lunedì 4 ottobre 2010

L'auto-sconfitta della croce Keynesiana

Su questo blog si è spesso argomentato che l'interventismo di Stato nell'economia reale è un danno per l'intero sistema finanziario (e non un bene come viene propagandato). In questo articolo si spiega, materialmente e matematicamente, la profonda verità di questo concetto. Esempio classico di sostenitore dell'interventismo è il "nobel per l'economia" Paul Krugman, denigratore continuo della teoria Austriaca; vediamo qui, come il castello di carte eretto da Keynesiani si infrange di fronte ad una semplice constatazione: l'esistenza umana.
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di Predrag Rajsic

La teoria Austriaca del ciclo economico, iniziata con Ludwig von Mises e sviluppata ulteriormente da F.A. Hayek, è considerata da molti il caposaldo del pensiero di questa scuola. Comunque nel 1998 Paul Krugman scaricò chiaramente la teoria come non "degna di un serio studio".

Più recentemente nel suo blog del New York Times il professor Krugman ha detto che la teoria Austriaca del ciclo economico fallisce nello spiegare pienamente le fluttuazioni nella produzione e l'occupazione tra recessioni e boom. Da ciò conclude che la teoria fallisce nel dimostrare come un ciclo economico possa essere causato dall'interventismo di governo. Allo stesso tempo egli interpreta ciò come un segno dell'inconscio attaccamento degli Austriaci al Keynesianismo nello spiegare i boom, ma non la frenata. Gli economisti Austriaci, dice il professor Krugman, sembrano essere "Keynesiani durante i boom senza saperlo".

Queste affermazioni circa la presunta inadeguatezza della teoria Austriaca del ciclo economico sono state indirizzate verso Robert Murphy e non saranno il focus di questo articolo. Invece dimostrerò che la comune interpretazione della teoria che Krugman considera più degna di seri studi -- la Genral Theory of Employment, Interest and Money di J.M. Keynes -- ha gravi difetti logici. Ironicamente esce fuori che questi sono gli stessi difetti che Krugman attribuisce alla stessa teoria Austriaca, cioè l'incapacità di spiegare la continua disoccupazione durante una recessione.


Le Basi Teoriche di J.M. Keynes

Keynes basò il suo trattato del 1936 The General Theory of Employment, Interest and Money sulla supposizione chiave, che la disoccupazione involontaria sia un possibile risultato dell'equilibrio di mercato. Definisce la disoccupazione involontaria in questo modo:
"Gli uomini sono involontariamente disoccupati se, nel caso di una piccola crescita nel prezzo di salari/beni in relazione a salari/denaro, entrambe l'offerta aggregata della forza lavoro disposta a lavorare per l'attuale salario/denaro e la domanda aggregata per esso a quel salario sarebbero più grandi rispetto all'esistente volume di occupazione".[1]


Poi Keynes descrive gli elementi base della sua teoria:
"Questa teoria può essere riassunta nelle seguenti proposizioni:
  1. In una data situazione di tecniche, risorse e costi, le entrate (sia quelle monetarie che quelle reali) dipendono dal volume dell'impiego N.
  2. La relazione tra le entrate della comunità e ciò che ci si può aspettare dalla spesa nei consumi, designata da D1, dipenderà dalla caratteristica psicologica della comunità, che potremmo chiamare propensione al consumo. C'è da dire che il consumo dipenderà dal livello delle entrate aggregate e, quindi, dal livello dell'occupazione N, eccetto quando c'è qualche cambiamento nella propensione al consumo.
  3. L'ammontare di lavoro N che gli imprenditori decidono di impiegare dipende dalla somma (D) di due quantità, cioè D1, l'ammonatare che la comunità ci si aspetti che spenda nei consumi, e D2, l'ammontare che ci si aspetta venga dedicato a nuovi nvestimenti. D è ciò che abbiamo chiamato sopra, la domanda effettiva.
  4. Dal momento che D1 + D2 = D = φ(N), dove φ è la funzione dell'offerta aggregata, e dal momento che, come abbiamo visto in (2) sopra, D1 è una funziona di N, che potremmo scrivere come x(N), che dipende dalla propensione al consumo, ne segue che φ(N) - x(N) = D2.
  5. Da qui il volume dell'occupazione all'equilibrio dipende da:
  • la funzione dell'offerta aggregata, φ;
  • la propensione al consumo, x;
  • il volume degli investimenti, D2.
Questa è l'essenza della Teoria Generale dell'Occupazione".[2]


