venerdì 31 dicembre 2010

Il dogma collettivista

Stasera, ci posso scomettere, assisteremo alla solita farsa del capodanno in cui il presidente della Repubblica ringrazierà i poveri fessi che gli hanno elargito tanti "dineri" per campare, mentre i problemi là fuori sommergono le vite dei "poveri mortali". Ma mi raccomando però, tutti "coesi"; perchè quando passa la questua tutti devono partecipare. Bene, come chiusura d'anno un bell'articolo di Mises sulla tanto cara "coesione".
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di Ludwig von Mises

La moderna filosofia collettivista è una volgare discendente della vecchia teoria del realismo concettuale. Ha rotto con il generale antagonismo filosofico tra realismo e nominalismo e non presta quasi alcuna attenzione al continuo conflitto tra le due scuole. E' una teoria politica e, come tale, utilizza una terminologia apparentemente differente da quella utilizzata nei dibattiti scolastici sugli universali come pure da quella del neorealismo contemporaneo. Ma il nucleo dei suoi insegnamenti non differisce da quello dei realisti medievali. Attribuisce agli universali una reale esistenza oggettiva e persino un'esistenza superiore a quella degli individui, a volte persino negando categoricamente l'esistenza autonoma degli individui che è la sola esistenza reale.

Ciò che distingue il collettivismo dal realismo concettuale così come viene insegnato dai filosofi non è il metodo di approccio ma le tendenze politiche implicite. Il collettivismo trasforma la teoria epistemologica in rivendicazione etica. Dice alle persone ciò che esse dovrebbero fare. Distingue tra la vera entità collettiva a cui le persone devono mostrare lealtà e le pseudo entità fallaci di cui non devono affatto preoccuparsi. Non esiste un'ideologia collettivista uniforme, ma molte teorie collettiviste. Ognuna di esse esalta un'entità collettivista diversa ed invita tutte le persone perbene a sottomettervisi. Ogni setta venera il suo idolo ed è intollerante verso tutti gli idoli rivali. Tutte ordinano la totale sottomissione dell'individuo, tutte sono totalitarie.

Il carattere particolarista delle varie teorie collettiviste potrebbe facilmente essere ignorato perchè esse partono immancabilmente dalla contrapposizione tra la società in generale da un lato e gli individui dall'altro. In questo contrasto compare un'unico collettivo che comprende tutti gli individui. Non può dunque esistere alcuna rivalità tra una moltitudine di entità collettive. Ma nel corso successivo dell'analisi un collettivo particolare sostituisce impercettibilmente l'immagine d'insieme di un'unica grande società.

Esaminiamo per prima cosa il concetto di società in generale.

Gli uomini cooperano gli uni con gli altri. La totalità delle relazioni tra gli uomini generate da questa cooperazione è chiamata società. La società non è un'entità in sé. E' un'aspetto dell'azione umana. Non esiste e non vive al di là del comportamento delle persone. E' una tendenza dell'azione umana. La società non pensa e non agisce. Gli individui, pensando ed agendo, costituiscono un complesso di rapporti e di fatti che vengono chiamati rapporti e fatti sociali.

La questione è stata confusa da una metafora aritmetica. La società, domandano le persone, è semplicemente la somma di individui o è un qualcosa di più di questo e dunque un'entità dotata di realtà indipendente? La domanda non ha alcun senso. La società non è né la somma di individui né qualcosa di più o meno di questa somma. I concetti aritmetici non possono essere applicati a questa materia.

Un'altra confusione deriva dalla seguente questione altrettanto priva di significato: la società - dal punto di vista logico e cronologico - è precedente agli individui? L'evoluzione della società e quella della civiltà non furono due processi distinti ma un unico e solo processo. Il superamento biologico, da parte di una specie di primati, del livello di mera esistenza animale e la loro trasformazione in uomini primitivi comportarono già lo sviluppo dei primi rudimenti di cooperazione sociale. L'Homo Sapiens non apparve sulla scena degli eventi terrestri né come ricercatore isolato di prodotti alimentari, né come membro di una folla gregaria, ma come essere vivente che coopera coscientemente con gli altri esseri della sua specie. Solo in cooperazione con i suoi simili potè sviluppare il linguaggio, indispensabile strumento del pensiero. Non possiamo neppure immaginare un'essere vivente dotato di ragione che resti in un isolamento perfetto e che non cooperi almeno con i membri della sua famiglia, del suo clan, della sua tribù. L'uomo in quanto uomo è necessariamente un'animale sociale. Una qualche sorta di cooperazione è una caratteristica essenziale della sua natura. Ma la consapevolezza di questo fatto non giustifica lo studio delle relazioni sociali come se queste fossero un qualcosa di diverso da semplici relazioni o uno studio della società come se questa fosse un'entità indipendente ed esterna o al di sopra delle azioni degli individui.

