mercoledì 12 agosto 2015

L'oro e il Paradosso di Gibson


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di Alasdair Macleod


Al giorno d'oggi c'è un mito molto diffuso: il prezzo dell'oro scende sempre quando i tassi d'interesse salgono.

La logica di questa affermazione vuole che all'aumentare dei tassi, possedere oro diventa più costoso poiché esso non fornisce alcun rendimento. E dal momento che i mercati scontano le aspettative future, l'oro calerà anche quando si prevede un aumento dei tassi d'interesse. Con l'Open Market Committee della FED che discute dei tempi di un aumento dei tassi d'interesse, probabilmente a settembre, non c'è quindi da sorprendersi se il prezzo dell'oro persiste nel suo mercato orso. Il mito è proprio questo: qualcosa di negato dall'evidenza empirica.

Il grafico qui sotto inquadra un periodo in cui è accaduto proprio il cotnrario. Dal marzo 1971 al dicembre 1979, le tendenze dei tassi d'interesse e del prezzo dell'oro sono salite e scese allo stesso tempo. Vale la pena di notare che questo non è avvenuto solo una volta, quindi non è un rapporto dipendente dal ciclo economico.




Il mito è quindi smentito.

Per capire perché questo rapporto tra tassi d'interesse e oro non è così semplice come si crede comunemente, dobbiamo parlarne più approfonditamente tirando in ballo le commodity e il Paradosso di Gibson. Questo paradosso si basa esclusivamente su evidenze empiriche di lungo periodo, quando l'oro era ancora denaro tra il 1730 e il 1930. Possiamo osservare che il livello generale dei prezzi e i tassi d'interesse sono correlati positivamente. Tale rapporto non è in sintonia con la teoria quantitativa della moneta, la quale presuppone che i tassi d'interesse siano correlati al tasso d'inflazione dei prezzi piuttosto che con il livello generale dei prezzi. Questo forse è il motivo per cui i monetaristi sostengono erroneamente, come abbiamo anche scoperto negli anni settanta, che le banche centrali possono gestire il tasso d'inflazione attraverso la manipolazione dei tassi d'interesse. Il punto di vista comune di oggi sul rapporto tra tassi d'interesse e inflazione dei prezzi, è del tutto in contrasto con l'evidenza del Paradosso di Gibson e si accorda invece con la teoria quantitativa.

Gibson e il suo paradosso sono dimenticati oggi, e coloro che pianificano centralmente il denaro e i mercati sembrano inconsapevoli della sfida ch'esso rappresenta ai loro preconcetti monetaristi. Nel 1930 Keynes descrisse il Paradosso di Gibson come "uno dei fatti empirici più affermati in tutto il campo dell'economia quantitativa", e nello stesso anno Irving Fisher scrisse che "in economia nessun altro problema è stato oggetto di più accesi dibattiti". Nel 1976 anche Milton Friedman concordò che "il Paradosso di Gibson rimane un fenomeno empirico, senza una spiegazione teorica".[1]

Lasciamo la risoluzione di questo paradosso ad un altro articolo; prenderemo invece in considerazione le implicazioni, guardando ai rapporti di prezzo tra il livello generale dei prezzi e i tassi d'interesse in un mondo post-oro. Il grafico successivo rappresenta i prezzi della produzione misurati in oro e paragonati coi rendimenti del Tesoro ad un anno.




Ho preso il "Producer Price Index by Commodity for Crude Materials for Further Processing" della St. Louis FED per mostrare più da vicino l'andamento dei prezzi delle commodity e ridurre le considerazioni supplementari sulle variazioni nel corso del tempo dei margini di trasformazione. Il tasso d'interesse ad un anno è preferibile alla prova originale usata nel Paradosso di Gibson, ovvero, il rendimento del British Government Consols, proprio perché abbiamo bisogno di un collegamento più saldo tra la prova e le politiche moderne riguardo il tasso d'interesse.

Guardando il grafico, non sorprende se il Paradosso di Gibson sia stato annullato dallo Shock di Nixon del 1971, quando gli Stati Uniti permisero un enorme aumento del prezzo dell'oro ponendo fine all'Accordo di Bretton Woods. Invece il prezzo dell'oro visse una vita propria, riducendo nei nove anni successivi il livello generale dei prezzi di tutto quello che veniva prezzato in oro. L'aumento dell'indice dal 1980 al 2000 rifletteva il successivo mercato orso dell'oro, quando è sceso da $800 a $250, ma da allora in poi sembrò ritornare l'influenza del Paradosso di Gibson.

Questa conclusione potrebbe essere considerata sospetta; non solo il grafico ci dice che i prezzi della produzione sono ai minimi da 35 anni quando misurati in denaro sonante, ma anche che il livello dei prezzi coincide con i tassi d'interesse pari a zero. In teoria, si accorda proprio col Paradosso di Gibson.