Queste proposizioni furono successivamente formulate da Paul Samuelson in ciò che è conosciuto come il modello della croce Keynesiana.[3] Questo modello è diventato uno degli elementi standard dei corsi di macroeconomia universitari.

La Figura 1 mostra una rappresentazione grafica della croce Keynesiana, come è generalmente presentata nei libri di testo contemporanei di macroeconomia. L'asse orizzontale rappresenta la produzione aggregata o le entrate, l'asse verticale denota la spesa aggregata. La domanda aggregata, D, è uguale alla somma della spesa di consumo, pc·φ(N), e dell'investimento, D2. La spesa di consumo ad ogni livello d'accupazione, N, è il prodotto della propensione al consumo, pc, e le entrate, φ(N). Mentre Keynes evita di usare qualsiasi unità esplicita per le entrate aggregate, la spesa, il consumo e la domanda, implicitamente, sono trattate in termini di spesa in denaro.

La linea a 45° rappresenta il sito dei punti in cui la spesa aggregata è uguale alla produzione aggregata. Di conseguenza l'economia è in equilibrio al livello della produzione φ(N0), e N0 è il livello d'equilibrio dell'occupazione. A quesato punto la spesa aggregata è E0. Se affermiamo che N0 è l'ammontare totale del lavoro disponibile nell'economia, questo equilibrio corrisponde alla piena occupazione. Da ciò ne segue che la spesa di consumo nella piena occupazione è pc·φ(N0).



Figura 1. Diagramma della croce Keynesiana


Il passo successivo nell'applicazione di questo modello in generale coinvolge l'affermazione che la propensione al consumo, la quale è una variabile esogena, fluttua tra valori minimi e massimi. Ammettiamo che questi valori siano pc1 e pc2. Ciò è mostrato dalla Figura 2.

Se la propensione al consumo fluttua intorno il livello che assicura piena occupazione, pc0, il modello suggerisce che, in tempi in cui la propensione al consumo è al di sotto di pc0 (per esempio, pc1), la domanda aggregata, DI, è bassa e ci sarà un periodo di riduzione nella produzione e nell'occupazione. Al contrario, se la propensione al consumo aumenta al di sopra di pc0, la domanda aggregata, Dh, è alta, la piena occupazione e la produzione massima è raggiunta ed un periodo di aumenti nei prezzi di produzione può essere osservata.



Figura 2. Cambiamenti nella domanda aggregata a causa dei cambiamenti nella propensione al consumo


Questa idea è graficamente illustrata nella Figura 3. Mostra i cicli degli aumenti dei prezzi, della produzione e della perdita d'occupazione, poichè la propensione al consumo fluttua col passare del tempo. I periodi di prezzi più alti e produzione più alta, secondo questo modello, coincidono con la piena occupazione mentre i periodi di prezzi più bassi sono accompagnati da disoccupazione e da una decrescita nella produzione.

La tipica interpretazione del modello è che i cicli osservati nella produzione, nei prezzi ed nell'occupazione sono conseguenze di fluttuazioni intertemporali nella domanda aggregata, causate dai cambiamenti nella propensione al consumo della popolazione in un mercato non stabilizzato dall'intervento del governo.



Figura 3. Fluttuazioni nel prezzo della produzione, nell'occupazione e nella produzione nel tempo, come generalmente interpretate usando il modello della croce Keynesiana


Il rimedio suggerito per queste fluttuazioni, secondo la teoria Keynesiana, implica una strategia fiscale o monetaria. Il rimedio fiscale sarebbe quello di incrementare le tasse durante i preiodi inflazionistici e ricorrere al deficit di bilancio durante i periodi di recessione. L'intervento monetario implicherebbe una riduzione nella massa monetaria durante i periodi inflazionistici ed un'espansione della massa monetaria durante i periodi di recessione.