Esistono infine errate interpretazioni causate dalla metafora organica. Possiamo paragonare la società ad un'organismo biologico. Il tertium comparationis è il fatto che esiste una divisione del lavoro ed una cooperazione tra le varie parti di un corpo biologico come tra i membri della società. Ma l'evoluzione biologica che ha portato alla nascita di sistemi strutturali-funzionali delle piante e del corpo degli animali fu un processo pienamente fisiologico in cui non si può scoprire alcuna traccia di attività cosciente da parte delle cellule. D'altra parte la società umana è un fenomeno intellettuale e spirituale. Cooperando con i loro simili gli individui non si privano della loro individualità. Conservano il potere di agire in modo antisociale e spesso ne fanno uso. Il posto di ogni cellula nella struttura del corpo è invariabilmente assegnato. Ma gli individui scelgono spontaneamente il modo in cui integrarsi nella cooperazione sociale. Gli uomini hanno idee e perseguono i fini che hanno scelto, mentre le cellule e gli organi del corpo non hanno una tale autonomia.

La psicologia della Gestalt respinge con passione la teoria psicologica dell'associazionismo. Ridicolizza l'idea di un "mosaico sensoriale che nessuno ha mai osservato" ed insegna che "l'analisi, se vuole rivelare l'universo nella sua totalità, deve fermarsi all'insieme che, indipendentemente dalla sua dimensione, possiede una realtà funzionale".[1] Qualsiasi cosa si possa pensare della psicologia della Gestalt, è chiaro che essa non ha alcun legame con i problemi della società. E' evidente che nessuno ha mai osservato la società nell'insieme. Ciò che può essere osservato sono sempre le azioni degli individui. Nell'interpretare i vari aspetti delle azioni dell'individuo i teorici hanno sviluppato il concetto di società. Non si tratta affatto di comprendere "le proprietà delle parti a partire dalle proprietà dell'insieme".[2] Non esiste alcuna proprietà della società che non possa essere scoperta nel comportamento dei suoi membri.

Nel contrapporre la società e gli individui e nel negare a questi ultimi ogni "vera" realtà, le teorie collettiviste considerano l'individuo come un semplice ribelle refrattario. Questo deplorevole disgraziato ha l'impudenza di preferire i suoi piccoli interessi egoistici rispetto agli interessi sublimi della grande società divina. Naturalmente il collettivista attribuisce questa superiorità unicamente all'idolo sociale legittimo e a nessun altro dei pretendenti.

Ma chi è il pretendente, e chi è il re,
Dio ci benedica tutti - il che è completamente un'altra cosa.


Quando il collettivista esalta lo Stato, ciò che intende non è uno Stato qualsiasi ma soltanto il regime che approva, indipendentemente dal fatto che questo Stato legittimo esista già o debba ancora essere creato. Per gli irredentisti cechi della vecchia Austria e per gli irredentisti irlandesi del Regno Unito, gli Stati i cui governi si riunivano a Vienna e a Londra erano usurpatori: il loro Stato legittimo non esisteva ancora. La terminologia dei marxisti è particolarmente degna di nota. Marx era profondamente ostile allo Stato prussiano degli Hohenzollern. Per chiarire che lo Stato che voleva vedere onnipotente e totalitario non era quello i cui governanti risiedevano a Berlino, chiamò il futuro Stato del suo programma società e non Stato. L'innovazione era semplicemente verbale. Infatti ciò a cui Marx puntava era l'abolizione di ogni sfera riservata all'iniziativa dell'azione individuale, trasferendo il controllo di tutte le attività economiche all'apparato sociale di costrizione e di repressione che comunemente viene chiamato Stato o governo. Questa astuzia riuscì ad ingannare molte persone. Anche oggi ci sono ancora dei creduloni che pensano che esista una differenza tra il socialismo di Stato e gli altri tipi di socialismo.

La confusione tra i concetti di società e di Stato iniziò con Hegel e Schelling. Si è soliti distinguere due scuole di hegeliani: la corrente di sinistra e la corrente di destra. La distinzione riguarda soltanto l'atteggiamento di questi autori riguardo al Regno di Prussia ed alle adottrine della Chiesa dell'Unione Prussiana. Il credo politico delle due correnti era essenzialmente lo stesso. Entrambe sostenevano un governo onnipotente. Fu un hegeliano di sinistra, Ferdinand Lassalle, che espresse più chiaramente la tesi fondamentale dell'hegelismo: "Lo Stato è Dio".[3] Hegel stesso era stato un pò più prudente. Affermò soltanto che "è il segno di Dio nel mondo che costituisce lo Stato" e che studiando lo Stato si deve contemplare "l'idea, ossia il Dio incarnato sulla terra".[4]

I filosofi collettivisti non riescono a comprendere che ciò che costituisce lo Stato sono le azioni degli individui. I legislatori, coloro i quali fanno applicare le leggi con la forza delle armi, coloro i quali si piegano ai dettami delle leggi e della polizia costituiscono lo Stato attraverso il loro comportamento. E' solo in questo senso che lo Stato ha una realtà. Non esiste alcuno Stato al di fuori di tali azioni dei singoli uomini.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] K. Koffka, "Gestalt,"
Encyclopaedia of the Social Sciences, 6, 644.

[2] Ibid., p. 645.


[3] Gustav Mayer,
Lassalleana, Archiv für Geschichte der Sozialismus, 1, 196.

[4] Hegel,
Philosophy of Right, sec. 258.


Estratto dal capitolo 11 di Theory and History. Una versione audio di questo articolo, estratta dal prossimo audiolibro, letta da John Pruden è disponibile in MP3 a questo indirizzo.


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