C'è solo un modo in cui i tassi d'interesse possono abbandonare lo zero, ed è solo una questione di tempo, tempo che la FED sta ormai esaurendo. I prezzi delle commodity nel loro ruolo di materie prime sembrano destinati ad aumentare insieme ai tassi d'interesse, se il paradosso è ancora valido. Inoltre l'evidenza di quest'analisi suggerisce che il livello generale dei prezzi sia soppresso ancor più dei prezzo dell'oro. Quando il ciclo dei tassi d'interesse farà salire i prezzi delle materie prime misurati in dollari, a maggior ragione il prezzo dell'oro salirà di conseguenza, cosa che sembra probabile nel caso in cui i mercati finanziari diventino instabili a causa di tassi d'interesse più elevati.

Vale la pena di ripetere che il consenso economico, il quale aderisce alla teoria quantitativa della moneta ed è stato confortato dall'apparente assenza di un'inflazione dei prezzi al consumo malgrado l'espansione monetaria post-Lehman, ha una visione diametralmente opposta a quella indicata nel Paradosso. La prospettiva di una svolta nel ciclo dei tassi d'interesse dovrebbe spostare ancora più in alto il tasso di cambio del dollaro, indebolendo i prezzi delle commodity e quelli dell'oro. Nel linguaggio dei dealer, tutti sono sullo stesso lato del trade, cioè, il dollaro è tecnicamente iper-comprato e le commodity sono iper-vendute.

Il Paradosso di Gibson dice che le cose s'invertiranno, e potrebbe essere fondamentale per collegare il rapporto ciclico tra i tassi d'interesse, i mercati azionari e i prezzi delle commodity. Sarà molto più facile vedere come queste relazioni si legano insieme. L'aumento dei tassi d'interesse quasi certamente sarà accompagnato da un grande calo dei mercati obbligazionari e azionari, poiché le posizioni speculative verranno liquidate, andando anche ad intaccare la solvibilità delle banche.

La fuga di capitali speculativi dai mercati in calo dovrà andare da qualche parte, in particolare se i saldi di cassa detenuti nelle banche saranno a rischio di un default sistemico. Il Paradosso ci dice che queste sono le condizioni che permetteranno alle commodty di diventare il rifugio sicuro più amato dal denaro speculativo sin da quando le valute fiat sono state dispensate dal loro ancoraggio con l'oro. Ergo, il Paradosso di Gibson probabilmente è ancora valido.



Le Conseguenze

Ora che abbiamo una spiegazione per il Paradosso di Gibson, un enigma che ha sconfitto gli economisti mainstream da Fisher a Keynes e a Friedman, il modo migliore per illustrarlo è attraverso le prossime due immagini: la prima ci mostra l'evidenza empirica che i tassi d'interesse sono in correlazione con il livello dei prezzi.




E la seconda ci mostra un'assenza di correlazione tra i tassi d'interesse e il cambiamento annuale nel livello dei prezzi, ovvero, il tasso d'inflazione.




La soluzione dell'enigma è semplice: in un libero mercato i tassi d'interesse sono fissati dalle esigenze d'investimento delle imprese, che al margine pagheranno un tasso d'interesse in base alla salita o alla discesa dei prezzi dei loro prodotti: da qui la correlazione.

Il secondo grafico ci mostra come le politiche delle banche centrali, che cercano di controllare i prezzi manipolando i tassi d'interesse, non abbiano alcuna giustificazione teorica. Sono la conseguenza di una cieca accettazione di una teoria quantitativa della moneta, teoria su cui si basa la macroeconomia.

Un errore dei banchieri centrali è quello di credere che il prezzo del denaro sia il suo tasso d'interesse, al posto dei prezzi dei prodotti per i quali viene scambiato. I tassi d'interesse rappresentano la preferenza temporale per il denaro, che nel libero mercato si riflette nella preferenza temporale media di tutti i singoli beni acquistati con il denaro. Il problema col monetarismo è che ignora questo aspetto temporale dello scambio.

È importante tenere a mente che i prezzi di domani, e quindi il potere d'acquisto della moneta, sono del tutto soggettivi, o per dirla in altro modo, non possono essere conosciuti in anticipo: se fosse possibile, saremmo in grado d'acquistare o vendere qualcosa oggi con la certezza di un profitto domani. Ne consegue che le quantità relative di denaro e di merci, non sono fattori chiave nel determinare i rapporti di prezzo. Molto più importanti sono le preferenze dei consumatori per il denaro rispetto ai beni, che se estremizzate possono portare a zero il potere d'acquisto di una moneta, indipendentemente dalla sua quantità. Questa intuizione è necessaria per mettere la teoria monetaria nel suo giusto contesto.

