzato sul mercato dal sistema bancario come prestiti garantiti a tassi d'interesse estremamente bassi (ed anche negativi nei termini reali). Ciò alimentò una bolla speculativa nella forma di un sostanziale aumento nei prezzi dei beni capitali, asset immobiliari e titoli che li rappresentavano ed erano scambiati sul mercato azionario, dove gli indici aumentavano.

Abbastanza curioso, come nei "ruggenti" anni precedenti la Grande Depressione del 1929, lo shock della crescita monetaria non ha influenzato significativamente le unità dei prezzi del sottoinsieme dei beni di consumo e dei servizi (che sono approssimativamente un terzo del numero totale dei beni che sono scambiati sul mercato). L'ultimo decennio, come negli anni venti, ha visto un'aumento sostanziale nella produttività come il risultato dell'introduzione, su vasta scala, di nuove tecnologie ed innovazioni imprenditoriali significative che, se non fosse stato per "l'iniezione di credito e denaro", avrebbero dato luogo ad una riduzione salutare e sostenuta dell'unità di prezzo dei beni e dei servizi che tutti i cittadini consumano.

Per di più la piena incorporazione dell'economia della Cina e dell'India nel mercato globalizzato ha in generale aumentato la produttività reale dei beni di consumo e dei servizi. L'assenza di una salutare "deflazione" dei prezzi dei beni di consumo in uno stadio di tale crescita considerevole nella produttività come quella dei recenti anni, fornisce la prova principale che lo shock monetario ha seriamente disturbato l'intero processo economico. E ricordiamoci l'isteria anti-deflazionista di coloro che, anche durante gli anni della bolla, hanno usato i più piccoli segni di questa salutare deflazione per giustificare dosi perfino più grandi di espansione del credito.

Come abbiamo già visto l'espansione del credito artificiale e l'nflazione (fiduciaria) del mezzo di scambio non ha offerto scorciatotie per stabilizzare e sostenere lo sviluppo economico, nessun modo per evitare il sacrificio necessario e la discliplina dietro tutti gli alti tassi del risparmio volontario (infatti prima della crisi, ed in particolare negli Stati Uniti, il risparmio volontario non solo non è aumentato ma è anche caduto ad un tasso negativo per diversi anni).

I fattori specifici che innescano la fine della "bevuta" monetaria e l'inizio dei "postumi della sbronza" portati dalla recessione sono molti e possono variare da un ciclo all'altro. In questa crisi gli inneschi più ovvi furono, primo, l'aumento del prezzo delle merci e dei materiali grezzi, in particolare il petrolio; secondo, la crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti ed infine il fallimento di importanti istituzioni bancarie quando divenne chiaro al mercato che il valore dei loro debiti eccedeva quello dei loro asset (principalmente prestiti per mutui erroneamente garantiti).

Se consideriamo il livello dell'espansione del credito nel passato e la qualità ed il volume degli investimenti sbagliati causati da esso, potremmo dire che molto probabilmente in questo ciclo l'economia dell'Unione Monetaria Europea è al paragone in uno stato in qualche modo meno povero (se non consideriamo il maggiore rigore dell'Europa, particolarmente nel mercato del lavoro che tende a rendere le recessioni in Europa più lunghe e più dolorose).

La politica espansionistica della Banca Centrale Europea, sebbene non sia libera da pesanti errori, è stata in qualche modo meno irresponsabile rispetto a quella della Federal Reserve. Inoltre la realizzazione dei criteri di convergenza per l'unione monetaria ha coinvolto all'epoca un risanamento salutare e significativo delle economie principali Europee. Solo alcuni paesi al margine, come l'Irlanda e la Spagna, si immersero in una considerevole espansione del credito dal momento che iniziarono i loro processi di convergenza.

Il caso della Spagna è esemplare. L'economia Spagnola ha subito un boom economico, che, in parte, era dovuto a cause reali (come le riforme strutturali di liberalizzazione che ebbero inizio con l'amministrazione di José Marìa Aznar). Ciononostante il boom era anche ampiamente alimentato da un'espansione artificiale del denaro e del credito, che crebbe ad un tasso tre volte superiore ai tassi corrispondenti di Francia e Germania.