L'effetto inteso di queste politiche sarebbe quello di ridurre la domanda aggregata quando è troppo alta ed aumentarla quando è troppo bassa. Questo farebbe del governo il corpo principale che bilancia l'attività economica in modo da causare la piena occupazione. Questa interpretazione, in superficie, suona plausibile. Comunque quando la logica interna del modello è esaminata, un serio errore può essere trovato. La prossima sezione si focalizzerà su questo.


La Contraddizione Interna

N0 nella Figura 2 è la quantità di lavoro che produce la produzione/entrata φ(N0). L'equazione della domanda implica che, all'equilibrio, alcune porzioni della produzione totale, pc0, siano consumate da coloro che guadagnano le entrate -- i lavoratori impiegati (N0) ed i datori di lavoro. Di conseguenza pc0·φ(N0) è il valore aggregato[4] del consumo di beni e servizi scambiati nel mercato.

Seguendo questa logica, la stessa relazione necessita di restare tale in qualsiasi altro equilibrio. Così se c'è un altro tipo d'equilibrio al livello d'occupazione, N1, ed un'altra propensione al consumo, pc1, il consumo, C1 = pc1·φ(N1), è il valore aggregato del consumo di beni e servizi scambiati nel mercato. Questi sono beni e servizi prodotti dai lavoratori, N1, e consumati da tutti quelli che guadagnano le entrate.

Comunque se pc1 è minore rispetto alla propensione al consumo che corrisponde alla piena occupazione, ci sarà del lavoro non occupato, uguale alla differenza tra N0 e N1. Affinchè questo lavoro sia disponibile in un altro punto nel tempo, quando la propensione al consumo (esogena) torna indietro al livello necessario per il pieno impiego, questi lavoratori disoccupati necessitano di avere un livello di consumo che non sia zero, mentre sono disoccupati. Diciamo che CU = e·N1 sia questo minimo di consumo, in cui e è la quantità fisica della produzione necessaria per sostenere la vita di una persona disoccupata.

Ma il consumo del disoccupato non si concilia con un'equivalente spesa perchè il disoccupato non ha entrate. Questa produzione fisica deve essere data al disoccupato senza un compenso monetario. Comunque da nessuna parte in questo modello è specificato che ci sia un supplemento della produzione fisica che sarà data al disoccupato senza compenso monetario. Così sembra che il modello assegni un consumo pari a zero per il disoccupato, questo implica direttamente che il disoccupato non sarà in grado di sostenere la sua esistenza fisica in una recessione prolungata.

Se, dall'altra parte, si assegna un consumo che non sia pari a zero ad un disoccupato che non è incluso nella spesa di consumo di colui che è impiegato, l'attuale produzione fisica disponibile per l'acquisto al livello di occupazione, N1, è minore rispetto alla quantità che risulta nella spesa E1. Per arrivare all'attuale valore di beni scambiati nel mercato, diciamo φ'(N1), la quantità uguale al consumo non pagato del disoccupato deve essere sottratta dall'esistente offerta: φ'(N1) = φ(N1) -- P·CU, dove P è il prezzo della produzione.

Ma ciò fa diminuire la quantità aggregata di beni e servizi disponibili per gli scambi nel mercato al di sotto della quantità che corrisponde a φ(N1). Ciò vuol dire che l'attuale offerta disponibile per gli scambi non si concilia più con la domanda effettiva di coloro che guadagnano le entrate a pc1. Assegnando quindi un consumo non pari a zero al disoccupato che non è incluso nella spesa di colui che è impiegato, non risulta essere una situazione d'equilibrio nel modello presentato sopra.

Per far muovere questa situazione verso l'equilibrio, la propensione al consumo dell'impiegato e dei datori di lavoro necessita di essere ridotta al di sotto di pc1 per conciliare i bisogni di consumo del disoccupato. Comunque la propensione al consumo è una variabile esogena e non è soggetta alla scelta individuale in questo modello.