Attraverso la politica monetaria, la Banca d'Inghilterra ha ignorato i rapporti di libero mercato sin dalla metà degli anni '70, e la correlazione di Gibson è evidente nei 240 anni fino ad allora. Il Grafico 3 continua dove lasciava il Grafico 1.




La correlazione finì quando nel 1974 la Banca d'Inghilterra aumentò i tassi d'interesse al 17.1% per fermare l'iperinflazione dei prezzi. Per la prima volta la BOE fissò i tassi d'interesse ad un livello più elevato rispetto a quello che avrebbe prevalso in un libero mercato, e la FED fece la stessa cosa cinque anni più tardi. Da allora i prezzi hanno continuato ad aumentare, anche se ad un ritmo decrescente, e la sterlina ha perso un ulteriore 88% del suo potere d'acquisto e il dollaro USA il 76%. Sin da allora la manipolazione del tasso d'interesse da parte di queste banche centrali ha continuato a sopprimere la correlazione di Gibson, come dovrebbe essere chiamata in modo appropriato.

La politica monetaria compromette il mercato tra i mutuatari e i risparmiatori. Lo vediamo oggi con i tassi d'interesse pari a zero che sopprimono le interazioni tra i risparmiatori e le imprese, creando una stasi economica. Questo ci porta ad un secondo errore esposto da Gibson. Si prevede che la FED aumenterà i tassi d'interesse nel giro di pochi mesi, nel tentativo di tornare ad una sorta di normalità.

Una tendenza al rialzo per i tassi d'interesse incoraggerebbe, secondo Gibson, una salita dei prezzi, probabilmente oltre il 2% programmato della FED. Questo non è il modo in cui la vedono gli operatori finanziari, né la FED. Si aspettano l'esatto contrario, ritenendo che l'aumento dei tassi d'interesse sia un male per la domanda e per i prezzi delle materie prime, motivo per cui la decisione è stata rinviata per così tanto tempo.

L'evidenza ci dice che questo punto di vista è sbagliato e che l'aumento dei tassi d'interesse sarà accompagnato dall'aumento dei prezzi delle commodity. Ad esempio, tra il 1970 e il 1980 l'oro è passato da $36 a $800, e negli Stati Uniti i tassi d'interesse sono passati dal 9% al 17% come riportato nel Grafico 4.




Questo è un punto leggermente diverso, ma illustra un errore diffuso: pensare che il prezzo di qualsiasi cosa possa essere soppresso mediante tassi d'interesse più alti.


[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Tutte le citazioni sono tratte da Barsky & Summers, National Bureau of Economic Research Working Paper No. 1680, (Agosto 1985).

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2 commenti:

  1. Credo che non sia necessario ricorrere al paradosso di Gibson per predire che quando tutto verrà giù, ci sarà un momento di cosiddetta deflazione generalizzata perché tutto o quasi è in bolla o comunque assai gonfiato, ma poi tutto il fiatmoney dovrà trovare uno sbocco sensato ed è chiaro che molto verrà convertito in asset concreti piuttosto che in chiacchiere e distintivo. Ed oro ed argento saranno una delle tradizionali destinazioni. Temo anche il piombo, ma magari certe tradizioni le potremmo abbandonare almeno da queste parti. Poi si vedrà. Il futuro è inconoscibile nei dettagli. Possiamo solo proiettare in avanti ciò che sappiamo del passato.

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    1. Ciao Dna.

      Vorrei giusto sottolineare il perché questo articolo sia stato postato. Infatti il punto che ho più apprezzato di Macleod è quando ha evidenziato come in realtà le banche centrali stiano agendo in base ad una teoria decisamente sballata. O almeno questo è quello che fanno credere, ovvero, di agire in base ad una teoria. Perché oltre a stimolare l'offerta di moneta, altro non possono fare. I tassi d'interesse di riferimento, sebbene si dica che siano "impostati" dalla banca centrale, in realtà essa può solo influenzarli attraverso le offerte d'acquisto per asset chiave (es. i bond).

      E' sempre il mercato che imposta i tassi d'interesse, e in questo momento Main Street ha raggiunto il livello di picco del debito quindi non sta accendendo alcuno prestito. Lo zio Mario vuole far bere un asino che in realtà non vuole bere. Le banche commerciali non prestano e gli individui medi non vogliono prestiti. La banca centrale non può dire, "Tassi d'interesse aumentate!" e per magia essi aumentano. Ecco perché i banchieri centrali saranno impotenti e verranno chiamati al banco degli imputati, insieme alle loro teorie, una volta che le cose andranno fuori controllo. Nel frattempo scommetto che la FED coglierà la palla al balzo e sfrutterà la svalutazione operata dalla PBOC per rimandare ancora una volta la normalizzazione dei tassi. La giustificazione ufficiale sarà quella di non volere un dollaro più forte.

      Hanno giocato tutte le loro carte e tutte sono state un fallimento. Il manuale keynesiano da cui leggono non ha risposte.

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