Gli agenti economici Spagnoli interpretarono essenzialmente la diminuzione dei tassi d'interesse, che è risultata dal processo di convergenza in termini di denaro-facile, come tradizionale in Spagna: una maggiore disponibilità di denaro-facile e richieste di massa per prestiti da banche Spagnole (principalmente per finanziare la speculazione immobiliare), prestiti che le banche Spagnole hanno garantito creando denaro dal nulla, mentre i banchieri centrali Europei osservavano tranquillamente. Una volta che la crisi colpì la Spagna il riassestamento fu rapido ed efficiente: in meno di un'anno più di 150,000 compagnie — principalmente legate al settore edile — sono scomparse, quasi cinque milioni di lavoratori che erano impiegati in settori sbagliati sono stati congedati ed oggigiorno possiamo concludere che sebbene ancora debole, il corpo economico della Spagna è stato già guarito. Ci torneremo in seguito sul soggetto di quale politica economica sia la più appropriata per le attuali cirscostanze. Ma prima di ciò, facciamo qualche commento sull'influenza delle nuove regole contabili nell'attuale crisi economica e finanziaria.


L'Influenza Negativa delle Nuove Regole Contabili

Non dobbiamo scordarci che una caratteristica centrale del lungo periodo di espansione artificiale fu una graduale corruzione, nel continente Americano come anche in quello Europeo, dei principi tradizionali della contabilità come praticata globalmente per secoli.

Nello specifico l'accettazione degli standard contabili internazionali (SCI) e la loro incorporazione nella legislazione della maggior parte dei paesi, ha significato l'abbandono del tradizionale principio della prudenza e la sua sostituzione con il principio di "valore equo" nella stima del valore del bilancio degli asset, in particolare degli asset finanziari.

Infatti durante gli anni della "bolla speculativa" questo processo fu caratterizzato da una retroazione continua: i valori di borsa in crescita furono immediatamente inseriti nei libri e poi tali voci contabili erano richieste come giustificazione per ulteriori incrementi artificiali nei prezzi degli asset finanziari elencati in borsa.

E' facile comprendere che le nuove regole contabili agiscono in un modo ciclico, accrescendo l'imprevedibilità ed influenzando la gestione aziendale: in tempi di prosperità un falso "effetto ricchezza" che induce le persone a prendere "rischi" inappropriati; quando, dall'oggi al domani, gli errori commessi vengono alla luce, le perdite nel valore degli asset decapitalizzano immediatamente le compagnie, che sono obbligate a vendere asset e tentare di ricapitalizzare nel peggior momento quando gli asset non valgono quasi nulla ed i mercati finanziari sono prosciugati.

I principi contabili che hanno dimostrato di essere talmente disturbanti devono essere abbandonati il più presto possibile e le riforme contabili recentemente approvate devono essere annullate. Questo non perchè tali riforme rappresentano un vicolo cieco in un periodo di crisi finanziaria e di recessione, ma specialmente perchè è vitale che in periodi di prosperità rimaniamo saldi sul principio di prudenza della valutazione, un principio che ha modellato tutti i sistemi contabili dai tempi di Luca Pacioli all'inizio del quindicesimo secolo fino all'adozione del falso idolo delle Regole Contabili Internazionali.

Deve essere evidenziato che lo scopo della contabilità non è di riflettere i presunti valori "reali" (che in ogni caso sono soggettivi e che giornalmente variano e sono determinati nei mercati corrispondenti) sotto il pretesto di raggiungere una (scarsamente compresa) "trasparenza della contabilità". Invece lo scopo della contabilità è di permettere la gestione prudente di ogni compagnia e di prevenire il consumo del capitale, come Hayek già stabilì nel 1934 nel suo articolo "The Maintenance of Capital" (Hayek 1934).

Ciò richiede l'applicazione rigida di standard di contabilità conservatori (basati sul principio della prudenza e sulla registrazione del costo storico o del valore di mercato, qualunque volta siano bassi), standard che assicurano in ogni momento che i profitti distribuibili vengano da una eccedenza sicura la quale può essere distribuita senza danneggiare in alcun modo la produttività futura e la capitalizzazione di ogni compagnia.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


(1). LINK alla Prima Parte

(2). LINK alla Terza Parte


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