Anche se la propensione al consumo fosse soggetta alla scelta individuale, un'ulteriore riduzione nella propensione al consumo porterebbe solo allo squilibrio ed alla disoccupazione -- dal momento che una riduzione nella propensione al consumo, secondo questo modello, causerebbe in primo luogo una recessione. L'unico equilibrio stabile in questa situazione sarebbe una produzione pari a zero per l'intera economia, il che equivale ad un completo annientamento dell'economia stessa. Perciò non possiamo affermare che il consumo del disoccupato non sia incluso nella spesa di colui che è impiegato.

Alternativamente se il consumo del disoccupato dovesse essere incluso nella spesa di colui che è impiegato (per esempio, l'impiegato usa una porzione delle sue entrate per fare la carità al disoccupato), finiremmo in un paradosso: ovvero che, mentre la propensione al consumo si riduce, l'impiegato è maggiormente in grado di sostenere il disoccupato spendendo ogni singola e più piccola porzione delle sue entrate. Così deve essere concluso che, in questo modello, il consumo del disoccupato non è incluso nella spesa di consumo di colui che è impiegato.

Ma il modello allo stesso tempo implica che il consumo dell'impiegato non può stare fuori la spesa di colui che è impiegato, se il modello si prefigge di creare una produzione all'equilibrio non pari a zero. Ciò lascia un'unica opzione -- il consumo del disoccupato deve essere zero.

Così, secondo questo modello, in qualsiasi economia continua libera da interventi esterni, se la riduzione iniziale nella propensione al consumo al di sotto il livello che assicura la piena occupazione persiste troppo a lungo, l'economia ritorna all'equilibrio ad un livello nuovo e più basso di piena occupazione, N1. Ciò è mostrato dalla Figura 4.



Figura 4. Una vera restaurazione dell'equilibrio nel modello della croce Keynesiana


Ma a differenza della restaurazione dell'equilibrio in cui il disoccupato trova opportunità non ancora scoperte di impiego, la vera logica del modello Keynesiano implica che l'equilibrio è restaurato dalla cessazione dell'esistenza fisica del disoccupato (per esempio, la morte). Qualsiasi altro esito contiene contraddizioni interne non risolte.


Conclusione

Contrariamente all'interpretazione comunemente usata della "croce Keynesiana", le continue fluttuazioni nella produzione e nell'occupazione non possono essere create da questo modello se la sua rigida logica è accoppiata con la logica dell'esistenza umana. In questo caso il modello Keynesiano implica che il prolungato ciclo economico non possa persistere in assenza di un intervento esterno ai processi di mercato. Comunque, per Keynes, l'intervento del governo era la cura, non la causa del ciclo economico. Si scoprì poi che i Keynesiani sono Austriaci durante le recessioni "senza neanche saperlo".

A parte la retorica, date le inadeguatezze del paradigma Keynesiano, chiunque fosse interessato nella spiegazione delle origini del ciclo economico trarrebbe beneficio dallo studiare seriamente le altre teorie economiche. Questo è il perchè non posso concordare con la frase del professor Krugman secondo cui la teoria Austriaca del ciclo economico non è "degna di un serio studio".



[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Keynes, J.M. 2006.
The General Theory of Employment, Interest and Money. Atlantic Publishers & Distributors: New Delhi, pp.14. Ho mostrato in precedenza che questa bizzarra idea ignora l'esistenza di opportunità non scoperte per la cooperazione in un'economia che consiste in migliaia o milioni di individui.

[2] Keynes, pp.23.


[3] Samuelson, P.A. 1948.
Economics: An Introductory Analysis. New York: McGraw-Hill.

[4] Il concetto di contabilizzazione del valore non dovrebbe essere confuso con il valore economico. L'aggregato della contabilizzazione del valore è un numero costruito usando i dati del mercato -- quantità di beni e servizi scambiati e i corrispondenti rapporti di scambio. Il valore economico soggettivo è l'importanza che un'individuo attribuisce ai suoi mezzi e fini quando compie una scelta.


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